PER NON
DIMENTICARE
In queste
giornate afose di un’estate che ormai volge al
termine, rischiano di cadere in un silenzio
assordante due date che rievocano un’immane
tragedia per l’intera umanità. Mi riferisco al 6
e 9 agosto del 1945, quando gli americani
lanciarono le prime bombe atomiche della storia
a scapito delle città di Hiroshima e Nagasaki,
che vennero completamente distrutte. Solo nei
mesi immediatamente successivi alla
deflagrazione i morti furono oltre 200mila.
Secondo stime attendibili, fino ad oggi le
vittime accertate sarebbero oltre 350mila, a
causa soprattutto delle affezioni tumorali
prodotte dalle radiazioni atomiche. Tranne
sporadiche commemorazioni piuttosto rituali,
celebrate in remote località della Terra, nella
fattispecie in Giappone, purtroppo in Europa, e
tantomeno in
Italia, non sembrano minimamente tenute in conto
le ricorrenze legate a quegli orribili
avvenimenti. Al contrario, stanno passando senza
far rumore. A riprova che esiste la ferma
volontà di cancellare ed estinguere la memoria
di tali esperienze.
Quelle
dell’agosto 1945 sono state le uniche volte in
cui le armi nucleari sono state impiegate in un
conflitto bellico contro popolazioni civili ed
inermi, sterminando intere generazioni e
annichilendo intere città. E’ bene ricordare che
la paternità storica di tali massacri (veri e
propri crimini commessi contro l’umanità, come
qualcuno li ha definiti, crimini rimasti
tuttavia impuniti) va indubbiamente ascritta
agli Stati Uniti d’America, che non hanno
esitato ad usare armi di distruzione di massa
per vincere la guerra.
In modo
particolare, occorre riflettere sulla seconda
bomba atomica, sganciata su Nagasaki. Secondo
molti storici si è trattato di un atto
terroristico assolutamente inutile ed evitabile,
eppure è stato ugualmente eseguito per due
ragioni fondamentali. La prima, più che altro un
vero e proprio alibi di natura
tecnico-scientifica, era che la bomba lanciata
su Nagasaki, essendo composta di plutonio, e non
di uranio arricchito come quella gettata su
Hiroshima, aveva bisogno di essere sperimentata
(naturalmente, tale ragionamento è assolutamente
cinico e spregiudicato). Il secondo motivo, in
effetti prevalente, era di ordine strategico
politico, nella misura in cui la seconda bomba
era davvero inutile per vincere la guerra contro
il Giappone, un Paese completamente affranto e
stremato, ormai prostrato, ridotto alla mercè
dei vincitori, per cui apparve subito evidente
un diverso scopo della seconda esplosione
nucleare, ossia un gesto scellerato compiuto in
funzione palesemente antisovietica. In tal
senso, le bombe su Hiroshima e Nagasaki, pur
essendo le ultime della seconda guerra mondiale,
furono considerate come le prime della
“guerra fredda”. Insomma, si trattava di una
scelta strategica e politica ben precisa, di un
chiaro segnale intimidatorio, teso a far capire
ai sovietici e al mondo intero chi erano i nuovi
padroni della storia.
Negli anni
successivi al 1945 le armi atomiche furono
adottate da tutte le principali potenze
mondiali: l’Unione Sovietica l’ottenne nel 1949
(grazie soprattutto alla decisione di alcuni
scienziati che avevano concorso alla
realizzazione della bomba nucleare per il
governo nordamericano, al fine di ristabilire un
giusto equilibrio tra le parti avverse), la Gran
Bretagna nel 1952, la Francia nel 1960, la Cina
nel 1964. In questo periodo, relativo al secondo
dopoguerra, segnato da una prima proliferazione
degli armamenti atomici, si determinò un clima
che fu definito di “guerra fredda”, nel
quale i due blocchi politico-militari
contrapposti (la NATO, tuttora esistente e che
fa capo agli USA, e il Patto di Varsavia, che
ruotava intorno all’Unione Sovietica) erano
coscienti di annientarsi vicendevolmente con il
solo impiego delle armi atomiche. Questa era la
teoria della “distruzione mutua assicurata”,
alla base del cosiddetto “equilibrio del
terrore”, ossia della strategia della
deterrenza nucleare che, in qualche occasione,
riuscì a scongiurare il rischio di un conflitto
termonucleare totale.
Tale
“equilibrio”, benché utile deterrente sul
piano strategico, tuttavia non impedì un’enorme
proliferazione degli arsenali atomici sia ad
Ovest che ad Est. Al contrario, le armi nucleari
divennero sempre più numerose, ma soprattutto
più sofisticate e complesse, quindi più potenti,
al punto che confrontate con quelle successive
le bombe gettate su Hiroshima e Nagasaki
apparivano come “giocattoli”. Gli
arsenali atomici a disposizione dei due blocchi
avversari (Est e Ovest: nemici più sulla carta,
ma nella realtà complici rispetto alla
spartizione economica e politica del globo
terrestre) erano potenzialmente in grado di
disintegrare il nostro pianeta, non una, ma
decine di volte.
Nel corso degli
anni ‘80, il dialogo tra Reagan e Gorbaciov
condusse alla stipulazione dei trattati START I
e START II, che sancivano una graduale riduzione
degli armamenti atomici posseduti dalle due
superpotenze. In quegli anni, esattamente nel
1985, uscì un film intitolato “War games”
(tradotto in italiano “Giochi di guerra”)
che racconta la storia di un brillante ragazzo
di Seattle che, giocando col suo computer,
riesce ad inserirsi nella rete informatica della
difesa nucleare statunitense, provocando (nella
finzione cinematografica) il pericolo di un
conflitto termonucleare totale, poi scongiurato.
Cito questo film per evidenziare come in quegli
anni la percezione dei rischi di un conflitto
atomico che avrebbe potuto causare
l’autodistruzione del genere umano, era molto
maggiore di oggi. Eppure la situazione odierna è
più pericolosa di quella appena descritta, che
si riferisce al periodo della “guerra
fredda”.
Attualmente, gli
Stati che dichiarano di possedere armi nucleari
e fanno ufficialmente parte del cosiddetto
“Club dell’atomo” sono esattamente otto:
Stati Uniti d’America, Russia, Cina, Regno
Unito, Francia, India, Pakistan e Israele.
Ripeto: Israele. Invece, gli unici Paesi al
mondo che hanno pubblicamente e intenzionalmente
rinunciato a programmi di riarmo nucleare sono:
il Sudafrica, probabilmente il Brasile, e alcune
repubbliche dell’ex Unione Sovietica, ossia
Ucraina, Bielorussia e Kazakistan. Inoltre, la
possibilità, non solo teorica, che alcune armi
atomiche come le cosiddette “bombe sporche”
(che non costano come le armi atomiche vere e
proprie e non esigono particolari competenze
scientifiche, se non quelle, alquanto diffuse,
che servono a costruire una bomba tradizionale)
possano cadere nelle mani di gruppi terroristici
al soldo dei servizi segreti militari delle
varie potenze (USA ed Israele sono in cima alla
lista per la loro spregiudicatezza) può forse
offrire una vaga idea dell’elevata pericolosità
dell’attuale situazione internazionale. Una
situazione avvolta in quella che
convenzionalmente – ed erroneamente – viene
definita “la spirale guerra-terrorismo”,
ossia una realtà caratterizzata da crescenti
tensioni e contraddizioni, aggravate dalla
politica della cosiddetta “guerra globale
preventiva” made in USA che, di fatto,
alimenta e rafforza ulteriormente le spinte e le
tendenze oltranziste ed estremiste in ogni
angolo della Terra. Per questo, non tanto di
“spirale” si tratta, quanto di due volti
mostruosi e gemellari partoriti dal medesimo
apparato di distruzione ed oppressione:
l’imperialismo statunitense.
L’odierna
situazione planetaria è dunque molto più
insidiosa del passato, soprattutto dopo il
crollo del muro di Berlino avvenuto nel 1989 e
dopo il disfacimento dell’Unione Sovietica e del
suo “impero”, ma soprattutto dopo l’11
settembre 2001, quando sono state rilanciate la
ricerca e la produzione di nuove generazioni di
bombe nucleari più piccole e più facili da
utilizzare. Nonostante ciò, la consapevolezza
del pericolo rappresentato dagli arsenali
atomici da parte dell’opinione pubblica
mondiale, si trova ad un livello molto più basso
rispetto agli anni della “guerra fredda”.
L’epoca della “guerra fredda” è stata un
periodo in cui l’equilibrio tra le due
superpotenze (USA e URSS) esercitava un
potentissimo effetto deterrente. Oggi
quell’equilibrio non esiste più (è rimasto solo
il “terrore”, scusate la battutaccia).
Anzi, la situazione è profondamente squilibrata,
estremamente instabile e caotica, e gli USA non
sono in grado di gestirla da soli attraverso un
ruolo di gendarmeria planetaria che si sono
auto-assegnati con arroganza e che li ha
condotti all’isolamento più totale. Oggi
assistiamo ad un insidioso rilancio della
ricerca nucleare per fini militari, che vede una
responsabilità e un coinvolgimento crescenti
anche del nostro Paese. Basti pensare che
all’aeroporto militare di Ghedi (Brescia) e
nella base americana di Aviano sono pronte
all’uso almeno 90 testate nucleari.
Per far capire
l’estrema pericolosità derivante dall’odierno
scenario internazionale, voglio rammentare
alcuni episodi occorsi nel 2002, quando India e
Pakistan (che già nel 1998 avevano condotto
alcuni test nucleari) si trovarono sull’orlo di
un conflitto per il controllo del Kashmir (una
terra situata al confine tra i due Stati, famosa
per un tessuto morbido e leggero di lana
omonima, ricavata da una particolare razza di
capre che vive in quella regione), una
pericolosa contesa che avrebbe potuto condurre
ad un drammatico scontro militare e al
successivo ricorso ad armi nucleari.
Oggi esistono
alcune micro potenze regionali, quali la stessa
Israele, che detengono arsenali atomici
micidiali ed assumono atteggiamenti ostili e
belligeranti verso gli Stati confinanti. E
nessuno osa denunciare tale situazione, anzi chi
si azzarda in tal senso viene tacciato di
“antisemitismo”.
Naturalmente
sarebbe ipocrita non riconoscere che la più
grave minaccia proviene da quelle superpotenze
mondiali come gli USA, la Cina e la Russia, che
mirano ad una nuova spartizione geopolitica ed
economica del mondo e che agiscono in modo
aggressivo ed espansionistico sul terreno
prettamente commerciale, entrando spesso in
contrasto tra loro. Si pensi alla competizione
commerciale tra USA, Giappone, Europa e Cina, o
alla guerra monetaria tra euro e dollaro. Certo,
dal 1945 ad oggi tutte le guerre finora
combattute e anche quelle tuttora in corso (si
pensi allo stato di guerriglia permanente in
Iraq) non hanno mai registrato il ricorso ad
armi atomiche, bensì solo a quelle
convenzionali. Addirittura, in alcuni conflitti
etnici “tribali” sono stati perpetrati
veri genocidi usando armi rozze e primitive: ad
esempio, in alcuni Stati africani, come il
Ruanda, sono stati commessi massacri (contro
l’etnia Tutsi) a colpi di machete, un pesante
coltello dalla lama lunga e affilata.
Finora ho fornito
una ricostruzione storica il più possibile
fedele e lineare, in materia di armamenti
nucleari, provando ad evidenziare un confronto
tra passato e presente, tra gli anni della
“guerra fredda” e la realtà odierna che,
come ho già spiegato, appare assai più
insidiosa, benché la coscienza della gente
comune sia indubbiamente molto meno diffusa e
profonda rispetto al passato.
A tale proposito
voglio citare un brano tratto da un articolo di
Giorgio Bocca (apparso alcuni anni or sono nella
rubrica “L’antitaliano”), nel quale
l’anziano giornalista scrive testualmente:
“Già nel 1945 avremmo dovuto capire che
l’apocalisse era ormai entrata nella normalità.
Scoppia la prima atomica a Hiroshima e sui
giornali dell’Occidente, anche sui nostri, la
notizia venne data a una colonna in basso e non
destò particolare emozione. Aveva ucciso in un
colpo 100 mila persone e ne aveva avvelenate a
morte altrettante. Non se ne sapeva molto, è
vero, ma in breve si capì che era l’arma della
distruzione totale, ma l’Occidente civile in
sostanza non fece obiezione: la bomba segnava in
pratica la fine della guerra, perché
condannarla?”.
In altri termini,
il fine (la conclusione della seconda guerra
mondiale) ha giustificato il mezzo, ovvero il
ricorso alla bomba H, un terrificante strumento
di distruzione totale. Oggi, più che nel
passato, questa perversa logica machiavellica
del “fine che giustifica i mezzi” non può
e non deve più essere tollerata, ma va respinta
con fermezza e abbandonata in modo definitivo,
pena l’auto-annientamento dell’umanità e la
dissoluzione di quasi ogni forma di vita
presente sul nostro pianeta. Le cause delle
guerre, siano esse convenzionali o meno, sono
fondamentalmente le stesse: il possesso e il
controllo della terra, dell’acqua, del petrolio
o di altre preziose materie prime, lo
sfruttamento dell’uomo e della natura,
l’oppressione di un popolo da parte di un altro
popolo, ovvero di una classe sociale da parte di
un’altra classe, eccetera.
Queste sono le
ragioni primarie che possono scatenare un
conflitto bellico. Il fatto poi che alla guerra
condotta con armi convenzionali si sostituisca
la guerra “termonucleare”, non cambia e
non toglie assolutamente nulla alle cause, al
carattere e al significato di classe della
guerra medesima. Tuttavia, la differenza più
evidente ed innegabile tra guerre tradizionali e
guerra nucleare, sta nel fatto che le armi
atomiche sono strumenti di DISTRUZIONE TOTALE:
un “dettaglio” che non è certamente
trascurabile, per cui non va minimamente
sottovalutato. Dunque, voglio concludere con un
appello che, per quanto possa apparire ingenuo,
banale ed utopistico, esprime un’istanza molto
diffusa tra la gente comune, implica un
presupposto di estrema e vitale importanza,
contiene una proposta assolutamente necessaria e
indispensabile alla salvezza del genere umano e
delle altre specie viventi sulla Terra: BANDIAMO
LE ARMI NUCLEARI, BANDIAMO TUTTE LE ARMI,
BANDIAMO LA GUERRA E L’IMPERIALISMO DALLA NOSTRA
ESISTENZA!
Lucio Garofalo
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