Vorrei proporre ai lettori di ViviTelese (con
occhio particolare per chi si sente nell'anima
concittadino onorario di Clemente
Mastella) un'interessantissima lettera che Paolo
Guzzanti ha scritto
a colui che ha corrotto la nostra gioventù e ha
trasformato la nostra democrazia in una "mignottocrazia".
Vi si legge:
"Essere italiani e viaggiare all’estero è
diventato un mestiere molto duro, per colpa tua,
Silvio Berlusconi."
Noi possiamo dire lo stesso al nostro sindaco,
nonché all'intero Consiglio Comunale,
unanimamente ubbidiente:
"Essere telesini e uscire dai confini comunali è
diventato un mestiere molto duro, per colpa
vostra."
Buona lettura
Fulvio Del Deo
All’inizio sei riuscito ad ingannarmi.
Ti sei presentato come il campione dei liberali.
Lettera aperta e guanto di sfida a Silvio
Berlusconi
7 settembre 2009
Caro Silvio
sono sicuro che il tuo ufficio stampa ti porterà
questo scritto che dedico ai miei amici del blog
Rivoluzione Italiana, ma che ha te come
destinatario.
Qualche mese fa mi hai telefonato per chiedermi la ragione “di tanto
odio”. Ti ripeto oggi quel che ti dissi subito:
io non soltanto non ti odio affatto (odiare non
è il mio mestiere, mi riesce malissimo), ma per
me sei e resti una persona simpaticissima, direi
quasi irresistibile. Coloro che ti odiano senza
conoscerti non lo sanno: non conoscono il
Berlusconi privato, personale, affettuoso,
amichevole, pronto a soccorrere anche gli
sconosciuti in difficoltà. Sia D’Alema che
Cossiga, per dirne due fra tanti, hanno
testimoniato questo aspetto della tua natura,
l’aspetto seduttivo che è – anche –protagonista
politico di quelle tue vicende che da personali
si sono fatte politiche a partire dal momento in
cui tu decidesti di andarle ad esporre davanti a
microfoni e telecamere del servizio pubblico.
Tutto quel che è successo a causa dei rapporti fra te e le donne, è
successo – anche – a causa della tua natura
incerta sui confini dell’affettuosità, della
liceità, della opportunità, del buon gusto e in
definitiva sui confini netti fra bene e male. Tu
pensi, hai sempre pensato e sempre penserai, di
essere un caso unico ed eccezionale cui tutto è
permesso, per cui tutto è perdonabile e
riconducibile ad una natura sempre più vasta di
bontà eccelse e intenti nobili.
E’ ciò che determina e configura lo sconfinamento della megalomania
sulla coscienza dei limiti, ed è il tuo problema
personale che si riflette come problema
politico. I comunisti non c’entrano. Non
c’entrano i complotti, non c’entra Murdoch. Hai
fatto e seguiti a fare tutto da solo, salvo
infuiarti e scatenare i tuoi avvocati se i tuoi
nemici ci sguazzano.
Certo: quelle anime nere, o rosse, di comunisti, nemici, avversari,
competitori, di fronte a tanta grazia da te
imbandita, banchettano e mangiano a quattro
palmenti la messe che tu servi loro,
ringraziando per la tua suicida generosità.
Quando ti vedevo, nelle conventions (mai “congressi”! per carità:
l’idea di somigliare ai veri partiti ti dà
l’orticaria) rabbrividivo di fronte alla tua
mania sempre meno innocente di corteggiare,
seminare complimenti, carezze, allusioni e
commenti per le donne più carine o appariscenti.
Quando qualcuno mi chiede che cosa io intenda io quando ho duramente
stigmatizzato l’espressione delle tue pulsioni,
racconto sempre di quella volta in cui a una
convention mi sei comparso davanti travolto da
uno stuolo di fans assatanati, maschi e femmine,
e mi hai chiesto festoso e urlante se avessi
approfittato della calca per palpeggiare una
donna che ti aveva colpito.
Rimasi basito, ma non per perbenismo (sono anch’io un porcello del
gregge di Epicuro) ma per l’inopportunità,
l’incongruità, l’incapacità di distinguere fra
politico e showman, fra avanspettacolo e
istituzioni, dal momento che i partiti politici
in una democrazia sono istituzioni e non club
privati e a luci rosse.
Mi hanno sempre colpito questi congressi-convention con le hostess
tutte uguali, carine, alte, col culetto
impacchettato nella minigonna a tubo, le tettine
acute, lo sguardo dolce. Oggi imparo che questa
fauna si chiama ragazze immagine,
accompagnatrici, hostess, alla peggio escort.
L’importante è che abbiano un visino pulito e
innocente e a cena indossino un vestitino nero
di Armani, possibilmente senza gioielli.
L’immagine dell’innocenza scatena la libido. Ho
sempre visto con quanto disprezzo, anche
manifesto e offensivo, tratti le donne in
menopausa, tutte quelle carampane eccessivamente
truccate e ingioiellate che ti si affollano
intorno a migliaia, appiccicose e osannanti,
sognanti, adoranti. Anche a loro non hai mai
lesinato una barzelletta spinta, anche
spintissima, che desse a quelle povere donne
sfiorite il frisson della seduzione,
dell’avventura col capo.
Io vengo da una generazione che ha convissuto con i movimenti di
protesta, con il femminismo in particolare. Le
nostre ragazze di un tempo erano femministe e ci
hanno fatto sudare freddo più di una volta. Ma
noi allora pensavamo che da certe conquiste di
rispetto della donna non si potesse più, mai
più, tornare indietro. Tu ci hai insegnato
invece che su quelle conquiste minime di
rispetto ci si potesse ballare il flamenco e la
czarda, che si potessero calpestare e deridere
come hai sempre fatto, peggiorando nel tempo.
Pensai allora: questo è il suo tallone d’Achille. La sua adolescenza
è ripresa con una furia senile. E più la tua
furia cresceva, più convocavi donne al tuo
desco, alle tue cene, al tuo tavolo, per
raccontare a raffica decine, centinaia di
barzellette, spesso usate come strumento di
allusione, seduzione, demolizione del pudore.
Certo, mi preoccupava la tua frenesia di
raccontare barzellette alle deputate e alle
aspiranti deputate che né io né te avremmo
raccontato alle nostre figlie.
E, a proposito di figlie, ricordo con particolare piacere le volte
in cui mi hai presentato a qualcuno dicendo:
“Paolo ha chiamato sua figlia Libertà, anzi
Liberty perché ama l’America”. E’ vero. E anche
questo è un fatto politico. Il nome completo
della mia terza figlia è Liv Liberty Atpoh
Guzzanti, dove “Atpoh” sta per “and the pursuit
of happiness”, il diritto a cercare e trovare la
felicità, che è il terzo diritto umano dopo
quello alla vita (Liv, vita in svedese in
omaggio alla sua nonna) e alla libertà.
Ho dato, con mia moglie Jill, a nostra figlia i nomi dei principi
della Rivoluzione Americana: diritto alla vita,
alla libertà e alla ricerca della felicità.
Questo è ciò che distingue il liberale dagli
altri: subito dopo il diritto a vivere, viene
immediato quello della libertà, di cui tu ti
riempi la bocca, senza praticarla e senza
tollerarla.
Ma all’inizio sei riuscito ad ingannarmi. Ti sei presentato come il
campione dei liberali. Il cavaliere che ha
raccolto nella polvere la bandiera caduta della
libertà e la vuole restituire alla società. E mi
sono sentito pugnalato alla schiena quando ho
visto che tu di liberale non solo non hai mai
fatto nulla, ma quel che hai fatto lo hai fatto
andando esattamente nella direzione opposta:
quella di sterilizzazione del Parlamento da far
occupare presto da ragazze e giovanotti di
bell’aspetto; selezione del personale politico
attraverso il criterio del sex appeal che ho
chiamato “mignottocrazia” perché consiste in un
rapporto di scambio e investimento sessuale,
fosse anche solo simbolico; una politica estera
votata a sostenere un megalomane assassino delle
steppe e un altro megalomane assassino della
sabbia; il tradimento sostanziale dell’alleanza
con i bastioni dell’Occidente – Stati Uniti e
Regno Unito – i quali sono profondamente furiosi
con te, quali che siano le smorfie e le
edulcorazioni della diplomazia.
Gli americani in particolare ti detestano per le scelte energetiche
e perché insisti a dire che tu sei il mediatore
fra loro e la Russia (ho misurato personalmente
il loro disprezzo).
Hai corrotto – l’ho detto e lo ripeto – la gioventù italiana
offrendo specialmente alle donne
obiettivi-premio che possono con indifferenza
essere ripartiti fra serie televisive, posti al
Parlamento europeo e italiano, candidature
locali, reality shows, fictions, ruoli di
accompagnatrice, di ragazza immagine, di governo
della Repubblica italiana.
Ma l’accusa principale che io ti rivolgo, è di
aver sepolto e tradito la rivoluzione liberale
che l’Italia aspettava, per imporre al suo posto
la berlusconocrazia, un regime personale in cui
si misura ossessivamente il consenso dai
sondaggi che sostituiscono ormai l’espressione
popolare, alla stessa maniera con cui si
misurano gli ascolti televisivi con l’auditel.
Tu hai inoltre instaurato il presidenzialismo di fatto. Cosa contro
la quale, in sé, io non avrei nulla contro,
purché fosse scritta sulla Costituzione e nel
caso in cui una tale modifica costituzionale
fosse venuta dopo i necessari passaggi, i
necessari dibattiti di fronte al popolo, per
essere alla fine approvata dal popolo.
Tutti fummo consapevoli della forzatura con cui nel 2001 ti
presentasti scrivendo sulla scheda della
coalizione “Berlusconi presidente”, e cioè
sottoponendoti a un imprevisto e illegittimo
referendum popolare. Io allora ne fui tuttavia
contento con molti altri, perché vidi in quel
gesto il segno di una rottura, la formazione di
uno strumento rivoluzionario utile se fosse
stato messo al servizio della tanto auspicata
rivoluzione liberale.
Tutto si svolgeva allora e si svolge oggi su un panorama di macerie
ideali, organizzative e di capacità politica di
una sinistra suicida, rabbiosa, impotente,
litigiosa, meschina, affarista, incapace di
sedurre moralmente e idealmente.
Le condizioni per una rivoluzione democratico parlamentare liberale
c’erano tutte. Bisognava trasformare la melma
televisiva in cultura, sciogliere i nodi che
legano l’informazione inaugurando l’esercizio
della libertà alla informazione completa e
indipendente, bisognava affrontare a muso duro e
definitivo l’anti-Stato mafioso camorrista
investendo nel recupero del suolo italiano e
della popolazione italiana abbandonata;
bisognava far sentire forte e potente l’odore
della libertà agli studenti, ai ricercatori
(Obama cura la crisi con la ricerca scientifica,
non strozzandola); bisognava far sentire che lo
Stato tutela ogni modo di sentire, ogni modo di
credere e anche di non credere, ogni singola
individualità personale che gode i diritti di
una minoranza etnica.
Abbiamo avuto invece arroganza, ignoranza, incompetenza, miopia,
cafè chantant di governo. E siamo stati
ammorbati, volenti o nolenti, dalla tua
esuberanza affettiva, amorosa, farfallona, dalle
chiacchiere che ti seguono come un nugolo di
mosche, dalla stampa internazionale di destra –
lascia perdere quella di sinistra, guarda alla
destra mondiale se vuoi misurare il tuo
fallimento – indignata, preoccupata del cattivo
esempio, imbarazzata.
Essere italiani e viaggiare all’estero è diventato un mestiere molto
duro, per colpa tua, Silvio Berlusconi.
Io sono stato l’ultimo, sia in ordine di tempo che di importanza,
dei giornalisti e degli intellettuali di
sinistra, che sia corso da te per aiutarti –
pensa tu che ingenuità, che follia – a compiere
quella rivoluzione. Sembravi a me e a tanti
l’uomo della rottura, un uomo tutt’altro che
esente da gravi difetti, ma un uomo che mandava
in bestia la sinistra più codina e conformista,
professionista dell’odio e del rancore.
Di quella sinistra che ha ucciso la sinistra ne avevamo e ne abbiamo
abbastanza. Ti ho difeso quando li mandavi in
bestia mettendoti la bandana per Tony Blair
(anche se poi ho letto che Blair ha avuto il
voltastomaco di fronte a quelle foto) e ti ho
difeso a spada tratta anche quando eri
dubbiamente difendibile perché ai miei occhi
seguitavi a rappresentare la speranza di una
rottura del vecchio sistema, uno strumnto, una
possibilità e anche un prezzo da pagare in vista
della prospettiva di una ricostruzione
rivoluzionaria della democrazia parlamentare (e
non della sua uccisione).
Per questo io oggi non sono tornato “a sinistra”, ma sono entrato
nel Partito Liberale Italiano, quello antico e
storico, dove sono stato eletto vice segretario.
Da quel piccolo, vitalissimo partito io ti lancio la sfida.
La mia sfida nel contenderti gli italiani che come me hanno sognato,
immaginato, sperato in una rivoluzione liberale
democratica ed hanno avuto invece soltanto il
tuo personale regime sempre più in conflitto con
le regole della democrazia, fino a lasciar
prefigurare e temere uno scontro in nome della
difesa estrema della democrazia liberale e
parlamentare.
A me nessuno potrà mai darmi del comunista e amico dei comunisti,
diversamente da te che treschi con l’ultimo capo
del KGB, lo stesso KGB che mi ha tragicamente
combattuto quando io, in nome e per conto del
Parlamento della Repubblica, indagavo sulle
malefatte sovietiche e post sovietiche in
Italia, che investono in pieno la questione dei
“misteri d’Italia” e delle risposte insolute a
tanti crimini, a cominciare da quello Moro, fino
alla strage di Bologna, passando per Ustica che
è la strage sorella di quella gheddafiana di
Lockerbie, per quella del treno di Natale e di
tutte le malefatte del terrorista Carlos quando
era integrato nei servizi operativi del KGB e
della Stasi, ai tempi in cui il tuo amato amico
Vladimir le rappresentava e le coordinava tutte
e due.
A me nessuno potrà darmi del comunista, mentre tu oggi sei il
migliore amico del capo e della storia del KGB e
quando hai dovuto scegliere se schierarti con il
Parlamento Repubblicano o con le tue nuove
amicizie nella polizia segreta post-sovietica
non hai avuto tentennamenti: hai scelto la
seconda non pronunciando una sola sillaba in
difesa del Parlamento, quando una Commissione
del Parlamento era sotto il più feroce attacco
del KGB.
Un giorno mi dicesti: “Putin è una persona dolcissima. E’ un uomo
mite e buono. Se mi dicessero che è un
assassino, sarebbe come se mi dicessero che tu,
Paolo, sei un assassino. Potrei mai crederlo?”.
Senza perdere altro tempo posso recapitarti una
intera biblioteca delle imprese del tuo amico,
con in testa “Il mio agente Sasha”, di mia
fattura. Non ti farebbe male.
Ma se oggi ti scrivo pubblicamente è perché da liberale, da vice
segretario del Partito Liberale, io ho deciso di
sfidarti politicamente. Io minuscolo Davide
contro te enorme mastodontico onnipotente Golia
con tutti i poteri, i giornali, i direttori, i
telegiornali, gli apparati dello Stato. Tu non
sei in condizione di reggere uno scontro con me
ad armi pari, in un duello televisivo, perché mi
ti mangerei.Tu con me puoi vincere solo
chiudendomi la bocca, impedendomi di parlare, di
apparire, di scrivere se è possibile.
Del resto, il mio primo gesto di resistenza contro di te è
consistito nel combattere insieme al segretario
del PLI per impedire che anche il simbolo di
questo rinato antico partito finisse inchiodato
sul caminetto di Arcore sulla stessa panoplia di
teste impagliate che già comprende la Dc, il
Pri, il Psi.
Abbiamo resistito in un congresso di lacrime e sangue, votazioni,
insulti, scontri, aria fetida e passione, come
deve essere la politica vera, non quella
azzurrata e nuvolettata che piace a te.
E abbiamo vinto contro di te e i tuoi amici che volevano incorporare
anche quel residuo di democrazia nel tuo impero
autocratico.
Ora la nostra barca corsara è in acqua e tu cercherai di impedire
che ci si veda, impedire che i giornali e i
telegiornali parlino di noi. Se io potessi
andare in televisione e dibattere con te, ti
farei lietamente a pezzettini. Tu sei del tutto
incapace di reggere un dibattito televisivo
all’americana o alla francese ad armi pari, pari
tempi, argomenti e idee contro argomenti e idee.
Con me non ti sarebbe stato possibile realizzare la vergogna del
dibattito da Vespa sui tuoi affari familiari,
che hai portato tu in piazza per farne un evento
della piazza, salvo protestare perché l’agorà ti
si rivolta contro.
La sinistra non ha con te alcuna possibilità di
farcela. E’ questa la tua forza.
Ma noi liberali sì. Siamo noi la speranza del Paese, non te. E
bloccheremo lo stato di guerra civile in cui hai
precipitato il Paese delegittimando il
Parlamento repubblicano, determinando allo
stesso tempo una degradazione del Paese che si
rispecchia ormai in un giornalismo per bande,
agguati, intimidazioni, minacce, manipolazioni.
A tutto ciò bisogna dire basta e il basta deve venire da noi,
piccoli liberali senza giornali, senza
televisioni, senza potere.
Noi, laici ma rispettosi di chi crede, noi che abbiamo rialzato la
bandiera che tu avevi sottratto alla speranza.
Quando mi telefonasti, mi dicesti che avremmo fatto bene a vederci
per discutere. A me piacciono le discussioni, a
due e ad armi pari. Ecco dunque l’elemento di
partenza per la discussione.
Sono queste le principali cose che avevo da dirti e se vuoi
dibatterne con me, sono pronto, subito, ovunque.
Ti lancio quindi politicamente, lealmente e apertamente, il guanto
della sfida e lo faccio non per me, che ho già
69 anni, ma per tutti i figli degli italiani,
delle donne italiane, affinché possano veder
salva la libertà, la vita e il diritto alla
ricerca della felicità nella dignità e nel
rispetto, attraverso la misura
dell’intelligenza, del merito, della qualità
umana e del lavoro, dell’onestà, della capacità,
della responsabilità, della lealtà. Questo è lo
spirito con cui mi sono posto al servizio del
mio Paese, per quel che posso e per quel che mi
resta da vivere.
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