Amici lettori di ViviTelese,
vi segnalo i seguenti
articoli.
Maria Pia Cutillo
A proposito di Caruso e di
De Gennaro….
http://www.carta.org/campagne/genova+2001/12554
Ecco perché stiamo con gli
imputati del Sud ribelle
Eva Catizone
già sindaco di Cosenza
::
Franco
Piperno
già assessore al comune di
Cosenza
[24 Gennaio
2008]
La vicenda giudiziaria dei
militanti della rete “Sud
Ribelle”–degli altri
coimputati calabresi nonché
del napoletano Francesco
Caruso e del veneziano Luca
Casarini–ha avuto inizio
quasi sei anni fa, quando la
nostra città viveva ancora
quella sua fase di rinascita
culturale e rinnovamento
urbanistico. A quei tempi,
Cosenza costituiva un
riferimento non solo per le
altre città calabresi ma
anche per quelle, di
dimensioni urbane analoghe,
sparse per tutto il
Meridione.
Va detto subito, per
l’intelligenza di tutta la
vicenda, che, all’epoca,
anche l’amministrazione
cittadina era diversa,
talmente diversa da
organizzare subito,
all’indomani degli arresti,
assieme a centinaia di
giovani militanti no-global
di ogni parte d’Italia, una
grande manifestazione di
protesta contro i
provvedimenti giudiziari e
di solidarietà attiva verso
coloro che ne erano colpiti.
Si è trattato di una delle
più grandi manifestazioni,
per numero di partecipanti e
fusione collettiva, che
Cosenza abbia mai conosciuto
nel corso della sua lunga
storia. La città era quasi
tutta là, orgogliosa e fiera
dei suoi giovani figli
ribelli. In effetti, i
mandati di cattura
apparivano provvedimenti
giudiziari molto gravi ma
poco seri, scarsamente
credibili. L’idea della
locale Procura era che,
dalla Calabria, tra Diamante
e Cosenza, fosse partito,
nel ‘98 un disegno
sovversivo contro “l’ordine
economico mondiale”; e che
le stesse giornate
sanguinose di Genova
rientrassero in quel
disegno; tutto questo prima
d’essere incredibile
risultava, con ogni
evidenza, ridicolo.
V’era, piuttosto, il
sospetto che la stessa mano
che aveva ordinato le
cariche ed i pestaggi a
Genova, avesse voluto,
l’anno successivo,
costruire, a Cosenza, un
contro-altare al processo
avviato nella città ligure
contro gli alti funzionari
di polizia responsabili,
insieme a decine di agenti e
carabinieri, non solo di
violenze fisiche al limite
del sadismo ma anche di
omissioni e false
testimonianze volte ad
occultare quelle stesse
violenze.
Così sembrava; anche perché
v’era un raccordo
istituzionale tra i pestaggi
contro i no-global a Genova
ed i mandati di cattura
contro i no-global a
Cosenza, cioè tra capo della
polizia e procura cosentina,
rappresentato da un certo
sottosegretario del governo
Berlusconi, sottosegretario
qualche po’ corrivo, il cui
nome, al momento, ci sfugge…
Da allora, il processo si è
trascinato stancamente,
udienza dopo udienza, per
tutti questi anni. Nel
frattempo la città è
degradata: i finanziamenti
europei sono intercettati e
dissipati dalla più
pericolosa tra le
criminalità, quella
rappresentata da certo ceto
politico; la pubblica
denuncia delle attività
della malavita tradizionale
ha il sapore dell’alibi;
sorgono
come funghi palazzoni brutti
e costosi; i nuovi quartieri
sono privi di piazze e
perfino di marciapiedi; le
strade, sempre più strette,
sono intasate dalle
macchine; le assunzioni del
personale pubblico avvengono
secondo un criterio
familistico-clientelare,
talmente sicuro di sé da
evitare l’ipocrisia del
nascondersi.
Anche l’amministazione è
cambiata, come è giusto che
sia; ora ve ne è una del
tutta adeguata ai tempi.
Quel che risulta paradossale
è che la Procura cosentina
abbia speso i soldi dei
contribuenti per occuparsi
delle vite parallele di
Cirillo e Caruso, piuttosto
che gettare una occhiata nel
mondo purulento della
speculazione edilizia e
della corruzione
istituzionale. In mezzo a
tanta degenerazione vi sono
questi ribelli che
testimoniano con le loro
vite contro la rassegnazione
ed il cinismo.
Sono loro che salvano
l’onore della città. Per
questo anche noi saremo
presenti agli appuntamenti
pubblici in occasione delle
ultime scadenze processuali;
ed invitiamo le donne e gli
uomini a dimostrare, come
sei anni fa, la solidarietà
ai figli migliori di questa
città.
Venerdi 25 Gennaio 2008 ::
ore 10:41
Governo. Caruso: «Ora mi dia
solidarietà Mastella»
“Ora mi aspetto la
solidarietà di Mastella”. Ad
affermalo è il parlamentare
del Prc Francesco Caruso,
che spiega: “Ieri il Pm di
Cosenza ha chiesto per me e
altri compagni 6 anni di
carcere e 3 di libertà
vigilata per il reato di
cospirazione politica. Un
teorema giudiziario sui
fatti del G8 Genova che non
si capisce nemmeno
lontanamente il perché si
stia svolgendo a Cosenza, se
non per la presenza in
quella procura di un
farneticante pubblico
ministero che, unico al
mondo, ha scoperto che
dietro il controvertice di
Genova non c’era un
movimento contro la
globalizzazione, ma una
trama cospirativa ordita da
13 meridionali, compreso il
pur sempre veneto Casarini,
finalizzata a turbare
l’esecuzione delle funzioni
del governo italiano”.
“Attendo ora la solidarietà
di Clemente Mastella, lui
che non solo ha turbato le
funzioni del governo ma l’ha
fatto direttamente cadere,
lui che grida allo scandalo
se inquisiscono i suoi amici
e parenti, non può tacere
dinanzi a questo teorema
giudiziario, dinanzi ai
deliri di questo pubblico
ministero, all’attacco
politico che si cela dietro
questo tentativo osceno e
vergognoso di far passare il
movimento noglobal come una
banda di cospiratori. Il suo
silenzio dimostrerebbe
l’ipocrisia di chi vuole
semplicemente l’impunità e
il garantismo per sé, i suoi
amici e i suoi familiari. Se
vogliamo affrontare
seriamente il rapporto tra
politica e magistratura, per
prima cosa vanno abrogati i
reati associativi e di
opinione promulgati nel 1931
dal regime fascista per
colpire gli oppositori
politici ed ancor oggi in
vigore, perché nessun
magistrato, per quanto
psicolabile, può pensare di
sbattere in galera una
persona solo per le sue
idee”, conclude Caruso.
Il trionfo di De Gennaro
Lorenzo
Guadagnucci
Comitato Verità e giustizia
per Genova
[14 Gennaio
2008]
La lettera di Lorenzo
Guadagnucci a Liberazione
[13.01.08]
Caro direttore,
anch’io, come Vittorio
Agnoletto, sono rimasto
senza parole, quando ho
saputo della nomina di
Gianni De Gennaro a
commissario speciale per
l’emergenza rifiuti in
Campania. Se ho ritrovato la
parola e butto giù queste
righe, è per esprimere il
mio malessere e il mio
sconcerto di fronte
all’atteggiamento rassegnato
e complice tenuto da
parlamentari, forze
politiche, testate
giornalistiche che sono
state spesso al nostro
fianco nella battaglia
etica, politica, giudiziaria
seguita alle tragiche
giornate del G8 2001. Tutti
noi sappiamo quanto sia
potente Gianni De Gennaro e
quale peso abbia all’interno
delle nostre forze
dell’ordine: capo della
polizia dal 2000 al 2007, è
al vertice di una cordata di
funzionari e dirigenti che a
questo punto dobbiamo
ritenere inamovibile. Ma
sappiamo anche che la sua
continua, inarrestabile
ascesa–possibile grazie
all’ormai unanime plauso
delle forze
politiche–comporta il
pagamento di un prezzo
altissimo: la rinuncia a
ricomporre la frattura fra
forze dell’ordine e
cittadinanza, che si
determinò nel luglio 2001 a
Genova.
E’ una frattura assai
pericolosa in ogni
democrazia, e tanto più in
quella italiana, che è
fragile, esposta a
ricorrenti ondate populiste
e incamminata, proprio da
quell’estate di sette anni
fa, lungo il sentiero
dell’autoritarismo.
Caro direttore, sai meglio
di me in che modo sciagurato
sia stato gestito il dopo
Genova nel nostro paese.
Anziché ribadire l’assoluta
preminenza delle garanzie
costituzionali, chiedere
scusa alle vittime delle
violenze e a tutti i
cittadini, rimuovere i
vertici delle forze
dell’ordine (De Gennaro in
testa), istituire una
commissione d’inchiesta, si
è legittimato il
comportamento tenuto dalle
forze di sicurezza nelle
strade, nelle scuole e nelle
caserme di Genova, delegando
alla magistratura il compito
di accertare eventuali
responsabilità penali, ma
avendo cura–nel frattempo–di
promuovere tutti i maggiori
imputati, in modo da far
capire da che parte sta lo
stato.
Sono cose che sai bene,
quindi non può sfuggirti il
senso che assume oggi la
nomina di De Gennaro a un
ruolo così delicato nei
contenuti e così visibile e
importante nella percezione
pubblica.
Diciamola tutta: è il
trionfo di De Gennaro, un
trionfo politico e
addirittura morale. Io sono
convinto che il dottor De
Gennaro abbia una grande
carriera alle spalle e in
aggiunta non amo
personalizzare le questioni
politiche, ma non sono così
ingenuo da non cogliere la
portata dell’esibizione
della sua figura–da parte
del potere politico–di
fronte a un’opinione
pubblica allarmata e
infuriata.
Il potere politico mostra De
Gennaro come l’uomo forte,
il grande poliziotto,
chiamato ancora una volta a
‘salvare la patria’. E la
mente di tutti corre al
2001: anche allora, dunque,
a marzo a Napoli e in estate
a Genova, salvò la patria.
Questo è il messaggio che
passa e perciò, comunque
vada a finire coi rifiuti,
Gianni De Gennaro sta
vivendo la sua apoteosi.
Anch’io, come Vittorio
Agnoletto, nel mio piccolo
non mi riconosco in
quest’operazione, e anzi la
contesto, e dico che Gianni
De Gennaro avrebbe meglio
onorato la sua carriera
lasciando il suo incarico il
22 luglio 2001, a G8 appena
finito. Ha scelto invece di
rimanere, con la complicità
dei governanti di allora e
di oggi, e di continuare
nonostante tutto la sua
carriera. Purtroppo non è
una questione personale,
perché tutti noi paghiamo il
prezzo di questa scelta: la
frattura del 2001 che non si
ricompone, il potere
politico che abdica di
fronte allo strapotere degli
apparati di sicurezza e
quindi la democrazia che si
inoltra sul cammino senza
ritorno dell’autoritarismo.
Vogliono farci credere che
le crisi economiche, le
ingiustizie locali e
planetarie, la
sovraproduzione di merci e
di rifiuti si affrontano con
le polizie, gli eserciti, i
de gennari: è la stessa
risposta che ci diedero nel
luglio 2001. Io continuo a
ribellarmi a questa follia.
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