A PROPOSITO DELLA "VERTENZA IRPINA"
E' indubbio che esiste una vertenza oggettiva ed
innegabile in Irpinia (più esattamente in Alta
Irpinia), che si traduce in alcune drammatiche
emergenze sociali e materiali: anzitutto
l'emergenza demografica (lo spopolamento
crescente ed inarrestabile di un'intera
provincia, tranne poche isolate eccezioni che
procedono in controtendenza grazie
esclusivamente ai flussi di lavoratori, non
residenti, provenienti principalmente
dall'hinterland napoletano), l'emergenza
ambientale (mi riferisco soprattutto, ma non
solo, alla questione delle megadiscariche sul
Formicoso e in altri siti), l'emergenza
sanitaria (si pensi al rischio di chiusura
degli ospedali di Sant'angelo dei Lombardi e
Bisaccia), l'emergenza scolastica (rischio
di soppressione ed accorpamento
di numerose scuole di montagna e di piccoli
Comuni: si tratta di Istituti che hanno una
popolazione scolastica inferiore ai 500, se
non addirittura ai 300 alunni), eccetera.
Tali emergenze sono riconducibili in qualche
misura ad un comune denominatore politico, vale
a dire l'emergenza sociale e democratica che è
ascrivibile principalmente alle responsabilità
del governo (regime) in carica. In tale contesto
di involuzione politica e sociale in senso
autoritario ed antidemocratico, interviene una
tendenza storica non più virtuosa,
bensì regressiva e recessiva (si pensi
alla gravissima crisi strutturale, senza
precedenti, che sta investendo il sistema
economico-finanziario e produttivo del
capitalismo su scala planetaria), una
tendenza comune soprattutto alle aree più
depresse ed interne del Mezzogiorno, compresa
dunque l'Irpinia.
Di fronte a simili problematiche francamente mi
domando se esiste e quale sarebbe l'alternativa
sociale e politica in Irpinia.
Quali sarebbero le forze reali che potrebbero
farsi artefici e protagoniste del rinnovamento
politico e sociale in terra irpina?
Di certo non i vari eredi del (post)demitismo,
riciclati a destra, a manca, al centro, in alto
e in basso. Ovvero gli epigoni locali del
berlusconi-pensiero, dunque i vari esemplari del
(cripto)fascismo e del leghismo di marca
meridionale.
D'altronde, è quello che già accade su scala
nazionale. Da tempo, ormai, è in atto nel paese
una profonda e devastante contro-rivoluzione di
destra, mossa da spinte molteplici ed
eterogenee, ma tutte eversive, animata da
diverse correnti ideologiche palesemente di
destra. In altri termini, è ciò che
convenzionalmente s'intende e si definisce con
la nozione di "berlusconismo": un fenomeno
politico-culturale di stampo
demagogico-populista e sovversivo (mi riferisco,
ovviamente, al "sovversivismo delle classi
dirigenti" di cui parlava Antonio Gramsci), che
ormai è egemone in vasti settori del Paese.
Si tratta di una cultura politica ormai
dominante, non tanto e non solo perché è al
governo della nazione, quanto soprattutto perché
essa (l'ideologia di destra) è diffusa e
radicata nella mentalità corrente, in quella che
elegantemente si chiama "opinione pubblica
nazionale", è insita nei giudizi, negli
stereotipi e nei luoghi comuni della gente. Una
cultura intrisa di venature eversive,
antioperaie ed antidemocratiche, ispirata da un
populismo demagogico-autoritario e da uno
sfrenato liberismo in campo economico.
Un "liberismo" più di
comodo e di facciata, nel senso che sono
"liberisti" a corrente alternata, in base alle
convenienze. Per cui, se e quando serve possono
anche diventare "antiliberisti" e
"protezionisti" (si pensi al Tremonti
"no-global") e addirittura "statalisti" quando
occorre "mungere" le ricche finanze dello Stato.
Come sta accadendo nell'attuale fase di crisi
sistemica del capitale finanziario globale.
Dunque, tornando al quesito
originario, quali sono (se ci sono) e dove
sono i soggetti reali del cambiamento
politico-sociale in Irpinia?
Rammento che la storia insegna che le
rivoluzioni sociali sono sempre state opera
delle masse popolari, delle classi sociali
subalterne, ossia delle forze produttive e
materiali bene organizzate e guidate da giuste
ragioni e convinzioni politiche.
Io penso che questo compito rivoluzionario
spetti ancora oggi al lavoro dipendente e
produttivo, ossia alla classe degli operai
salariati, a quel proletariato di fabbrica
(composto in misura sempre crescente da
lavoratori immigrati) che ancora oggi è
sfruttato e malpagato, sempre più precarizzato,
totalmente emarginato dalla sfera del potere
economico-politico-decisionale.
Purtroppo, in Irpinia anche i lavoratori
salariati, gli operai, sono endemicamente
sudditi, estremamente indifesi e ricattabili, in
quanto asserviti ai notabili locali, visto che
le assunzioni nelle fabbriche sono decise in
base a criteri di stampo politico-clientelare.
Ragion per cui è lecito chiedersi a chi
potrebbe/dovrebbe spettare il ruolo della lotta
e del cambiamento in una fase storica di
passaggio e di transizione, segnata da possibili
sconvolgimenti radicali pre-rivoluzionari e
da disordini sociali crescenti.
Intanto, consegno a voi l'ardua sentenza.
Lucio Garofalo
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