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Il problema dell’assistenza ai portatori
di handicap in situazione di gravità
rappresenta materia di continuo
contenzioso tra il datore di lavoro
(privato o pubblico) e il dipendente che
chiede di beneficiare dei 3 giorni di
permessi mensili previsti dalla legge
104/92 o di essere trasferito ad una
sede di lavoro più vicina al luogo dove
presta assistenza al familiare portatore
di handicap (purchè non ricoverato a
tempo pieno in un istituto
specializzato. |
Bisogna riconoscere che il contenzioso è alto
anche perché molte volte questi familiari sono
strumentalizzati e rappresentano l’unica via di
uscita per riuscire ad ottenere i benefici
previsti dalla legge.
I
maggiori problemi sorgono quando la richiesta è
avanzata da parenti o affini entro il 3° grado
cui l’art.20 della L.53/2000 e l’art.33 della L.104/1992
estende la facoltà di:
a –
fruire di 3 giorni di permesso mensile (che
possono essere anche cumulativi o orari)
b –
scegliere, ove possibile, una sede vicina al
proprio domicilio per assistere il familiare. La
persona assunta per concorso o ad altro titolo
in un ente pubblico ha diritto di scelta
prioritaria tra le sedi disponibili (invero c’è
giurisprudenza che non concorda totalmente con
questa ipotesi)
c –
opporsi al trasferimento disposto senza il
proprio consenso ad altra sede di servizio,da
dove non riuscirebbe ad assistere il familiare
con handicap.
E’
su queste ipotesi che ci soffermeremo
brevemente, partendo dalla norma che prevede:
“Le
disposizioni dell'articolo 33 della
legge 5 febbraio 1992, n. 104, come
modificato dall'articolo 19 della presente
legge, si applicano anche qualora l'altro
genitore non ne abbia diritto nonché ai genitori
ed ai familiari lavoratori, con rapporto
di lavoro pubblico o privato, che assistono
con continuità e in via esclusiva
un parente o un affine entro il terzo grado
portatore di handicap, ancorché non
convivente”. (Art.20 L.53/2000)
Cade il requisito della convivenza per
richiedere i 3 giorni di permesso mensile o
avanzare l’istanza di trasferimento ad una sede
di lavoro più prossima a quella del familiare
handicappato (o il divieto di essere trasferito
senza consenso dall’attuale sede di servizio se
già si fruisce del beneficio). E’ richiesto
comunque quello della continuità e
della esclusività dell’assistenza
oltre naturalmente all’esistenza di un posto
libero nella sede dove si chiede di essere
assegnati ed è chiaro altresì che lo stesso
diritto viene meno nel caso in cui cessino i
presupposti (ad es. morte dell'assistito o
mutamento delle condizioni sanitarie), con
conseguente revoca del provvedimento di cui si è
beneficiato.
Secondo alcuni Enti assistenziali (es.INPS)l'esclusività
dell'assistenza non è intaccata nel caso in cui
il disabile sia assistito anche da badanti,
assistenti domiciliari, volontari ecc.
L’esclusività invece è da escludersi quando il
soggetto handicappato non convivente con il
lavoratore richiedente risulta convivere, a sua
volta, in un nucleo familiare in cui sono
presenti lavoratori che beneficiano del medesimo
permesso ovvero soggetti non lavoratori
in grado di assisterlo.
Non
può esserci di certo continuità in caso di
oggettiva lontananza dall'abitazione principale
del portatore di handicap, lontananza intesa sia
in senso spaziale che temporale. In genere una
distanza tra le due abitazioni percorribile al
massimo in un’ora configura l’ipotesi della
continuità assistenziale quotidiana. In caso
contrario spetta al lavoratore la prova concreta
dei rientri in sede giornalieri e
dell’assistenza al portatore di handicap non
convivente.
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Il Tribunale Amministrativo Regionale
per la Campania – Napoli , Sezione VII,
28 febbraio 2007 ha stabilito invece che
“ non può ritenersi che l’assistenza
continuativa debba avere carattere
quotidiano ed esclusivo, ma appare
necessario che il dipendente sia il
fondamentale punto di riferimento per
l’assistenza del disabile, quanto meno
per il profilo della costante
organizzazione, supervisione delle cure
necessarie, delle condizioni di vita e
relazioni affettive. |
Tanto
considerato, appare necessario che
l’Amministrazione di appartenenza valuti caso
per caso, sulla base della documentazione
fornita dall’interessato la consistenza degli
elementi probatori da tenere in considerazione e
la sussistenza dei presupposti ai fini del
riconoscimento del beneficio”.
Ma
che
la
materia sia in continua evoluzione in senso più
favorevole ai familiari del portatore di
handicap, lo si deduce anche dalla recentissima
circolare INPS n.90 del 23.5.2007, destinata a
rappresentare una svolta storica nella gestione
della materia. L’Istituto previdenziale, sulla
base di numerose sentenze del Consiglio di
Stato, Cassazione e Corte Costituzionale, ha
dovuto rivedere i criteri di concessione dei
permessi ex L.104 ed ha impartito per le sue
sedi i seguenti indirizzi:
“…..
Per la concessione dei benefici in parola non ha
rilevanza il fatto che nell’ambito del nucleo
familiare della persona da assistere si trovino
conviventi familiari idonei a fornire l’aiuto
necessario, né è indispensabile che l’assistenza
sia quotidiana se sussistano i caratteri della
sistematicità e dell’adeguatezza rispetto alle
concrete esigenze del caso. I benefici…….
debbono essere riconosciuti anche a quei
lavoratori che, pur risiedendo o lavorando in
luoghi anche distanti dalla persona disabile,
offrono al medesimo disabile un’assistenza
sistematica ed adeguata” . Addirittura il
requisito dell’esclusività dell’assistenza -
secondo l’INPS - è compatibile anche ove sia
presente e concomitante il ricorso alle
strutture pubbliche e addirittura al ricorso di
assistenza con personale “badante”, mentre resta
escluso solo in caso di ricovero a tempo pieno
per le intere 24 ore.
Qualche anno prima la stessa INPS,
con circolare 128 del 2003, aveva preso atto che
sono da riconoscere come validi i motivi di
indisponibilità all’assistenza a carico di quei
parenti che hanno in famiglia più di tre
minorenni o un bambino di età inferiore a 6
anni.
Invero anche la giustizia amministrativa da anni
è pervenuta a conclusioni più estensive tanto
che il Consiglio di Stato, con sentenza del
19.01.1998, n. 394/97 della Terza Sezione,
aveva già affermato che “non si può negare il
beneficio allorché sussista il presupposto
dell’effettiva assistenza continuativa da parte
del lavoratore medesimo sulla considerazione che
il rapporto possa essere instaurato da altri
familiari”. Nella stessa sentenza il
Consiglio di Stato aveva evidenziato che “il
beneficio in questione non è subordinato alla
mancanza di altri familiari in grado di
assistere il portatore di handicap”.
Anche la Corte di Cassazione Sezione Lavoro, con
la sentenza n. 7701 del 16.05.2003, ha stabilito
che la presenza in famiglia di altra persona che
sia tenuta o possa provvedere all’assistenza del
parente con disabilità in situazione di gravità
non esclude il diritto ai tre permessi mensili
retribuiti al familiare che contribuisca
all’assistenza aiutando il congiunto non
lavoratore.
La stessa Corte, con la sentenza n. 13481 del
20.07.2004,superando se stessa, ha poi
confermato il proprio precedente orientamento,
ulteriormente specificando che:
“Si deve concludere che né la lettera, né la
ratio della legge escludono il diritto ai
permessi retribuiti in caso di presenza in
famiglia di persona che possa provvedere
all’assistenza”
e quindi l'esclusività dell'assistenza non è
intaccata nel caso in cui il disabile sia
assistito anche da badanti, assistenti
domiciliari, volontari ecc
La Corte Costituzionale, nella sentenza n.
325/1996, aveva posto in evidenza la necessità
di superare o contribuire a far superare i
molteplici ostacoli che il disabile incontra
quotidianamente nelle attività sociali e
lavorative e nell’esercizio di diritti
costituzionalmente protetti. Non è
immaginabile invero che l’assistenza al disabile
si fondi esclusivamente su quella familiare,
stabilendo i seguendo criteri:
1. a nulla rileva che nell’ambito del nucleo
familiare della persona con disabilità in
situazione di gravità si trovino conviventi
familiari non lavoratori idonei a fornire
l’aiuto necessario;
2. la persona con disabilità in situazione di
gravità - ovvero il suo amministratore di
sostegno ovvero il suo tutore legale – può
liberamente effettuare la scelta su chi,
all’interno della stessa famiglia, debba
prestare l’assistenza prevista dai termini di
legge;
3. tale assistenza non deve essere
necessariamente quotidiana, purché assuma i
caratteri della sistematicità e dell’adeguatezza
rispetto alle concrete esigenze della persona
con disabilità in situazione di gravità;
4. i benefici previsti si devono riconoscere
altresì a quei lavoratori che – pur risiedendo o
lavorando in luoghi anche distanti da quello in
cui risiede di fatto la persona con disabilità
in situazione di gravità - offrono allo stesso
un’assistenza sistematica ed adeguata.
Anche il Tribunale di Roma, con sentenza sez.IV
Lavoro del 6.4.2004, ha ammesso che:” in base
alla normativa in materia è condizione
necessaria e sufficiente per aver diritto al
beneficio che il lavoratore richiedente sia di
fatto l'unico ad assistere il parente o affine,
essendo del tutto irrilevanti i motivi (fisici,
lavorativi o in ipotesi anche solo egoistici),
per cui altri non lo sostituiscano o lo
coadiuvino”
La
ratio della legge in esame, infine, è ben
illustrata dalla sentenza del TAR Napoli, Sez.
VII, 28 febbraio 2007 / 10 maggio 2007, n. 4909
(Pres. Guerriero, est. Camminiti) quando dice
che:
“la
finalità della norma non è infatti volta solo al
riavvicinamento del soggetto al nucleo
familiare, ma è diretta ad evitare che il
portatore di handicap si trovi senza assistenza
a causa della lontananza della sede di servizio
della persona che se ne occupa in modo
continuativo” ed aggiunge : “ il legame
che la norma intende tutelare…. è diretto in
modo specifico verso quel soggetto su cui
ricadono il maggior sforzo e la maggiore
responsabilità nell’assistenza al portatore di
handicap tanto da potersi qualificare, solo per
tale persona, come continua ed esclusiva,
circostanza che richiede, al riguardo, una
esplicita dichiarazione e documentazione da
parte di chi aspiri al beneficio”.
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