Intervista con Rosella Postorino e Chiara
Gamberale
Timidi ma incoraggianti segnali di crescita per
l’editoria italiana che quanto a fatturato e
pubblicazione di titoli occupa nel 2009 il
settimo posto a livello mondiale, il quinto in
Europa. E’ quanto emerso dal rapporto
dell’Associazione Italiana Editori (AIE) 2009
sullo stato del comparto, che con 420 soci
ricopre circa il 90% del mercato librario
italiano,presentato in occasione della Fiera del
libro di Francoforte.
Sotto alcuni aspetti, è ancora il segno meno a
connotare il comparto con 3,5 miliardi di giro
d’affari (-3,1) rispetto al 2008, 59.000 titoli
pubblicati (2.000 in meno rispetto allo scorso
anno) per 235 milioni di copie, pari ad un saldo
negativo del 12%.
Tuttavia, non mancano gli elementi positivi in
quanto la lettura in Italia è tornata a
crescere; lo si desume dal fatto che circa il
45% (+ 0,9) di italiani ha dichiarato di leggere
almeno un libro non scolastico nell’anno
precedente, a dimostrazione che il comparto
dell’editoria è stato tra quelli che meno hanno
subito il rallentamento globale dell’economia,
dovuto alle attuali congiunture.
Basti pensare che il “solo” 14% degli italiani
che costituiscono lo zoccolo duro rappresentano
il 41% delle vendite proteggendo in tal modo il
settore dagli effetti critici. Confermata la
maggior propensione alla lettura nel Nord Est,
seguito dal Centro mentre ancora una volta si
confermano fanalino di coda le regioni del Sud,
Basilicata, Calabria e Sicilia su tutte.
Per un segno positivo rappresentato dalla
vendita di libri per ragazzi da 0 ai 14 anni (+
9,1), segna un calo di circa il 6% il mercato
del libro scolastico, frutto innanzitutto di una
maggior propensione delle famiglie italiane ad
attingere al mercato dell’usato o ad altri
canali d’acquisto,internet in primis.
Tale situazione, in prospettiva, è destinata a
peggiorare per effetto della riforma voluta dal
Ministro Gelmini che prevede il blocco
dell’adozione dei testi scolastici per cinque
anni nella scuola primaria e per sei in quella
secondaria con l’obbligo, dal 2012, di adozione
dei soli testi disponibili e scaricabili da
internet.
Quanto ai canali distributivi, tengono le
librerie che, sempre di più, si stanno adeguando
alle esigenze del mercato attraverso la
sperimentazione di nuovi format e da logiche di
network e di franchising.Il risultato è un netto
aumento quasi triplo dei punti vendita passati
dai 317 del 2007 ai quasi 1.900 sull’intero
territorio nazionale.
Sempre con riferimento ai canali d’acquisto,
cresce l’on line e registrano un sostanziale
segno positivo le edicole mentre diminuisce la
Grande Distribuzione (Gdo) per effetto del calo
generalizzato degli acquisti delle famiglie.
Crescono le pubblicazioni legate all’attualità
che in sette anni sono aumentati del 28,1% per
quanto concerne i titoli con un +3,8 % di copie.
Ne
abbiamo discusso con Rosella Postorino e Chiara
Gamberale, scrittrici emergenti ma, soprattutto,
due care amiche.
Rosella,31
anni,calabrese,
Chiara, 32 anni,
conduttrice radiofonica
e
televisiva.
D-
Allora
Rosella,Chiara,innanzitutto grazie per la vostra
disponibilità. Oggettivamente dal rapporto si
evincono timidi ma incoraggianti segnali di
crescita per l'editoria italiana;il 45% (+0,9)
di italiani ha dichiarato di leggere almeno un
libro non scolastico nell'anno precedente, a
dimostrazione che il comparto dell'editoria è
stato tra quelli che meno hanno subito il
rallentamento globale dell'economia, dovuto alle
attuali congiunture. Come interpretate questo
dato?
R (Postorino) -
Non è un segnale che mi
incoraggia realmente. In Italia è considerato un
lettore forte chi legge dodici libri all’anno,
cioè un libro al mese; nel nostro Paese si
leggono pochi quotidiani, e in Europa siamo in
coda nell’uso della banda larga per la
connessione Internet, per esempio: che è
comunque un segnale di avanzamento culturale di
uno stato. Bisogna anche capire di che tipologia
di libri si tratta. Nelle statistiche rientrano
spesso anche volumi di cucina, giardinaggio,
fai-da-te ecc. E in ogni caso si nota, anche
solo osservando le classifiche pubblicate
settimanalmente dagli inserti letterari, che
esiste un divario molto grande tra i bestseller
e gli altri libri (il secondo in classifica
vende spesso molto meno della metà del primo, il
terzo la metà del secondo, tutti gli altri
stanno vicinissimi, ma vendono quasi dieci volte
meno del primo; pensiamo poi ai libri che nelle
classifiche non entrano...). Con molta
probabilità, il libro che tutti hanno letto
durante l’anno è un bestseller. Ma in Italia si
pubblicano circa 65.000 titoli all’anno: chi li
legge? La tendenza che vedo negli ultimi tempi è
la vittoria dei libri per lettori occasionali.
Se alcuni li difendono, sostenendo che possano
educare alla lettura i non-lettori o i lettori
deboli, io non ne sono affatto convinta. Credo
ci sia invece un rischio diseducativo, pari alle
trasmissioni di Maria de Filippi. Se questi
libri favoriscono gli editori nel breve termine,
non lo fanno nel lungo periodo, perché non
educano il gusto, non lo affinano.
R (Gamberale)
- Naturalmente lo valuto positivamente: anche se
non mi sfugge che, essendo quello dell'editoria
un mercato in crisi di per sè, si tratti di un
movimento (o di un mancato movimento verso il
basso) apparente...
D
- Al Nord si legge molto di più rispetto al
Centro - Sud, ulteriore dimostrazione di un
Paese "diviso", senza alcuna allusione politica.
Come valutate la situazione e quali le ragioni:
sociali, culturali, economiche o cosa??
R (Postorino) –
È un discorso molto complesso, che si inserisce
nella “questione meridionale” di cui parliamo da
sempre. Ci sono purtroppo molti aspetti
disfunzionali nelle società del Sud, che
conosciamo e che sono difficili da risolvere, e
che naturalmente vanno a intaccare anche i
consumi culturali. È un dato del tutto previsto
in territori in cui il tasso di scolarizzazione
è più basso, il tenore di vita anche, dove
esiste una sorprendente percentuale di
analfabeti (nel 2005, secondo l’Unione Nazionale
per la Lotta contro l’Analfabetismo, erano sei
milioni in Italia, con un picchio in regioni
come Basilicata, Sicilia e Calabria, che però,
paradossalmente, avevano in percentuale più
laureati di Piemonte e Lombardia), e dove
probabilmente le persone che studiano o che
conducono determinati stili di vita non vivono
più, perché sono emigrate al Nord per
frequentare l’Università o realizzare le proprie
aspettative professionali. È una cosa che mi
addolora, non in quanto scrittrice: in quanto
cittadina italiana. Questo dato è solo
l’ennesimo sintomo di un problema antico: le
differenze sociali ed economiche che esistono
all’interno di una stessa nazione.
R (Gamberale)
- Io scrivo: non m'intendo di queste
cose...Certo è che ho la sensazione che al sud
la distribuzione dei libri sia molto meno
capillare: ma le ragioni, a parte evidenti
dinamiche note a tutti, mi sfuggono
D
- Scrivere in Italia oggi: quanto contano nella
vostra scala di valori il mercato, l'editoria,
il lettore medio (lo insegui o lo desideri)?
Quali sono i Paesi nel mondo in cui vorreste
venissero distribuiti i vostri libri?
R (Postorino)-
Credo che qualunque scrittore
desideri essere pubblicato in qualunque paese
del mondo! Per quanto riguarda il lettore medio:
chi è? Credo sia un’illusione degli editori
poterlo individuare. È come parlare
dell’uomo medio: è una categoria in cui non
credo e che trovo anche un po’ discriminatoria.
Potenzialmente, ogni scrittore vorrebbe arrivare
a più persone possibili. Questo però, per quel
che mi riguarda, non significa farsi
condizionare nel proprio lavoro. Probabilmente è
un errore, ma io ho profonda fiducia nei
confronti dei lettori, credo derivi dalla mia
fede nella letteratura. Non dico che sia
ragionevole, d’altronde nessuna fede lo è. Il
mercato è una cosa che non riguarda lo
scrittore, riguarda gli editori. Assecondare
volontariamente il mercato, oltre a essere
illusorio come dicevo prima, è anche snaturante:
io perderei il gusto di scrivere. La scrittura è
lo spazio della libertà. Il mercato – può
sembrare un paradosso – è ingabbiante.
R (Gamberale)
- Scriviamo tutti per venire letti: e chi lo
nega cerca un alibi per i suoi possibili
fallimenti in questo senso. Per me il lettore
conta, senza dubbio: ma non mi sintonizzo su di
lui, ci mancherebbe. Diceva Pasolini che un
libro può risultare necessario a chi lo legge se
è stato necessario a chi l'ha scritto: ci credo.
E poi come si fa a sintonizzarsi sul "lettore
medio"? Chi è? Che vuole? Che pensa? Per fortuna
siamo tanti, e tutti diversi. L'importante per
uno scrittore credo sia intercettare il SUO,
pubblico. Più è vasto, più è meglio, certo:
anche perchè è testimonianza di una condivisione
del sentire di chi ha scritto un lbro e dei temi
che gli stava a cuore trattare.
D
- Infine, quali potrebbero essere, a vostro
avviso, le migliori strategie per invertire
definitivamente la tendenza??La scuola, i media
potrebbero esercitare un ruolo positivo e
propositivo in tal senso?
R (Postorino) -
Io non sono convinta che leggere
sia necessariamente una cosa indispensabile per
tutti. Per me è sempre stata una forma di
salvezza. Ancora oggi che leggere è diventato
parte del mio lavoro, il piacere che provo
quando mi immergo in un libro che ho scelto per
me, prima di addormentarmi, è incomparabile. È
la sensazione che potrò ancora salvarmi. Riempio
la casa di libri e penso: se perdessi ogni cosa,
comunque avrei i miei libri. Ma non è per tutti
così. Ci sono persone il cui benessere è legato
ad altre cose, non per forza culturali, e io
credo che queste abbiano pari dignità. D’altra
parte, poiché sono convinta che i libri salvino
le persone e le società, mi piacerebbe che tutti
potessero vivere appieno l’intensa esperienza
della lettura. Credo che la scuola possa fare un
grande lavoro in questo senso, attraverso
iniziative coinvolgenti: invitare gli autori in
classe, portare i ragazzi alle fiere, creare
dibattiti tematici trasversali in aula, rendere
i libri vivi. Molte scuole lo fanno
regolarmente, d’altra parte. È che spesso
dipende dall’entusiasmo di singoli insegnanti,
piuttosto che da direttive generali. Ricordo che
alle elementari la maestra ci faceva leggere in
classe ad alta voce, poi ci faceva mettere in
scena il brano che avevamo letto. Tutti, a
turno, lo recitavamo, vicino alla lavagna. Non
c’era un voto, non era un compito, non dovevi
essere bravo. Era un gioco. E ci piaceva. A
tutti. Mi sono spesso domandata se un reality
letterario funzionerebbe. Un reality di
scrittori, dove lo scopo è inventare una storia,
vince la storia più bella o quella raccontata
meglio... Non credo però sia un format
appetibile! La televisione dedica pochissimo
spazio ai libri, i giornali molto di più, ma
vanno spesso incontro al mercato, che vince
sempre. Nella società contemporanea la lettura
non è considerata una cosa gustosa. Una cosa
divertente, un’esperienza sballante o
trasgressiva. E invece lo è. Insieme al cinema,
o alla musica, è una forma di dissociazione che
tutti sperimentiamo da sempre, non ha effetti
collaterali nocivi e, se crea dipendenza, non
intossica.
R (Gamberale) -
I media, certo: ma bisognerebbe
sforzarsi di trovare un modo non pedante per
parlare di libri, restituendo tutto il piacere
che possono portare. E lo stesso piacere
dovrebbe essere trasmesso a scuola. Facile a
dirsi, lo so.
Nuccio Franco
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