L’attentato suicida che in Afghanistan ha
provocato una strage, uccidendo anche sei
militari italiani, è un’azione riconducibile ad
una logica politica ben precisa, che mina e
pregiudica il senso e le ragioni della
spedizione militare, esaltata demagogicamente
come una “missione di pace”, ma mette in
discussione e in ridicolo pure la retorica
militarista che in questi giorni ha raggiunto
limiti allucinanti e parossistici.
Pertanto, conviene ragionare criticamente sulle
cause e sugli effetti delle cose. Per
comprendere tali fenomeni non servono indagini
di ordine dietrologico o complottistico, ma
occorre una valutazione lucida, serena ed
obiettiva dei fatti e delle conseguenze, senza
farsi influenzare dall’emotività. Occorre
chiedersi: cui prodest, a chi giova ciò?
Uno degli effetti più evidenti è stato quello di
stravolgere l’agenda politica nazionale,
rilanciando ancora una volta il tema della
sicurezza e della “guerra al terrorismo”,
ridando fiato alla strategia ormai indebolita e
screditata della “guerra preventiva” imposta
negli anni scorsi dall’amministrazione Bush. Una
strategia caduta in una grave crisi di consensi
e che spera in un recupero di immagine e di
risorse finanziarie. Il rischio che si corre è
che la priorità più urgente della politica torni
ad essere la cosiddetta “emergenza terrorismo”,
a cui è doveroso subordinare tutte le altre
questioni.
Tutto il resto non conta. Conta solo la
questione della sicurezza, cioè la sicurezza
dell’occidente, rispetto alle insidie
provenienti dal terrorismo. Questa “emergenza”
viene anteposta ad ogni altro problema nazionale
e internazionale, alla crisi economica, alla
tragedia della povertà estrema e del debito
economico che affligge i popoli dell’Africa, ai
pericoli derivanti dai mutamenti climatici.
Tutto ciò passa in secondo piano. La circostanza
che scaturisce dalla “minaccia terroristica” è
la drastica riduzione delle libertà individuali,
sacrificate sull’altare della “sicurezza”.
Rinunciare alla libertà per ottenere in cambio
maggiore sicurezza: questo sembra essere il
dogma sposato in diversi settori politici in
modo trasversale agli attuali schieramenti
parlamentari.
Un
altro effetto è ravvisabile nell’isolamento del
movimento pacifista, già indebolito e
disorientato da tempo, al fine di incrinare e
svuotare di senso le lotte e le istanze
anticapitaliste sorte negli ultimi anni. Uno
degli effetti sembra essere proprio quello di
intimidire ed emarginare il “movimento dei
movimenti” che contesta la globalizzazione
neoliberista e gli contrappone un modello
antitetico di organizzazione politica a partire
dal basso, ossia dai bisogni della gente,
attraverso forme di democrazia diretta e
partecipativa, rifiutando la logica autoritaria
e verticista del summit, per optare a favore di
una costruzione orizzontale, aperta e
reticolare, della pratica politica.
E’
evidente che quando atti terroristici colpiscono
New York, Londra, Madrid o, come in questo caso,
i militari italiani, anziché Kabul, Baghdad o il
popolo palestinese, la comunità occidentale
reagisce in modo irrazionale e viscerale in
preda agli effetti scioccanti della paura.
Pertanto, chi decide di propagare sentimenti di
panico ed umori isterici, fa esattamente il
gioco dei terroristi. In buona sostanza, il
terrorismo giova a chi prende a pretesto il
sentimento di angoscia, inquietudine ed
insicurezza diffuso tra la popolazione per
invocare svolte politiche in senso
antidemocratico e liberticida.
Se
non si esce da questa pericolosa spirale
autoritaria e guerrafondaia, difficilmente si
potrà sperare in un avvenire di pace autentica e
duratura, che è una condizione incompatibile con
l’ingiustizia, in quanto il superamento delle
controversie e delle tensioni internazionali
esige l’eliminazione delle loro cause storiche,
tra cui emergono le condizioni di povertà
estrema che opprimono le popolazioni dell’Africa
e del Sud del mondo. Ingiustizie orribili e
indicibili che segnano il destino di miliardi di
esseri umani.
Lucio Garofalo
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