Le
vicissitudini politico-mediatiche degli ultimi
giorni, sfociate nelle querele che Silvio
Berlusconi ha deciso di sporgere contro La
Repubblica e L’Unità, quindi le dimissioni di
Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, l’organo
ufficiale della CEI, hanno fatto riemergere il
tema, già di per sé scottante e controverso,
della libertà di stampa, nonché altri aspetti
riconducibili ad un conflitto latente tra i
poteri forti presenti a livello nazionale. Ma
procediamo con ordine per tentare di comprendere
la logica di tali vicende.
Il
26 agosto scorso, il Capo del governo ha deciso
di adire le vie legali depositando una citazione
per danni contro il gruppo editoriale
L’Espresso-Repubblica per contestare le dieci
domande (evidentemente scomode) che per oltre
due mesi il giornalista Giuseppe D’Avanzo gli ha
posto sulle sue frequentazioni sessuali, senza
ricevere alcuna risposta.
Probabilmente ciò che avrebbe indotto Berlusconi
ad agire legalmente contro La Repubblica sono le
insinuazioni su una sua presunta “ricattabilità”
e su presunte infiltrazioni al vertice dello
Stato italiano da parte di centri mafiosi, in
particolare della mafia russa, e l’ampia eco che
tali notizie hanno avuto sulla stampa
internazionale.
Pochi giorni fa il direttore di Avvenire e
Sat2000, Dino Boffo, ha rassegnato le dimissioni
con una lettera inviata al cardinale Angelo
Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale
Italiana. Boffo era stato vittima di pesanti
accuse sulla sua vita privata, in modo
particolare sulle sue abitudini sessuali, messe
al centro di una feroce e smisurata campagna
diffamatoria condotta in modo cinico e
spregiudicato da Vittorio Feltri, direttore del
Giornale, il quotidiano edito dal fratello del
premier Paolo Berlusconi.
Nello stesso giorno delle dimissioni di Boffo,
il presidente del Consiglio ha deciso di
trascinare in tribunale il direttore de L’Unità,
Concita De Gregorio, insieme ad altre
quattro colleghe del noto quotidiano. La
denuncia per diffamazione farebbe formalmente
riferimento ad una serie di articoli sugli
scandali sessuali di questa estate.
E’
evidente che i violenti attacchi sferrati contro
alcuni tra i maggiori organi di stampa nazionali
non possono essere ricondotti semplicemente ad
alcuni fatti episodici, né ai motivi
ufficialmente addotti nelle querele inoltrate
dai legali del premier, ma si inquadrano e si
spiegano all’interno di una cornice più vasta e
complessa che vede al centro non solo la libertà
di informazione, sempre più minacciata da
fenomeni di squadrismo, killeraggio ed
imbarbarimento politico, ma pure una serie di
affari ed interessi legati ad importanti centri
di potere, tra cui non sarebbero da escludere
gli scontri interni al Vaticano tra la
Segreteria di Stato e la Conferenza Episcopale
Italiana.
Secondo don Andrea Gallo, cappellano della
comunità genovese di San Benedetto al Porto, il
direttore Dino Boffo sarebbe stato di fatto
sacrificato e le sue dimissioni sarebbero il
risultato “di una manovra vaticana” tesa a
favorire il governo “in cambio dell’approvazione
della legge sul testamento biologico”. Don Gallo
aggiunge che tale manovra “dimostra che la
situazione è in mano alla Segreteria di Stato
vaticana”.
Al
di là dell’attendibilità o meno di affermazioni
che sono state rilasciate da una personalità
ecclesiastica che si presume conosca bene le
dinamiche interne alla chiesa vaticana, è certo
che quanto sta accadendo negli ultimi tempi
rischia di accelerare un processo degenerativo
ed involutivo della vita politica italiana a
scapito soprattutto del livello già basso della
libertà di stampa e di informazione vigente nel
nostro paese.
Basta citare la prima classifica mondiale della
libertà di stampa pubblicata qualche tempo fa da
Reporters sans frontières, in base alla quale
l'Italia, in virtù dell'irrisolto conflitto di
interessi del Capo del governo, si colloca
addirittura al 40° posto, dietro a paesi
latino-americani come il Costa Rica, l’Ecuador,
l’Uruguay, il Cile, il Paraguay, El Salvador e
il Perù, superata da Stati africani come il
Benin, il Sudafrica e la Namibia.
Pertanto, come scrive Concita De Gregorio in un
editoriale del 2 settembre scorso: “È venuto il
momento non solo di una grande mobilitazione,
necessaria ma non sufficiente. È il momento di
opporre allo strapotere dei soldi la politica,
che sia quella l'argine al declino della
democrazia. È anche venuto il momento, cari
cittadini, di sostenere con forza rinnovata chi
si sottrae alla logica del plutocrate. Di dare
più forza alle voci del dissenso, ogni giorno.
Non tanto e non solo per noi, che dal 1924
abbiamo conosciuto stagioni peggiori. Per tutti,
per l'Italia che verrà”.
Lucio Garofalo
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