Non c'è nulla che sia più ingiusto quanto far
parti uguali fra disuguali
In
questi primi giorni di settembre, dopo la lunga
pausa estiva, presidi e insegnanti hanno ripreso
a lavorare, discutere ed incontrarsi nelle
sedute dei Collegi dei docenti, nelle riunioni
delle commissioni tecniche, nei Consigli di
Istituto, per organizzare e progettare le
attività didattiche curricolari e aggiuntive in
relazione al nuovo anno scolastico. Ovunque,
nelle case e nelle scuole fervono gli ultimi
preparativi per l'imminente avvio delle lezioni.
Il ministro, alti dirigenti e funzionari
scolastici, varie figure di esperti gareggiano
per lanciare qualche input, offrire consigli
preziosi agli insegnanti, indicare ed illuminare
la "retta via" a chi, eventualmente, l'avesse
smarrita.
Inoltre, gli insegnanti precari hanno iniziato a
ribellarsi e protestare in modo massiccio e
compatto. Si tratta di una rivolta senza
precedenti perché i licenziamenti di massa sono
senza precedenti. Mai come in questo momento
occorre stare al fianco dei lavoratori precari
del mondo della scuola in un “autunno caldo”
esploso con largo anticipo.
Si
annuncia infatti un settembre infuocato nella
scuola italiana, totalmente destabilizzata dalla
"riforma" Gelmini, che in un botto solo ha
lasciato 42mila persone senza lavoro, causando
una vera macelleria sociale. E tutto per fare
cassa, come detta Tremonti, e dirottare i
finanziamenti alle banche e alle imprese
private. In Campania, come in tutta Italia, i
docenti precari hanno assaltato gli Uffici
Scolastici Provinciali, in perfetto stile INNSE,
avviando con forza una serie di vertenze mai
conosciute in passato.
Nel frattempo continuano ad essere alimentate
ideologie cariche di pregiudizi e veleni
piccolo-borghesi. In seguito ad una martellante
campagna demagogica e diffamatoria è inevitabile
che si scatenino polemiche e piovano accuse che
screditano il corpo docente, già mortificato da
tempo. Stiamo parlando di una categoria
professionale chiamata ad assolvere il difficile
compito di educare e istruire le future
generazioni, di formare i cittadini del futuro,
per cui meriterebbe maggior rispetto e
considerazione. Simili campagne ideologiche e
strumentali sul presunto "parassitismo" dei
lavoratori statali non costituiscono una novità.
Inoltre mi indignano, nella misura in cui celano
interessi affaristici e mercantilistici.
Insomma, oltre al danno c’è anche la beffa.
Le retribuzioni salariali degli insegnanti
italiani sono tra le più basse in Europa. Peggio
di noi stanno solo i colleghi greci e
portoghesi. Intanto, il governo in carica
continua ad imporre pesanti tagli e riduzioni
alle già misere risorse della scuola pubblica.
Tutto ciò comporta e arreca gravi danni al
budget finanziario riservato alla scuola
pubblica, per dirottare i soldi verso altre
destinazioni. Si pensi alle sovvenzioni
stanziate per gli armamenti militari e ai
contributi statali regalati alle scuole private.
Per quanto mi riguarda continuerò a seguire il
principio riassunto nella frase contenuta in
"Lettera a una professoressa", scritta dai
ragazzi della scuola di Barbiana del maestro don
Milani: "Non c'è nulla che sia più ingiusto
quanto far parti uguali fra disuguali". Un
concetto che richiama una visione anomala e
anticonformista (diciamo pure antiborghese)
della democrazia, riferita alla scuola e
all'intero ordinamento sociale. La nostra è una
scuola di disuguali inserita in una società
sempre più disuguale, laddove pesanti
disuguaglianze materiali e sociali sono
destinate ad aggravarsi ulteriormente.
Dinanzi a simili sperequazioni economiche e
sociali, di fronte ad allarmanti situazioni di
crescente disagio e bisogno materiale,
riconducibili alle nuove povertà e alle
contraddizioni derivanti dai massicci fenomeni
migratori provenienti dal Terzo mondo, la scuola
non è attrezzata e preparata a fronteggiare tali
emergenze, anzitutto per ragioni di ordine
finanziario già spiegate in precedenza.
Ogni valida azione è affidata alla buona
volontà, alla capacità, allo zelo spontaneo
(altro che fannulloni) degli insegnanti,
all'iniziativa autonoma delle istituzioni
scolastiche e dei lavoratori - docenti e non
docenti - che operano nelle scuole pubbliche. La
cosiddetta "democrazia" non può ridursi ad
un'ipotetica offerta di "pari opportunità",
esplicandosi in un'arida ed insufficiente prassi
di uniformità distributiva delle risorse, così
come avviene nel modello finora adottato di
welfare universalistico e indifferenziato. Al
contrario, occorre rilanciare e rafforzare
l’attenzione verso l’uguaglianza e la giustizia
redistributiva del reddito sociale, intese in
termini di equità sociale e redistribuzione
delle ricchezze, possibili solo in un altro
assetto del welfare e dell'ordinamento statale e
sociale, che sia in grado di fornire "a ciascuno
secondo i propri bisogni" e chiedere ad ognuno
"secondo le proprie possibilità". Il che
significa rivoltare l'organizzazione sociale
esistente, ridefinire e capovolgere l'idea
stessa e la prassi finora applicata e conosciuta
di democrazia, di scuola e di Stato sociale.
Lucio Garofalo
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