Il
Messaggero - Mercoledì 21 Novembre 2007
Se
la fiction “Liberi di giocare” del regista
Francesco Miccichè, girata a Pesaro e andata in
onda domenica e lunedì, è stata la storia di un
riscatto morale nato tra le pareti di un
carcere, è anche vero che ha rappresentato
l’ennesima umiliazione e mortificazione di chi
nel carcere ci opera veramente.
Ancora una volta – diversamente da quanto
succede per altri Corpi di Polizia enfatizzati
in infinite fiction interamente dedicati alle
loro gesta – la televisione ed il cinema si
divertono a rappresentare la realtà del carcere
come una terra di nessuno, infarcita di
corruzione,violenza, complicità, assoluta
mancanza di professionalità.
Come sempre gli agenti di Polizia Penitenziaria
sono stati offerti alla pubblica opinione come
corrotti e al servizio dei detenuti, incaricati
solo di aprire e chiudere cancelli o inveire
violentemente contro di loro.

(nella
foto la Ferrari e Favino)
E’
una realtà del tutto falsata che i mass media
continuano a coltivare nell’immaginario
collettivo dello spettatore, cui evidentemente
bisogna nascondere, per motivi ignoti, la reale
vita del carcere e di chi vi opera, del suo
ruolo e della sua funzione fatta non solo di
sacrifici – per le difficoltà ambientali
operative e finanziarie - ma anche di
comprensione, equilibrio, dedizione,
immedesimazione delle problematiche, aiuto nella
crescita morale di chi è privato della libertà
personale. Quella dell’operatore penitenziario –
per la complessità e la molteplicità delle
competenze - è una professionalità che, anche
per l’aspetto umano, non trova riscontri in
nessun altro lavoro. Appiattirla, falsarla e
ridurla al semplice ruolo di “tira catorcio” o
di manovratore occulto di violenza e corruzione,
è non solo gratuitamente offensivo, ma umilia
una categoria altamente specializzata che opera
in uno dei settori più delicati della sicurezza
e della pubblica amministrazione.
Quello che ci è stata offerta, dalla figura
della Direttrice a quella dell’ultimo agente, è
una libera interpretazione del regista che non
trova alcun riferimento nella realtà
penitenziaria di tutti i giorni.
Aldo Maturo
Ex Direttore Casa Circondariale Pesaro
Corriere Adriatico
L’ex
direttore della Casa circondariale di Villa
Fastiggi: una fiction che ha umiliato gli agenti
di custodia
Maturo: “Liberi di giocare,
ma non di mortificare”
PESARO - La fiction “Liberi di giocare”, girata
a Pesaro e andata in onda domenica e lunedì sera
su Raiuno, non è piaciuta ad Aldo Maturo, ex
direttore della Casa circondariale di Pesaro,
nonchè, in tempi passati, del carcere a massima
sicurezza di Fossombrone. Il quale, come
“addetto ai lavori”, ha molto da obiettare. “Se
la fiction - scrive Maturo - è stata la storia
di un riscatto morale nato tra le pareti di un
carcere, è anche vero che ha rappresentato
l’ennesima umiliazione e mortificazione di chi
nel carcere ci opera veramente. Ancora una volta
– diversamente da quanto succede per altri Corpi
di Polizia enfatizzati in infinite fiction
interamente dedicati alle loro gesta – la
televisione ed il cinema si divertono a
rappresentare la realtà del carcere come una
terra di nessuno, infarcita di corruzione,
violenza, complicità, assoluta mancanza di
professionalità. Come sempre gli agenti di
Polizia Penitenziaria sono stati offerti alla
pubblica opinione come corrotti e al servizio
dei detenuti, incaricati solo di aprire e
chiudere cancelli o inveire violentemente contro
di loro.
“E’ una realtà - continua Maturo - del tutto
falsata che i mass media continuano a coltivare
nell’immaginario collettivo dello spettatore,
cui evidentemente bisogna nascondere, per motivi
ignoti, la reale vita del carcere e di chi vi
opera, del suo ruolo e della sua funzione fatta
non solo di sacrifici, ma anche di comprensione,
equilibrio, dedizione, immedesimazione delle
problematiche, aiuto nella crescita morale di
chi è privato della libertà personale.
“Quella dell’operatore penitenziario – per la
complessità e la molteplicità delle competenze -
è una professionalità che, anche per l’aspetto
umano, non trova riscontri in nessun altro
lavoro. Appiattirla, falsarla e ridurla al
semplice ruolo di “tira catorcio” o di
manovratore occulto di violenza e corruzione, è
non solo gratuitamente offensivo, ma umilia una
categoria altamente specializzata che opera in
uno dei settori più delicati della sicurezza e
della pubblica amministrazione.
“Quello che ci è stata offerta, dalla figura
della direttrice a quella dell’ultimo agente -
conclude l’ex direttore Aldo Maturo - è una
libera interpretazione del regista che non trova
alcun riferimento nella realtà penitenziaria di
tutti i giorni”.
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