Francamente non credo nella possibilità di
esportare la cosiddetta "democrazia" in quanto
diffido dei falsi principi della democrazia
liberale borghese, che reputo uno strumento
ideologico di occultamento della reale natura
rapace e violenta dell'economia capitalista,
retta sull'alienazione e sulla mercificazione
dei valori umani, su inique e crescenti
disuguaglianze materiali e sociali. La
cosiddetta “democrazia” non è altro che
un'ipocrita forma di mistificazione e copertura
del delitto più atroce che si possa immaginare:
l’alienazione del lavoro umano, lo sfruttamento
di masse sottosalariate sempre più indifese e
ricattabili, costrette a travagliare per
l'arricchimento di minoranze voraci e
privilegiate. Ritengo che la tanto osannata
democrazia sia solo la "migliore", forse la più
raffinata rappresentazione costituzionale della
dittatura borghese.
Inoltre, sono convinto che tale ordinamento
istituzionale non sia esportabile con procedure
arbitrarie e sistemi cruenti, facendo ricorso
alla primitiva irrazionalità della guerra. In
particolare, la “democrazia occidentale” non è
esportabile in quelle società segnate da
un'evidente arretratezza economica, come i paesi
egemonizzati dalla presenza di un radicalismo
religioso che in passato era avallato dalla
politica dubbia dell'occidente. Il quale ha
creato gli stessi mostri che oggi proclama di
voler combattere, ha armato e foraggiato gli
Stati più tirannici del mondo, ovunque e quando
conveniva farlo. Penso a quei regimi dispotici e
sanguinari, la cui ascesa al potere è stata
voluta e caldeggiata proprio dalle potenze
occidentali, guidate dagli USA, che hanno
favorito e finanziato i movimenti islamici più
oltranzisti.
Si
pensi a figure come Bin Laden, ai gruppi
fondamentalisti ostili e bellicosi come i
Talebani, armati e appoggiati dal mondo
occidentale in funzione chiaramente
anti-sovietica durante la guerra in Afghanistan
seguita all'invasione compiuta dall'armata russa
alla fine del 1979.
"Due pesi e due misure"
Da
sempre mi ripugna la linea di condotta ambigua e
opportunistica dell'occidente, riassumibile
nella formula "due pesi e due misure", una
politica che affama e dissangua i popoli del
Terzo mondo, condannandoli ad un destino di
miseria e sottomissione. Anziché lodare a
chiacchiere le virtù "salvifiche" della
democrazia, invece di proclamare in astratto i
"sacri" principi liberali, piuttosto che
annunciare velleitariamente la volontà di
esportare la democrazia ovunque sia assente,
l’occidente farebbe meglio se provvedesse ad
impiantarla nella realtà dei propri Stati,
sempre meno tolleranti e democratici, sempre più
autoritari e illiberali.
L'ideologia dell'esportazione della democrazia
serve a fornire un alibi utile a giustificare la
carenza di democrazia all'interno delle società
occidentali. Come tutte le ideologie, si tratta
di un abile travestimento escogitato per coprire
i delitti più aberranti. In realtà, dietro la
tesi ufficiale della "necessità di esportare la
democrazia" si annida un meccanismo di
espropriazione violenta delle ricchezze
materiali e culturali dei popoli del Terzo
Mondo. Al riparo dei magnifici ideali della
libertà e della democrazia, sbandierati al
cospetto dell'opinione pubblica mondiale, si
ammanta una sanguinosa spinta di espansione
globalizzatrice esercitata dall'economia di
mercato, dalle forze che sono all'origine delle
guerre di rapina combattute nel mondo.
Mercimonio democratico
Immaginiamo paradossalmente che io approvi
l'idea di esportare la democrazia. Ma anzitutto
chi, quale autorità internazionale, in virtù di
quali principi (se non sono condivisi da tutti i
popoli del mondo) stabilisce l'esistenza o meno
della democrazia, accerta il grado di
democraticità di uno Stato e decreta,
eventualmente, l'opportunità di esportarla, cioè
di imporla con la forza delle armi? Tale logica
è semplicemente folle in quanto concepisce la
democrazia alla stregua di una merce alienabile
ovunque, un articolo di lusso che non tutti i
popoli possono permettersi. E qual è il prezzo
corrente sul mercato? Forse milioni di morti o
miliardi di dollari? Dunque, ammesso per ipotesi
che io accetti il presupposto di quella
concezione che pretende l'esportazione di una
lucrosa merce chiamata "democrazia", perché mai
questa deve essere esportata solo in alcune
regioni come il Golfo persico, casualmente
ricche di pozzi petroliferi, di risorse
energetiche e altre pregiate materie prime, o di
alcune produzioni che assicurano ingenti
proventi economici criminali come, ad esempio,
le coltivazioni di oppio in Afghanistan?
In
questa fitta rete di scambi e traffici, leciti e
illeciti, nel connubio tra politica e affari, si
ripara un autentico mercimonio della democrazia,
il cui costo in termini di denaro, di capitali,
ma soprattutto di vite umane, sembra
oltrepassare ogni ragionevole limite e ogni
capacità di sopportazione terrena. In altri
termini, mi domando se l'abominevole "merce
democratica" acquisti maggior valore laddove
esistono condizioni oggettive di ricchezza del
sottosuolo e preziose fonti di sfruttamento e
profitto economico. Perché questa laida
democrazia non viene esportata in altre realtà
del mondo, in aree geografiche dove non esistono
risorse petrolifere, né materie prime che
possano attrarre gli interessi delle potenze
occidentali e delle corporation multinazionali?
Penso a sterminate regioni dell’Africa, dove
intere popolazioni sono massacrate da una
micidiale guerra alimentare, sono schiacciate da
un apparato economico che genera solo miseria e
sottosviluppo, sono perseguitate da feroci
dittature militari che si susseguono senza
soluzione di continuità con la complicità del
mondo occidentale. Il quale finge di piangere,
dissimulando commozione solo quando si consumano
le catastrofi umanitarie e ambientali,
prevedibili con largo anticipo. L'esportazione
brutale della “merce democratica” non sarebbe
possibile in tutto il mondo, essendo
sconsigliabile un'espansione bellicista globale,
essendo inconcepibile una militarizzazione
dell’intero pianeta.
In
questo osceno binomio tra affarismo criminale e
democrazia si svela l'origine di quella cinica e
perversa logica dei "due pesi e due misure": la
democrazia non si può e non si deve imporre su
tutto il globo, ma solo laddove conviene alle
potenze occidentali, per conservare e accrescere
i privilegi e l'opulenza economica dei paesi più
ricchi. Quindi, per assicurare in perpetuo i
profitti dei colossi multinazionali che
continuano a rapinare impunemente le ricchezze,
non solo materiali, dei popoli della Terra. I
quali, in cambio, non potranno nemmeno godere
dei vantaggi derivanti dalla “prodigiosa
democrazia”.
Questa non intende essere una conclusione
definitiva che esaurisce per sempre una
riflessione che mi auguro possa proseguire e
svilupparsi, fornendo spunti originali per
l'interpretazione, ma soprattutto per la
trasformazione dello stato di cose esistenti.
Lucio Garofalo |