A volte mi chiedo
perché in Italia (come altrove) la cosiddetta
“meritocrazia” viene invocata solo nei riguardi
dei lavoratori subordinati e dipendenti, che
sono sempre più soggetti e vincolati a parametri
di efficienza produttiva, vale a dire per
costringerli a farsi sfruttare in modo
crescente, mentre tali principi meritocratici
non valgono e non vengono applicati nei
confronti dei quadri e dei livelli padronali,
ossia per i megadirigenti e i supermanager che
percepiscono profitti e compensi abnormi a
prescindere dal rendimento e dai risultati
ottenuti. Si pensi, ad esempio, al caso dei
dirigenti responsabili del fallimento
dell’Alitalia o ad altri scandali e bancarotte
indubbiamente eclatanti nella storia recente.
E’ evidente che
un sistema economico che pretenda di essere
meritocratico (solo a chiacchiere) non potrebbe
conciliarsi con la realtà di un paese
clamorosamente ingiusto e sperequato,
eccezionalmente sprecone, corrotto e mafioso
come l’Italia.
Un assetto
economico privo di ogni criterio di giustizia
sociale e materiale, di democrazia economica e
di equa redistribuzione del reddito nazionale,
in cui si registrano comportamenti furbeschi,
spregevoli e cialtroneschi e in cui si evidenzia
il primato mondiale dell’evasione fiscale, in
cui si pretende di imporre a lavoratori già
fortemente precarizzati e sottosalariati uno
standard di meritocrazia e di efficienza
produttiva in senso unilaterale, rischia di
degenerare in modo ineluttabile, provocando
iniquità, divaricazioni e sperequazioni
assolutamente crescenti e inaccettabili,
scatenando contraddizioni sociali drammatiche ed
esplosive. Specialmente in una fase storica
segnata da una grave crisi economico-recessiva
come quella attuale, una crisi che è di natura
sistemica e strutturale, diffusa su scala
globale.
Pensare
(ingenuamente) di introdurre una concezione
meritocratica in Italia, come dappertutto,
equivale a compiere una vera rivoluzione sociale
e materiale, etica e culturale.
Ritengo che
proprio per adottare un regime di autentica
meritocrazia sia necessario promuovere e
sostenere una profonda trasformazione sia
nell’assetto sociale che nella mentalità
dominante, attuando un cambiamento radicale ed
epocale sul versante economico-strutturale e
politico-culturale.
In altri termini,
la vera meritocrazia è possibile solo in una
società formata da lavoratori liberi ed uguali,
vale a dire in una società comunista:
"una
società dove ognuno produce secondo le sue
possibilità e riceve secondo i suoi bisogni".
Questo è un modello di società estremamente
meritocratica, prima ancora che democratica…
Dunque,
l'antitesi tra comunismo e meritocrazia è solo
apparente. Con buona pace (e scandalo) dei
ciarlatani e dei farisei dell’ideologia
filo-capitalista: mi riferisco ai falsi
liberisti, ai finti fautori e apologeti del
sistema meritocratico quali, ad esempio,
Berlusconi, Tremonti, Tronchetti Provera & soci.
Lucio Garofalo
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