LEX : IL CASO
SULEJMANOVIC
La Corte europea dei
diritti dell'uomo – creata a Strasburgo nel 1959
tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa -
riunita in Camera di Consiglio ha emesso il 16
luglio 2009 la sentenza nella causa intentata
dal 36enne Izet Sulejmanovic, cittadino della
Bosnia Erzegovina, contro l’Italia.
Con 5 voti favorevoli su 7 il nostro Paese è
stato condannato ad un risarcimento pari a 1000
euro per danni morali subiti dal Sulejmanovic
durante il periodo di carcerazione trascorso nel
carcere di Roma Rebibbia tra il 2002 e il 2003,
carcerazione avvenuta in violazione della
Convenzione Europea
per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e
delle Libertà Fondamentali
che all’art.3
stabilisce:
“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a
pene o trattamenti inumani o degradanti”
La sentenza rappresenta un precedente gravissimo
per l’Italia con conseguenze imprevedibili per
la casse dello Stato se l’esempio venisse
seguito dagli oltre 63.000 detenuti ammassati
nelle celle dei nostri penitenziari.

Sulejmanovic, già
condannato
tra il 1992 e il 1998 a due anni, cinque mesi e
cinque giorni di reclusione per evasione,
rapina aggravata, furto e falsificazione di
documenti,
il 30 novembre 2002 si era presentato alla
Questura di Roma per ottenere un permesso di
soggiorno ma era stato arrestato e condotto a
Rebibbia per espiare una pena residua di 9 mesi
e 5 giorni.
Dal giorno dell’arresto e fino al 15 aprile
2003, aveva sostenuto poi il detenuto nella sue
denunzia alla Corte, era passato in diverse
celle aventi una grandezza di mq 16,20,
condivise con altri cinque compagni per cui a
ciascuno di essi rimaneva uno spazio di soli
2,70 mq. Dal 15 aprile al 20 ottobre era stato
con quattro persone disponendo in tal caso di mq
3,40. Nella denunzia aveva scritto che era stato
in cella ogni giorno per più di 18 ore, da dove
era uscito solo per fruire di poco più di
quattro ore e mezzo di “aria”, regime vissuto
fino alla scarcerazione, avvenuta il 20 ottobre
2003.
Già qualche mese prima, però, il 4 luglio 2003,
i suoi avvocati avevano denunziato la violazione
dell’art.3 alla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo, lamentando le condizioni di
detenzione, in particolare lo stato di
sovraffollamento (1560 detenuti invece che 1188)
e il tempo ritenuto inadeguato trascorso fuori
della cella.
Il Governo italiano, a richiesta della Corte e
con nota datata 4.7.2008, aveva trasmesso la
documentazione relativa alla carcerazione del
Sulejmanovic, allegando gli ordini di servizio
della Direzione di Rebibbia circa
l’organizzazione delle sezioni detentive dove
era stato ristretto il ricorrente ed un
prospetto cronologico delle celle dove era stato
con indicazione del numero degli occupanti.
La Corte, dopo aver analizzato la normativa
penitenziaria italiana e internazionale, si era
pronunziata in maniera positiva circa la
ricevibilità del Ricorso, valutando le
contrapposte tesi del detenuto e della difesa
formulate dal Governo italiano.
In ogni caso, anche sulla base dei documenti
dell’Italia, era risultato che il detenuto per
più di due mesi e mezzo aveva condiviso una
cella con altri disponendo per sé di soli
mq.2,70 - cosa che era stata fonte di disturbo e
di disagio quotidiano - ben al di sotto della
superficie minima prevista dal CPT (Comitato per
la Prevenzione della Tortura).
Tale fatto poteva configurare gli estremi del
trattamento disumano e degradante in violazione
dell’art.3 della Convenzione.
Per quanto attiene invece al periodo trascorso
fuori della cella, la Corte aveva accertato –
attraverso la documentazione esibita dall’Italia
- che il detenuto poteva trascorrere 8 ore e 50’
fuori della stessa, calcolando le ore del
cortile di passeggio, quelle della sala ping
pong e del tempo trascorso per consumare il
pasto nella cella di altri detenuti.
Valutate le contrapposte posizioni in fatto e in
diritto, si era passati ad esaminare la
richiesta risarcimento per danni fisici e
psichici che il Sulejmanovic aveva quantificato
in 15.000 euro, somma considerata esorbitante
dal governo italiano che aveva messo in evidenza
come il detenuto avesse beneficiato di una legge
proprio finalizzata ad attenuare il problema del
sovraffollamento e che già lo stesso
riconoscimento della avvenuta violazione
avrebbe potuto costituire una soddisfazione
equa. In via subordinata si dichiarava disposto
a riconoscere un risarcimento non superiore a
3.000 euro.
La Corte, visto
l’art.41 della Convenzione secondo cui in caso
di accertata violazione va riconosciuta alla
parte lesa un risarcimento equo,
il
16.7.2009 ha stabilito - con il voto contrario e
motivato del giudice Vladimiro Zagrebelsky,
rappresentante per l’Italia, cui si è associato
un altro giudice - che il Sulejmanovic ha
subito un torto morale certo, riconoscendogli un
risarcimento per danni, ritenuto equo per una
somma pari a 1.000 euro.
Di particolare interesse la approfondita
dissertazione tecnico giuridica del Dr.
Zagrebelsky. Ha ricordato, tra l’altro,
che quando il Comitato per la Prevenzione della
Tortura prevede per una cella una grandezza
“auspicabile” – e non “minima” – di mq.7, si
riferisce alle celle dei Comandi di polizia e
non alle celle di reclusione dei penitenziari,
dove soggiornano normalmente più persone,
escludendosi qualunque automatismo nel rapporto
tra cella e detenuti ristretti.
Ha ricordato poi alla Corte – richiamando la
pregressa giurisprudenza di quello stesso organo
- che nei casi in cui essa si è pronunciata
sulla violazione dell’art.3, il numero eccessivo
di detenuti rispetto alla dimensione della cella
non è stato mai un criterio esclusivo. Nei casi
precedenti, infatti, si sono presi in
considerazione altri fattori, quale un accesso
insufficiente del detenuto all’aria e alla luce
naturale, un’ igiene carente, un calore
eccessivo associato alla mancanza di
ventilazione, il rischio di diffusione di
malattie, la mancanza di acqua potabile o
corrente, la condivisione dei letti tra i
detenuti, una limitazione del periodo d’aria, il
fatto che i servizi sanitari fossero in cella e
visibili, la mancanza di cure adeguate a
detenuti affetti da patologie. In altri casi si
era decretata la mancata violazione dell’art.3
quando lo spazio personale era compreso tra 2,70
e 3,20 mq.
Nel caso di
Sulejmanovic nessuno di questi elementi era
stato denunziato, se non la mancanza di spazio.
Il Giudice ha analizzato poi approfonditamente
altri elementi per motivare il suo dissenso, con
valutazioni che non è possibile riportare
compiutamente non essendo questa la sede più
opportuna.
Certo è che non vanno sottovalutate le
conseguenze della sentenza in Italia e negli
altri Paesi europei dove il problema del
sovraffollamento è altrettanto drammatico. Va di
certo condivisa la conclusione dello stesso
Zagrebelsky quando dice che questo affare avrebbe dovuto trovare una
conclusione differente e che il problema che
pone va ben al di là del singolo caso di specie.
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