Rendiamoci conto da chi siamo governati. Ad
esempio, prendiamo in considerazione il
“geniale” ministro Brunetta, che si erge (si fa
per dire, vista l’altezza) ad eroe e paladino di
una crociata antifannulloni. Ebbene, costui è un
docente universitario, ossia appartiene
all’elite dei professori, a quella categoria dei
docenti che guadagnano troppo e, almeno in molti
casi, lavorano assai poco. Infatti, lo stesso
Brunetta è stato censurato e richiamato più
volte proprio per assenteismo dal Rettore
dell’Università dove (non) lavorava. Lo stesso
Brunetta risultava un primatista
dell’assenteismo anche nel Parlamento Europeo:
infatti, figurava tra i parlamentari europei
maggiormente assenteisti. Insomma, Brunetta è il
classico ministro che predica male e razzola
peggio.
Passiamo alla Gelmini, che è soltanto il
ministro-ombra dell’Istruzione. Il vero ministro
che detta la politica scolastica del governo è
Giulio Tremonti. A proposito del quale bisogna
riconoscere che si sta dimostrando assolutamente
incapace di gestire l’attuale crisi economica.
Ecco chi sono i nostri governanti: gente inetta
e irresponsabile! Si badi bene che il mio non è
un discorso fazioso, animato da sentimenti di
partigianeria politica. Non critico la politica
del governo perché è di destra, mentre il
sottoscritto si dichiara di sinistra. Occorre
superare tali idiozie, andare oltre queste
insulse categorie.
La
verità è che sono preoccupato della situazione,
sono inquieto per il futuro non solo della
scuola, ma dell’intero paese, sono crucciato per
l’avvenire delle giovani generazioni. Sono
allarmato perché stanno letteralmente
smantellando e impoverendo la scuola pubblica,
stanno disarticolando la parte che funziona
meglio, ossia la Scuola Primaria, che risulta
essere tra le migliori del mondo, collocandosi
ai vertici delle graduatorie mondiali, almeno in
base alle valutazioni internazionali. In tal
modo si rischia di condannare i nostri giovani
ad un triste futuro di degrado ed ignoranza,
quindi di mancanza di libertà, democrazia e
giustizia sociale. Dunque, domandiamoci quale
modello di scuola e di società, quale avvenire
vogliamo consegnare ai nostri figli.
Ma
non è solo l’attuale governo ad aver accumulato
gravi responsabilità politiche e morali. La
storia, in effetti, è molto lunga e risale
indietro nel tempo sino agli anni ’90,
esattamente al 1998, quando Berlinguer (ministro
della Pubblica Istruzione in un governo di
centro-sinistra) varò ed introdusse la
cosiddetta “autonomia scolastica” e la “parità
scolastica”. In altri termini, ciò ha
significato un incremento progressivo dei fondi
economici destinati alle scuole private e una
sottrazione crescente di fondi alle scuole
pubbliche. Da ciò è scaturita un’accelerazione
storica del processo di dissoluzione della
scuola pubblica, a cui la Gelmini sta assestando
il colpo letale e finale.
Lucio Garofalo
Un
mondo in fase di transizione
Probabilmente viviamo in un tempo di crisi, di
contrasti e rivolgimenti profondi, un tempo di
transizione convulsa verso un mondo
possibilmente nuovo, diverso, ma non sappiamo
ancora se migliore o peggiore di quello
esistente.
Da
ogni parte del globo, persino dagli angoli più
remoti ed isolati del pianeta, provengono
segnali caotici che inducono a pensare che
stiamo vivendo una fase storica di trapasso
verso un’epoca in cui gran parte delle
precedenti categorie politiche, filosofiche,
etiche, spirituali, potrebbero essere
rovesciate, quantomeno di senso.
Tanto per citare qualche esempio banale ma
efficace, un atteggiamento di carattere
ottusamente protestatario rischia di invertirsi
nel suo valore opposto, ossia in un gesto
qualunquistico e reazionario. La ribellione si
inverte nel suo termine contrario, cioè
l’obbedienza. Il falso progresso copre in realtà
un pericoloso regresso. La verità cela la
menzogna. E via discorrendo.
A
me pare che in questo discorso risuoni l’eco di
“vecchie”, ma ancora attuali, riflessioni
pasoliniane come quelle contenute negli Scritti
corsari e nelle Lettere luterane, pubblicate
postume nel 1976. Nell’ultimo anno della sua
vita, cioè nel 1975, Pasolini condusse, dalle
colonne del “Corriere della Sera” e del “Mondo”,
un’appassionata requisitoria contro l’Italia del
suo tempo, distrutta esattamente come l’Italia
del 1945, che per certi versi assomiglia in modo
raccapricciante all’odierna società italiana.
Muovendo dall’analisi dei mutamenti culturali
degli anni del “boom economico”, Pasolini
rinveniva i segni e le testimonianze di un
inarrestabile degrado: la crisi dei valori
umanistici e popolari; le lusinghe del
consumismo, più forte e corruttore di qualsiasi
altro potere, più totalitario, feroce e brutale
di ogni fascismo; le distruzioni operate dalla
classe politica; un’invincibile e diffusa ansia
di conformismo; le mistificazioni di certi
intellettuali autoproclamatisi progressisti.
A conferma che la Storia non procede sempre in
avanti: l’individuo e la società possono,
purtroppo, regredire.
Ebbene, cosa c’è di più degradante ed
inquietante dell’immondizia e della grave crisi
sociale scatenata dai rifiuti (non mi riferisco
solo alle vicende campane, alla drammatica
vertenza napoletana) che ha fatto emergere dai
cumuli di immondizia e dalle macerie civili,
etiche e spirituali, una spazzatura molto
peggiore, di tipo morale e politico?
Oggi servirebbe probabilmente un nuovo grande
Processo giudiziario contro l’attuale classe
politica dirigente a livello locale, cioè in
Campania, e sul piano nazionale.
Un
processo di carattere penale, da celebrare nelle
aule di un tribunale, come quello suggerito e
proposto da Pasolini nelle Lettere luterane.
Il
grande Processo (la P maiuscola, che lo
apparenta a quello di Kafka, è stata scritta da
Pasolini) alla classe politica italiana (il
“Palazzo”), rivolto contro i “gerarchi
democristiani”, in particolare: “Parlo proprio
di un processo penale, dentro un tribunale.” I
politici (a maggior ragione anche quelli di
oggi) dovrebbero essere “accusati di una
quantità sterminata di reati, che io enuncio
solo moralmente […]: indegnità, disprezzo per i
cittadini, manipolazione del denaro pubblico,
intrallazzo con i petrolieri, con i banchieri,
connivenza con la mafia, alto tradimento in
favore di una nazione straniera, collaborazione
con la Cia, uso illecito di enti come il Sid,
responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e
Bologna […], distruzione paesaggistica e
urbanistica dell’Italia, responsabilità della
degradazione antropologica degli italiani […],
responsabilità della condizione, come suol
dirsi, paurosa, delle scuole, degli ospedali e
di ogni opera pubblica primaria, responsabilità
dell’abbandono ‘selvaggio’ delle campagne …”.
Cioè la responsabilità di tutto, e quindi un
processo imperniato sul mondo degli italiani del
1975 (e del 2008).
Tra i capi d’accusa appaiono anche
responsabilità di natura morale, più che penale:
ad esempio la “degradazione antropologica degli
italiani”, (tra)passati nel giro di una
generazione dalla campagna alla città, e sedotti
dal consumismo, imposto prima della costruzione
di un tessuto sociale serio e civile. “In ciò
non c’è niente di sfumato, di incerto, di
graduale, no: la trasformazione è stata un
rovesciamento completo e assoluto.” Una
trasformazione alienante, brutale,
disumanizzante, distruttiva.
Il
Processo non doveva essere un Processo di stampo
kafkiano, ossia simbolico, allegorico,
letterario ed immaginario, ad un Palazzo
kafkiano. L’ipotesi pasoliniana puntava invece
alla realtà, con il solo difetto di essere
espressa da un poeta scandaloso e in uno stile
da poeta, che si avvale di anafore, iperboli,
iterazioni, che non poteva avere né rispetto
umano né un ascolto scientifico: “Nessuno ha mai
risposto a queste mie polemiche se non
razzisticamente, facendo cioè illazioni sulla
mia persona. Si è ironizzato, si è riso, si è
accusato. Ciò che io dico è indegno di altro; io
non sono una persona seria.”
Mi
domando cosa scriverebbe lo “scandaloso”
Pasolini contro gli odierni scandali politici e
morali del nostro Paese, contro l’immane scempio
di un territorio sommerso ed avvelenato dalle
scorie e dagli scarti d’ogni genere,
industriali, chimici, nucleari.
Ma
ancora di più mi chiedo cosa direbbe Pasolini
contro lo scandalo di un’immondizia senza dubbio
più fetida, putrida e nauseabonda, quella della
classe politica più inetta ed ignorante
d’Europa, composta da una banda affaristica e
criminale che infesta e corrompe ormai da anni
l’intera nazione. Un’associazione a delinquere
legalizzata, che rivendica il fatto di aver
ricevuto dal “popolo” una legittimità
“democratica”, scambiata evidentemente come
un’autorizzazione a delinquere, quasi una
“licenza di uccidere”.
Licenza di uccidere ed annientare, in senso
neanche tanto metaforico, quel poco che resta
dei diritti, delle garanzie e delle libertà
politiche e sindacali, gli elementi residuali di
una legalità democratica sancita solo
formalmente dalla Costituzione, le leggi a
tutela delle categorie economicamente più deboli
e svantaggiate, il tessuto già fragile della
pacifica convivenza civile tra le persone, ogni
parvenza di progresso e di emancipazione.
Lucio Garofalo
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