Comitati
Civici di Guardia Sanframondi e San
Salvatore Telesino contro la privatizzazione
dell’acqua
Comitati
Civici di Guardia Sanframondi e San
Salvatore Telesino contro l’Inceneritore
Cittadini in
Movimento
La
privatizzazione dell’acqua continua.
Il Consiglio
dei Ministri ha approvato il 9 settembre
2009, delle “modifiche” all’articolo 23 bis
della Legge 133/2008, che accelerano la
privatizzazione dei servizi pubblici locali.
Una decisione
presa senza la partecipazione dei cittadini
e senza coinvolgere gli enti locali, i
Comuni e le Province ma soprattutto senza
nessuna forte reazione da parte di partiti
di opposizione, sindacati o stampa, tranne
pochissime eccezioni.
I pochi margini
lasciati alle amministrazioni locali dalla
legge del parlamento dell'Agosto 2008, come
la possibilità di mantenere la gestione in
house dei servizi fondamentali come l'acqua,
vengono ulteriormente ridotti.
L’ 133 art. 23 bis già assestava un duro
colpo per la gestione pubblica, introducendo
l'obbligo della gara e l'ingresso dei
privati, ma permetteva ancora ai comuni,
anche se con difficoltà, di optare per una
gestione del servizio “in house”, cioè
mediante società per azioni pubbliche.
Le gestioni
“in house”in sostanza sono SPA interamente
nelle mani dei comuni consorziati, sulle
quali i comuni stessi possono comunque
esercitare una certa vigilanza. La gestione
in house è riconosciuta dalla normativa
Europea, tanto è vero che la Francia ed il
Comune di Parigi, che pure devono rispettare
le direttive europee, la stanno perseguendo
in un ottica di vera ripubblicizzazione.
Il decreto firmato da Fitto e
Calderoli, invece, determina la fine delle
gestioni “in house”
stabilendo
che anche nell'affidamento tramite gara a
società miste la quota di partecipazione del
pubblico non può superare il 40% e, nelle
società quotate già esistenti, la quota di
partecipazione deve scendere al di sotto del
30% entro il 2012.
Il decreto
determina quindi un passo avanti verso una
ulteriore mercificazione del “bene comune
acqua”.
La Spagna e la
Germania continuano ad applicare la gestione
“ in house” in molte loro grandi città ed è
adottata dal Belgio, dall'Olanda, dal
Lussemburgo, oltre che in 64 ATO italiani,
61 dei quali hanno passato il vaglio
dell'authority, compresi quelli di Milano
Città e Provincia.
Le gestioni in house sono state una
mediazione onorevole anche se temporanea
per il movimento dell'acqua, che con 400.000
firme di sottoscrizione e una legge di
iniziativa popolare chiedeva la piena
ripubblicizzazione del servizio idrico.
Per il 2011
sarà invece obbligatorio mettere a gara
l’intero Servizio idrico nazionale e già
adesso si può prevedere da chi saranno vinte
le gare: ACEA – Iride, Enia, Hera - A2A,
dentro alle quali Suez e Veolia saranno i
padroni veri dell’acqua con Caltagirone, le
banche etc.
La partecipazione dei cittadini alle
decisioni sui beni comuni, la democrazia,
... resteranno le parole di chi come noi ci
crede sempre ma, troppo spesso, deve cedere
alle logiche speculative del mercato.
Capita con sempre maggiore frequenza di
essere traditi da una politica che usa le
nostre battaglie solo per proprio
tornaconto. La vicenda della Campania è
esemplare. Una giunta di centro-sinistra che
privatizza l’acqua. Privatizzazione bloccata
dal movimento per l’acqua pubblica ma mai
avversata o scongiurata dagli
amministratori, se non, a parole, dal solito
assessore rifondino ( che sta al potere ma
vuole l’appoggio dei movimenti) come
l’assessore Realfonzo assessore esterno del
comune di Napoli. Per evitare le critiche
alla sua partecipazione alla nuova giunta
Iervolino, aveva subito dichiarato che si
sarebbe battuto per la ripubblicizzazione
dell’acqua. Ed ha continuato ad affermarlo
fino ad ora, quando finalmente ha trovato il
coraggio di ammettere che non c’è una reale
volontà politica nel Comune e nella Regione
di ripubblicizzare l’acqua. Ecco perché
nessuno si indigna per la decisione del
Consiglio dei Ministri! Sia le
amministrazioni di centro-destra che quelle
di centro-sinistra, con precisi atti
amministrativi, continuano nell’azione di
privatizzazione dell’acqua.
L’acqua fonte
di vita diventa merce, e verrà quindi
consegnata a S.p.A. controllate dalle
multinazionali, cosi come è stata loro
consegnata la gestione dei rifiuti.
Decidendo
secondo questa logica sull’acqua, sui
rifiuti ed altri servizi pubblici, decidono
dei nostri territori e delle nostre vite
lasciando campo libero alle speculazioni, i
cui effetti già conosciamo (vedi gestione
rifiuti in Campania, caso Acqualatina,
ecc.), e non certo con il fine della
pubblica utilità e del controllo
democratico.
Come padroni -
venditori della nostra acqua, queste
multinazionali avranno in pugno anche il
potere locale, su cui ancora, a volte, si
riesce ad incidere in qualche modo.
Ma Noi non
sentiamo affatto il bisogno di consegnare
altre subdole armi di ricatto che possano
minare il nostro diritto alla partecipazione
democratica alle decisioni sul nostro
territorio!
E' un decreto
chiaramente incostituzionale e come tale
deve essere impugnato dagli enti locali.
La parola, e
soprattutto la protesta, tocca ai movimenti,
ma i giornalisti liberi, gli uomini di
cultura, i Sindacati si esprimano, una buona
volta, e si oppongano a questa nuova
vittoria della legge del mercato e del
profitto.
Oggi l’acqua è
il bene supremo per antonomasia che andrà
sempre più scarseggiando, sia per i
cambiamenti climatici, sia per l’incremento
demografico. Quella della privatizzazione
dell’acqua è una scelta politica gravissima
che sarà pagata a caro prezzo dalle classi
deboli di questo paese e dai poveri di tutto
il mondo. E’ insopportabile che le
multinazionali vogliano fare profitti su un
bene comune fondamentale, ed è illegittimo
ed inaccettabile che la politica rinunci al
suo primato nel difendere un diritto
inalienabile dell’umanità.
Chiediamo ai
sindaci e alle istituzioni locali di
indignarsi e di lottare insieme al movimento
in difesa dell’acqua come bene comune per
fermare o modificare il decreto. I comuni e
le regioni si attivino immediatamente per
cambiare statuti locali e leggi regionali
affinché si affermi nelle delibere che
l’acqua è un bene pubblico privo di
interesse economico.
E’ l’unico modo per fermare
un decreto vergognoso che porterà alla
negazione di diritti fondamentali di tutti
noi.
25 settembre 2009
Allegato sullo stesso argomento:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/09/10/acqua-rifiuti-dal-governo-via-libera-alla.html
Ripubblicizzare si può
Alberto Lucarelli
Alla luce della recente, ed
ancora una volta, improvvida ed a-sistematica
riforma sui servizi pubblici locali, ho
ritenuto, al fine di dare a “caldo” un
contributo di chiarezza al dibattito, formulare
alcune considerazioni comunque tese a dimostrare
che anche dopo l’emanazione dell’ultimo testo
normativo
“Ripubblicizzare si può” se ovviamente c’è la
volontà politica dei soggetti responsabili.
Ci tengo però a
fare una premessa: sconsiglio la lettura di
questo testo ai legulei privi d’immaginazione
che ritengono la nostra Costituzione e gli
straordinari principi in essa contenuti come un
“ferro vecchio” e desueto e che utilizzano il
diritto comunitario in maniera scorretta e
strumentale per giustificare scelte liberiste e
irrispettose della tutela dei diritti
fondamentali. Senza ciniche ipocrisie il mio
sogno è che gli amministratori pubblici
competenti abbiano il coraggio di affermare:
“siamo contro la gestione dell’acqua pubblica” e
non continuino invece ad affermare: “siamo per
la gestione pubblica, ma dal punto di vista
giuridico non è possibile”.
Abbiano il
coraggio di affermare: “ripubblicizzare si può”.
Testo del decreto
legge sugli obblighi comunitari - approvato dal
Consiglio dei Ministri del 9 settembre 2009
Art. 15
(Adeguamento alla
disciplina comunitaria in materia di servizi
pubblici locali di rilevanza economica)
1.
Profili di illegittimità del
decreto-legge in oggetto
Tralascio di
evidenziare profili di illegittimità
costituzionale relativi alla norma in
oggetto, che mi riservo di affrontare
analiticamente, anche rinviando a miei
precedenti articoli.
In particolare:
-
violazione
dei requisiti di necessità ed urgenza
previsti dall’art. 77 Cost. per l’emanazione
dei decreti-legge;
-
violazione
del principio comunitario relativo alla
distinzione tra servizi di interesse
economico-generale e servizi di interesse
generale, ovvero alla differenza tra servizi
orientati al mercato e servizi non orientati
al mercato (art.. 14 TFUE e protocollo n. 26
del Trattato di Lisbona e relativa
produzione normativa e giurisprudenziale
UE);
-
violazione
del principio comunitario della coesione
economico-sociale e territoriale, in
particolare nell’espressione relativa al
mantenimento di un elevato livello di
occupazione;
-
violazione
del principio solidaristico e di eguaglianza
di cui agli artt. 2 e 3 Cost.;
-
violazione
del principio autonomistico di
autodeterminazione dei comuni di cui agli
artt. 5 e 18 Cost.;
-
violazione
dell’art. 117, comma 2 Cost., relativo al
riparto di competenze tra Stato e regioni;
-
violazione
dell’art. 41 Cost. relativo al
riconoscimento dell’attività economica
pubblica;
-
violazione
dell’art. 43 Cost., relativo alla centralità
del ruolo dell’impresa pubblica nella
gestione dei servizi pubblici esenziali;
.
2.
“Ripubblicizzare si può”: il governo e la
gestione dell’acqua al di fuori della materia
normata dal decreto-legge in oggetto. Ripartire
dai servizi di interesse generale privi di
rilevanza economica
a.
in via preliminare occorre
ricordare che la norma in oggetto si occupa di
concorrenza, mercato e servizi pubblici di
rilevanza economica, pertanto non ha ad
oggetto servizi privi di rilevanza economica,
quali il governo e la gestione dell’acqua;
b.
la norma in oggetto non si
applica al governo e alla gestione dell’acqua in
quanto il servizio idrico integrato non è un
servizio a rilevanza economica, ma un servizio
al quale non si applicano le regole del mercato
e dunque non si applica la competenza
legislativa esclusiva in tema di tutela della
concorrenza.
c.
Il protocollo n. 26 del Trattato
di Lisbona all’art. 2, riserva ai singoli stati
membri il potere di fornire, commissionare e
organizzare servizi di interesse generale.
d.
Sulla base di questa norma gli
Stati, o meglio i livelli di governo,
presumibilmente i comuni, in quanto più vicini
ai cittadini saranno titolari del potere
d’identificare ed organizzare i servizi di
interesse generale, scegliendone anche il
modello di gestione.
e.
I comuni alla luce del protocollo
n. 26 del Trattato di Lisbona potranno,
attraverso il loro statuti e regolamenti
consiliari, disciplinarne i modelli di gestione,
anche attraverso alcune definizioni di
principio.
Ma per
l’approfondimento di questi aspetti rinvio a
La riforma dei servizi pubblici locali: i
modelli di gestione, in Quale Stato,
1, 2009 e a Il modello sociale ed economico
europeo, in A. Lucarelli e A. Patroni Griffi
(a cura di), Dalla Costituzione europea al
trattato di Lisbona, Napoli, 2009.
3. I modelli di
gestione previsti dal decreto-legge in oggetto
Alla luce del
nuovo testo è possibile individuare tre modelli
di gestione dei servizi pubblici locali: due
ordinari e uno straordinario. I tre modelli li
definirei:
-
concorrenziale aperto a soggetti pubblici e
privati;
-
concorrenziale aperto a soggetti misti
pubblico-privato, che è preceduta da una
gara tra privati;
-
non-concorrenziale fondato sull’affidamento
diretto senza gara ad una società di
capitali pubblica, caratterizzato da non
ben chiari privilegi in favore della società
quotate in borsa.
4.
Conferimento della gestione dei servizi pubblici
locali in via ordinaria a favore di imprenditori
o di società in qualunque forma costituite.
L’attuale comma
2, lett. a) del decreto-legge prevede che il
conferimento della gestione dei servizi pubblici
possa avvenire in via ordinaria a favore di
imprenditori o di società in qualunque forma
costituite mediante procedure competitive ad
evidenza pubblica.
. In merito
occorre ricordare, in maniera sintetica, che:
-
l’art. 26 n. 1 della direttiva
92/50/CEE, così come confermato dalla sentenza
CGCE, dispone che le amministrazioni
aggiudicatici non possono esigere che i
raggruppamenti di prestatori di servizi assumano
una forma giuridica specifica ai fini della
presentazione di un’offerta (principio di
“neutralità della forma giuridica” rispetto
all’assetto proprietario).
-
l’art. 41 Cost. ammette
un’attività economica pubblica, accanto alla
libertà di iniziativa economica.
-
L’art. 43 Cost. riconosce un
ruolo centrale all’impresa pubblica nell’ambito
dei servizi pubblici essenziali.
Pertanto, nella
norma in oggetto, non è ravvisabile una riserva
a partecipare alle procedure competitive a
favore di specifici assetti societari, sia per
quanto riguarda la forma che l’assetto
proprietario.
5. Spazio
gestionale per l’impresa pubblica: la
possibilità di concorrere per l’azienda speciale
Per intenderci,
alle procedure concorsuali possono partecipare
oltre alle società per azioni, anche forme
giuridiche differenti (si pensi alla società
consortile a responsabilità limitata) e anche
forme giuridiche a carattere imprenditoriale a
capitale pubblico, di proprietà pubblica.
Potranno dunque
partecipare alle procedure competitive soggetti
imprenditoriali pubblici quali le aziende
speciali, tuttora presenti nel nostro
ordinamento (art. 114 TUEL), che svolgono
un’attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o servizi.
Si tratta
evidentemente dell’applicazione di più principi
costituzionali (artt. 2, 3, 5, 41, 42, 43) che
esprimono una concezione più larga dell’attività
pubblica dello Stato, non ristretta
all’esercizio di un potere di impero, ma estesa
alla funzione sociale. Si tratterebbe dunque di
enti pubblici, che agirebbero nella sfera del
diritto privato, in regime di concorrenza con le
imprese private, o anche con altri soggetti
pubblici.
-
Conferimento
della gestione a società a partecipazione
mista pubblica e privata
L’art. 2, lett b) dell’art 15 in oggetto, così
come modificativo dell’art. 1, comma 3 dell’art.
23 bis della l. 133 del 2008, prevede che il
conferimento della gestione dei servizi pubblici
locali avvenga in via ordinaria a società a
partecipazione mista pubblica e privata, a
condizione che la selezione del socio avvenga
mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla
lettera a)
del presente comma. Società che abbiano ad
oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e
l’attribuzione dei compiti operativi connessi
alla gestione del servizio e che al socio sia
attribuita una partecipazione non inferiore al
40%.
Questa ipotesi
normativa, non presente nel precedente testo,
rappresenta la seconda strada ordinaria per
aprire al mercato i servizi pubblici locali.
Quindi oltre alla gara per contendersi la
concessione di un servizio da gestire
interamente con una impresa pubblica o privata,
vi è la gara per contendersi una partecipazione
azionaria qualificata in una società che resterà
sotto il controllo pubblico, o comunque con una
partecipazione pubblica. Il testo del decreto
legge prevede che questa partecipazione debba
essere almeno del 40% e che con questa quota
azionaria sia sempre affidata al socio privato
anche la gestione della spa mista.
Non è questa la
sede per evidenziare tutte le criticità del
sistema misto nella gestione di servizi pubblici
essenziali, più volte rimarcati dalla Corte di
Giustizia. Tuttavia, in estrema sintesi, va
evidenziato come attraverso la configurazione
di tale assetto societario, si configuri la
strumentalizzazione di capitali, proprietà e
risorse pubbliche verso finalità privatistiche
indirizzate al raggiungimento del massimo
profitto a tutto svantaggio della dimensione
sociale che comunque deve giustificare la
partecipazione del capitale pubblico. Si tratta
di silenti forme di dismissione della proprietà
pubblica a vantaggio di interessi particolari,
con evidenti rischi per i livelli occupazionali.
La soglia del 40%
è quella minima, il che significa il progressivo
sbilanciamento dell’assetto azionario a favore
della società privata che, con funzioni
gestionali, si affermerà come vero proprietario
nelle scelte strategiche. Si avrà una proprietà
formale, negli anni venutasi a formare sulla
base della fiscalità generale, e una proprietà
sostanziale del privato, con capacità reali di
incidere sulla tutela dei diritti fondamentali.
Rimane oscura la
problematica relativa ai controlli, ovvero ai
poteri che la Corte dei Conti potrà esercitare
su tali soggetti.
7. Deroga
alle modalità di affidamento ordinario: la
gestione in house a società di capitali
interamente pubbliche
L’art. 1 comma
comma 3 del decreto-legge in oggetto prevede che
“in deroga alle modalità di affidamento
ordinario di cui al comma 2, per situazioni
eccezionali che, a causa di peculiari
caratteristiche economiche, sociali, ambientali
e geomorfologiche del contestale territoriale di
riferimento, non permettono un efficace e utile
ricorso al mercato, l’affidamento può avvenire a
favore di società a capitale interamente
pubblico, partecipata dall’ente locale, che
abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento
comunitario per la gestione in house e
comunque nel rispetto dei principi della
disciplina comunitaria in materia di controllo
analogo sulla società e di prevalenza
dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o
gli enti pubblici che la controllano.
A differenza
della norma abrogata che prevedeva, laddove non
vi fossero i presupposti del mercato, la
possibilità di ricorrere ad un modello che
prevedesse l’affidamento diretto nel rispetto
dei principi della disciplina comunitaria, norma
dunque indifferente rispetto alla natura
giuridica dell’affidatario, il nuovo art. 15,
comma 3 del decreto-legge individua
l’affidatario unicamente nella forma della
società a capitale interamente pubblico.
L’affidamento in house dunque potrebbe
avvenire soltanto attraverso s.p.a. o altre
forme di società di capitali.
La norma,
escludendo implicitamente il ricorso a modi di
gestione formalmente e sostanzialmente pubblici,
come ad esempio, il ricorso alla azienda
speciale, si pone in contrasto, oltre che con
gli artt. 5, 41, 43 e 118 Cost, oltre che con il
principio della “neutralità giuridica rispetto
agli assetti proprietari”, così come confermato
da una recente sentenza della Corte di Giustizia
che ha dichiarato illegittima una norma e una
procedura che escludeva dalla gara società in
nome collettivo e a responsabilità limitata
(CGCE, sez IV, sentenza 18 dicembre 2007 ,
procedimento C-357/06).
Le novità più
significative, per quanto attiene gli aspetti
procedurali dell’affidamento in house
risiedono:
a)
nella possibilità, in linea con
quanto affermato dal Consiglio di Stato con
sentenza n. 5082 del 26 agosto 2009 e con la
sentenza della Corte di Giustizie UE del 13
novembre 2008 C-324/07, che il controllo analogo
della mano pubblica sull’ente affidatario sia
effettivo, anche se esercitato congiuntamente
dagli enti associati (ad esempio più comuni). In
sostanza, un ente locale che acquisisce una
partecipazione in una società in cui tutti gli
altri referenti sono PA può attuare il controllo
analogo facendo leva sul rapporto con gli altri
soci;
b)
nella modifica della procedura
per il parere obbligatorio dell’Antitrust sugli
affidamenti diretti. Secondo la nuova normativa,
infatti il parere dell’Authority va reso per
procedure superiori a certi valori, da
individuare, ed entro termini perentori,
altrimenti scatta il silenzio assenso. Rispetto
alla formulazione precedente originaria del
comma 4 dell’articolo 23 bis della l. 133 del
2008, la nuova disposizione non prevede più la
richiesta di parere anche alle authorities di
settore. Il parere dell’Agcm è preventivo e deve
essere reso dalla stessa entro sessanta giorni
dalla ricezione della relazione. Decorso il
termine, il parere, se non reso, si intende
espresso in senso favorevole (silenzio-assenso).
8. Il favor
lobbystico ed affaristico per le società di
gestione e per le società quotate in borsa.
La nuova
normativa mentre da una parte prevede una
“stretta” generale per le gestioni in house,
che improrogabilmente devono scadere alla data
del 31 dicembre 2011, dall’altra “salva” altre
tipologie di affidamento, garantendo loro la
gestione del servizio fino alla naturale
risoluzione contrattuale. È evidente che si
tratta di un “salvataggio” lobbystico a
salvaguardia di precisi interessi e di precise
situazioni imprenditoriali ed
economico-finaziarie.
In particolare
non scadono il 31 dicembre 2011:
a.
le gestioni affidate a società a
partecipazione mista pubblica e privata, qualora
la selezione del socio sia avvenuta mediante
procedure competitive ad evidenza pubblica, le
quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso,
la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti
operativi connessi alla gestione del servizio;
b.
le gestioni affidate a società a
partecipazione pubblica quotate in borsa alla
data del primo ottobre 2003 scadranno alla
scadenza prevista, a condizione che la
partecipazione pubblica si riduca anche
progressivamente attraverso procedure ad
evidenza pubblica ovvero forme di collocamento
privato presso investitori qualificati e
operatori industriali, ad una quota non
superiore al 30% entro il 31 dicembre 2012; in
caso contrario, gli affidamenti cessano
improrogabilmente e senza necessità di apposita
deliberazione dell’ente affidante, alla data del
31 dicembre 2012.
Con l’entrata in
vigore di questa norma si aprirà la stagione
della svendita del patrimonio mobiliare ed
immobiliare delle ex municipalizzate che, per
salvare la durata delle gestioni attuali oltre
il 2012, dovranno infatti scendere sotto la
quota del 30%.
Le società
quotate, inspiegabilmente, hanno dalla riforma
un trattamento di favore non riservato alle
altre società pubbliche che abbiano avuto
affidamenti diretti di servizi pubblici senza
gara. Tali società potranno inoltre, a
differenza, delle altre, diversificare le loro
attività, sia dal punto di vista funzionale, che
territoriale. Il capitale pubblico “svenduto”
costituirà la base necessaria per trasformare
tali soggetti in business company, tutte
protese alla massimizzazione dei profitti. In
sostanza, tali società potranno partecipare a
gare per acquisire ulteriori servizi e
concessioni e potranno continuare ad acquisire
altre forme di servizio fuori del proprio
territorio. La stagione degli affari e del
“mercato delle vacche” è dunque aperta. Servizi
pubblici locali essenziali, anche a carattere
non economico, saranno tutti potenzialmente
protesi verso una gestione fondata sul profitto,
in totale dispregio del principio comunitario
della coesione economico-sociale, territoriale e
degli aspetti occupazionali.
9. Considerazioni
conclusive
9.1
l’illegittimità della norma
a. Volendo
riassumere, quanto su argomentato, è possibile
affermare che il decreto-legge in oggetto è
palesemente illegittimo ed in contrasto con gli
:
a.
artt. 2, 3, 5, 41, 42, 43, 117,
118 della Costituzione;
b.
artt.
14 TFUE (ex art. 16 TCE); art. 2,
protocollo n. 26 del Trattato di Lisbona e la
Risoluzione n. 97/357 del Parlamento europeo in
tema di servizi di interesse generale;
c.
art. 26 n. 1 della direttiva
92/50/CEE e relativa sentenza CGCE, sez. IV del
18 dicembre 2007 (procedimento C-357-06).
Si tratta dunque
di un decreto-legge verso il quale ai sensi
dell’art. 134 Cost., da parte di tutti coloro i
quali hanno a cuore la tutela dei diritti umani
e la difesa della Costituzione, va sollevata
questione di legittimità costituzionale. In ogni
caso nel processo di conversione, nel dibattito
parlamentare vanno sollevati tutti i profili di
illegittimità.
9.2 L’ipotesi
pubblica nel mercato concorrenziale: l’azienda
speciale
Nel merito, anche
nel caso il cui il governo e la gestione
dell’acqua fosse fatta rientrare tra i servizi
d’interesse economico-generale, orientati al
mercato, si ritiene in conformità al principio
comunitario della neutralità degli assetti
proprietari e nel rispetto del principio
costituzionale di cui all’art. 41 Cost. che
riconosce e garantisce l’attività economica
pubblica che l’azienda speciale possa
concorrere alla gestione del servizio.
9.3 L’ipotesi
pubblica per il governo e la gestione dell’acqua
come servizio pubblico di interesse generale non
orientato al mercato
Va
affermato con risolutezza che siamo in presenza
di una normativa che si occupa esclusivamente di
servizi di interesse economico-generale, quindi
non produce effetti sul governo e la gestione
dell’acqua che è un ambito direttamente
riconducibile ai diritti fondamentali e quindi
non orientato al mercato. Esso rientra tra i
servizi di interesse generale, ai quali non si
applicano le regole del mercato e della
concorrenza.
Il comune con
regolamento consiliare può dichiarare in
conformità con il diritto comunitario e con il
principio di sussidiarietà l’acqua bene oggetto
di servizi di interesse generale, affidando
dunque il servizio ad un soggetto formalmente e
sostanzialmente pubblico come l’azienda
speciale.
Ancora una volta,
seppur in attesa di una legge statale che
disciplini in modo organico e compiuto il
governo dell’acqua, è possibile affermare che
occorre una volontà politica che voglia
veramente aprire il varco ed intraprendere
un’azione che porti alla vera ripubblicizzazione
dell’acqua.
Visto il clima
politico-economico si tratta di una strada ardua
, ma possibile da intraprendere.
Credo che per un
bene sacro come l’acqua valga la pena di
procedere…..e lo si faccia quanto prima. Questo
sì che sarebbe un messaggio politico
straordinario.
Alberto Lucarelli
Napoli 18
settembre 2009
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