Decreto
Legge 158/2008

Misure urgenti per il
sostegno a famiglie, lavoro, occupazione
e impresa e per ridisegnare in funzione
anti-crisi il quadro strategico
nazionale.
Fonte:
www.ilsole24ore.it
OVER 65
- BEBE’
Moduli di richiesta
e
Guida alla
compilazione
Link ai siti
ufficiali:
http://www.mef.gov.it/carta_acquisti/
http://www.poste.it/carta_acquisti/
E' in arrivo la social card, 40 Euro al mese
in più per i cittadini in gravi condizioni
economiche,un serio aiuto per i pensionati e
le persone più deboli.
La social card, che
avrà durata di un anno è ricaricabile per 80
Euro bimestralmente e andrà a sostegno di
circa 800 mila persone che versano in
condizioni economiche di grave disagio. Se
si ha diritto a ricevere la Social Card si
riceverà una comunicazione da parte
dell’INPS e potrà essere richiesta
direttamente alle Poste. La Social Card
potrà essere utilizzata per pagare bollette
ENEL e Gas e anche per l’acquisto di
alimentari di prima necessità.
La carta sarà destinata ai cittadini
residenti con oltre 65 anni di età e un
reddito inferiore ai 6 mila euro e alle
famiglie, con lo stesso reddito, in cui ci
sia un bambino sotto i tre anni. Tali
soggetti per richiedere la carta dovranno
compilare il modello ISEE (redditometro
dell’INPS) e dimostrare che possiedono i
requisiti per ottenere la social card.
Le limitazioni sono le seguenti:il
richiedente deve possedere al massimo una
casa, una autovettura (due in caso di una
famiglia con figli minori) ed avere
solamente un’utenza elettrica (una domestica
e una non domestica per le famiglie con
figli) o del gas (due per le famiglie).
Inoltre non bisognerà avere più di 15.000
euro di soldi in Banca o alle Poste (da soli
o con il marito/moglie).
La
povertà... Tra social card e reddito minimo
di inserimento
01-12-2008
di Giovanni Zarro
Ecco la carta
sociale! 800.000 cittadini a basso reddito,
nel corrente mese di dicembre, disporranno
di 120 euro (40 euro al mese retroattivi da
ottobre) da spendere negli esercizi
commerciali convenzionati. Con quali
modalità? Attraverso la Social card!... Ecco
la carta sociale! 800.000 cittadini a basso
reddito, nel corrente mese di dicembre,
disporranno di 120 euro (40 euro al mese
retroattivi da ottobre) da spendere negli
esercizi commerciali convenzionati. Con
quali modalità? Attraverso la Social card!
E’ una tessera elettronica; potrà essere
ritirata presso gli uffici postali. Chi ne
potrà essere titolare? A chi è diretta? Ai
pensionati sociali o al minimo e alle
famiglie con figli piccoli (fino a tre anni)
che abbiano un reddito Isee (indicatore
della situazione economica equivalente) non
superiore a 6.000 euro annui. La tessera
potrà essere utilizzata per fare la spesa e
per accedere a mirate prestazioni sociali.
Da gennaio la carta verrà ricaricata, 80
euro ogni due mesi. E’ previsto anche un
“bonus sociale” sulle bollette energetiche!
E’ già definito per l’energia elettrica;
sarà probabilmente esteso al gas. Hanno
diritto all’agevolazione gli intestatari di
fornitura elettrica con un reddito Isee non
superiore a 7.500 euro. Hanno diritto al
bonus anche i cittadini presso i quali vive
un soggetto affetto da malattia che richiede
l’utilizzo di apparecchiature
elettromedicali. Cosa dire della Social
Card? Intanto ….è una decisione! È una
decisione a suo modo attenta ed efficace,
quanto a funzionamento! Pone, però, è bene
non negarlo, alcuni interrogativi: la Social
Card davvero è lo strumento per sferrare un
duro attacco alla povertà? E’ davvero lo
strumento per condurre una lotta senza
quartiere alla povertà con l’obbiettivo di
venirne, finalmente, a capo? In altri
termini ….è una forma di solidarismo
compassionevole o un rafforzamento dei
diritti di cittadinanza che la Costituzione
mette in capo ai cittadini? Non c’è che
dire, da qualsiasi parte la si esamini, è
solo una forma di solidarismo
compassionevole, visto il difficile momento
economico o è un modo elegante per dire e
fare ….. elemosina! E’ il nuovo nome
dell’elemosina! Insomma, il Governo riduce,
con il 112/ 2008, il welfare universalistico
dei servizi sociali e sanitari e individua
la «carta sociale», come strumento di lotta
alla povertà. Ed il PD? Il Pd cosa fa? Deve
mettere in campo una proposta alternativa
alla social card; una proposta in grado di
rimuovere le criticità ed i limiti che le
sono propri! La proposta non può che essere
quella del reddito minimo di inserimento.
Senza mitizzarlo, però! Ma
ragioniamo…intanto le cifre sulla povertà!
L’Italia, secondo i dati ISTAT, nel 2006,
contava n. 7.537.000 cittadini residenti, il
12,9% dell’intera popolazione, in condizioni
di povertà, secondo gli standards fissati
dall’Onu. L’Istat ha richiamato l’attenzione
su figure simbolo della povertà: famiglie
numerose con figli a carico, minori, anziani
soli. Si sono aggiunte, negli ultimi anni,
alcune fasce di giovani. Va precisato che
secondo la Banca d’Italia, considerando gli
indicatori di disuguaglianza, il disagio
economico non sarebbe aumentato in questi
anni. Il disagio non è aumentato, e non si
sa se può essere vero; ma esiste ed in
misura consistente! Cosa lo provoca? Lo
provoca la stagnazione dei redditi. Questo
fenomeno rende gli italiani relativamente
più poveri rispetto ai cittadini dei
restanti grandi paesi europei! I redditi
delle famiglie, nelle altre parti d’Europa,
sono cresciuti a tassi superiori. La
stagnazione dei redditi induce a chiedersi:
cosa si può fare per incrementare
significativamente i redditi? Innanzitutto
l’impegno a condurre una vigorosa politica
di sviluppo economico ed in conseguenza una
più favorevole politica salariale! Il
disagio economico e sociale porta anche a
considerare cosa all’atto si fa…nella
prospettiva di una mirata e decisa azione di
contrasto al pauperismo! C’è una politica
contro il pauperismo! Questo si! Ed
ancora..non è modesta quanto a cifre e
….sicuramente non è efficace, quanto a
risultati! In Italia il complesso dei
trasferimenti di protezione sociale
(pensioni comprese) è pari al 30% del
Reddito prodotto, come le altre grandi
nazioni; epperò coinvolge il 56% della
popolazione a rischio di povertà contro una
media, dell’UE a 25, di quasi il 63%. Se si
prende in considerazione l’efficacia dei
soli trasferimenti assistenziali, escluse le
pensioni, si registra che in Italia viene
coinvolta il 30% della popolazione a rischio
povertà contro una media dei paesi
dell’Unione prossima al 40%. Quali le
conseguenze della povertà? La povertà
distrugge la dignità dell’uomo! Ancora di
più quando coinvolge i minori. L’esser
poveri nella fase iniziale della vita cosa
provoca? Provoca ….uno svantaggio
strutturale, in termini di minore
istruzione, di minore possibilità di
inserimento nel mercato del lavoro, di più
forti rischi quanto alla esclusione sociale!
Ancora sulla povertà….e sulla povertà
minorile… Si è poveri da bambini come figli
di disoccupati e di sottoccupati; si rimane
poveri da giovani e da adulti perché la
povertà dei genitori, unita ad una politica
scolastica, insufficiente, poco attenta a
comprendere le situazioni di svantaggio
famigliare (da qui la lotta per una scuola
migliore ma anche per una cultura sociale
sulla scuola che ne rimarchi il suo ruolo
strategico per conseguire l’obbiettivo della
uguaglianza delle opportunità) non consente
l’accesso a una formazione adeguatamente
spendibile sul mercato del lavoro. Cresce il
numero dei diplomati e laureati e cresce
anche il disallinemanto rispetto alle
moderne esigenze del mercato del lavoro. Non
solo… troppe volte l’unico lavoro che si
trova è al di sotto della soglia di decenza,
in quanto privo di diritti e di tutele. E
dunque si deve prendere atto che le
politiche nazionali di contrasto alla
povertà in essere sono datate, non
universalistiche, basate su criteri di
selezione tali da lasciare un’ampia fascia
di persone e di famiglie povere senza la
possibilità di contare su alcun sostegno
economico. Cosa dice l’Unione Europea sulla
lotta alla povertà? Punto di riferimento è
l’Agenda sociale europea! Gli obiettivi
sono: creare una strategia integrata che
garantisca un’interazione positiva delle
politiche economiche, sociali e
dell’occupazione; promuovere la qualità
dell’occupazione, della politica sociale e
delle relazioni industriali, consentendo
quindi il miglioramento del capitale umano e
sociale, adeguare i sistemi di protezione
sociale alle esigenze attuali, basandosi
sulla solidarietà e potenziandone il ruolo
di fattore produttivo; tenere conto del
«costo dell’assenza di politiche sociali».
Nell’ambito della lotta alla povertà,
l’iniziativa comunitaria chiede,
chiaramente, agli Stati membri, di adottare
misure di reddito minimo di inserimento;
indica il 2010, l’anno europeo della lotta
alla povertà. La via europea della lotta
alla povertà, come si constata, prevede un
gruppo di politiche generali da una parte e
mirati ed intelligenti interventi
dall’altra. In definitiva, quale è la
differenza fra i paesi europei quanto alla
povertà? La presenza di misure specifiche
come il reddito minimo di inserimento in uno
a quelle generali fanno la differenza;
costituiscono un discrimine tra paesi le cui
politiche sociali agiscono con maggiore
efficacia nel contrastare la povertà e paesi
in cui l’efficacia delle misure antipovertà
è inferiore. Tra queste l’Italia! L’accesso
al lavoro è, dunque, essenziale; non è
esaustivo per contrastare la povertà e
l’esclusione sociale! Il lavoratore deve
avere diritti, deve poter accedere alla
formazione permanente, ad un circuito
informativo adeguato, al sostegno delle
attività di cura. Perché? Perché il lavoro
da solo non produce l’agognata integrazione
sociale. Un reddito da solo non libera dalla
povertà. Perché la povertà, è “l’espressione
di un fallimento delle capacità. E
costituisce una limitazione, dell’esistenza
umana”.E siamo al punto! È utile impostare
le politiche di lotta alla povertà alla luce
del concetto di capacità. La capacità è
l’esercizio delle libertà sostanziali; mette
l’accento sui risultati che si ottengono con
il buon utilizzo delle risorse e non si
limita a riconoscere in modo formale un
diritto ma si preoccupa di come renderlo
pratico ed effettivo. Il concetto di
capacità sposta l’attenzione sul rapporto
tra reddito e star bene nella consapevolezza
che non basta guadagnare risorse per stare
bene; bisogna saperle usare. Non basta
prevedere il reddito minimo di inserimento,
non basta dare soldi ai cittadini per
estirpare questo male; bisogna preoccuparsi
che il reddito assentito sia usato dalle
persone come strumento per attivare un
progetto di vita, un progetto di uscita
dalla povertà. La povertà può essere colpita
se si mettono in campo un gruppo di
politiche coordinate, generali e specifiche;
ed ancora se vengono monitorate
sistematicamente quanto ai fini, quanto agli
esiti. Dunque, quali le misure per prevenire
e combattere la povertà? Come si accennava,
di già, una politica di sviluppo, quindi una
politica di piena occupazione, quindi una
politica salariale attenta.
Specificamente…la buona e piena occupazione
femminile; misure fiscali e monetarie a
sostegno dei figli; politiche di
conciliazione tra il dovere del lavoro e la
responsabilità di cura per donne e uomini;
l’accesso ai servizi socio-educativi per la
prima infanzia (0-3 anni); misure per
prevenire, rallentare, prendere in carico la
non autosufficienza; una politica della casa
che parta dagli affitti. In questo
contesto…trova spazio la istituzione del
RMI! L’Italia deve colmare il deficit che la
separa dagli altri paesi europei dotandosi,
come indicò la commissione Onofri del 1997,
di un vero e proprio diritto soggettivo di
cittadinanza, tutelato e disciplinato dalla
legge, definito con criteri universalistici
e standardizzati, sottratto alla
discrezionalità dell’amministrazione
erogante, affiancato da articolate misure di
accompagnamento volte a reintegrare i
beneficiari nel loro tessuto sociale ed
economico. Il reddito minimo di inserimento
(RMI), nei termini indicati dalla
commissione Onofri fu, già, sperimentato
negli anni 1999-2004. Il governo Berlusconi
con il «Patto per l’Italia» del 2002 e con
il Libro bianco sul welfare del 2003
abbandonò questa misura, che avrebbe dovuto
essere sostituita con il reddito di ultima
istanza. L’impegno assunto non venne
onorato! E qui non voglio ricordare le
polemiche di allora… Dunque il Reddito
minimo di inserimento…..e quale funzione
sottolineare? Il reddito minimo di
inserimento è indirizzato alla fasce più
deboli della popolazione. I destinatari sono
gli individui maggiorenni il cui benessere è
valutato in base alle risorse del nucleo
familiare in cui sono inseriti, tenendo
conto della composizione della famiglia e
delle caratteristiche dei componenti; mira
al reinserimento nel mondo del lavoro dei
beneficiari responsabilizzandoli alla
ricerca attiva di un’occupazione, alla
partecipazione a lavori socialmente utili e
a programmi di formazione; è integrato con
le politiche assistenziali locali e con le
politiche attive del lavoro. Punto
qualificante del reddito minimo di
inserimento è che si tratta di una misura
transitoria (due anni) e che esso è
accompagnato in modo obbligatorio da
programmi di reinserimento lavorativo e
sociale. Il lavoratore disoccupato o
inoccupato è chiamato a collaborare per
migliorare le sue capacità, a migliorare il
suo potenziale professionale. Quando
istituirlo? Come istituirlo? La discussione
sul federalismo fiscale dovrebbe essere
l’occasione per compiere una scelta decisiva
sull’RMI. Si tratta infatti di dare
applicazione agli articoli 117 e 119 della
Costituzione (così come riformulata nel
2001). Ciò significa innanzitutto colmare il
grave ritardo nella definizione dei livelli
essenziali delle prestazioni sociali e
risolvere il problema di coerenza che esiste
tra l’articolo 117 e l’articolo 119. Il
primo attribuisce allo Stato il compito di
definire i livelli essenziali per i diritti
sociali e civili ed il secondo, l’articolo
119, ne disciplina la finanza! Prevede
l’autosufficienza delle forme di entrata
delle Regioni per le funzioni attinenti il
proprio livello di governo; prevede la
definizione di un unico fondo con finalità
esclusive di perequazione, fondato sul
criterio della capacità fiscale; comporta
implicitamente il divieto di ricorso a
rapporti finanziari tra centro e periferia,
rappresentati da trasferimenti a
destinazione vincolata (sanità, assistenza,
nidi, ecc. ecc.). Se la scelta
dell’integrazione del reddito, per chi è in
condizione di povertà, si configura come
diritto di cittadinanza e dunque diritto
esigibile, non sottoposto alle disparità
territoriali in coerenza con l’articolo 117
della Costituzione, è lo Stato a provvedere;
dovrà essere lo Stato a provvedere! Quanto
costa il Reddito minimo di inserimento?
Quali le modalità per entrare in vigore? Il
costo dei reddito minimo di inserimento è
stato valutato in un’ipotesi minima di 2.600
milioni di euro e in una massima di 4.000
milioni di euro, a seconda della soglia
assunta come indicatore della situazione
economica e sociale. Si potrebbe prevedere,
quanto all’entrata in vigore della misura,
un processo graduale; una entrata in vigore
per steps! E dunque, il reddito minimo di
inserimento, in uno con le politiche a
valenza più generale, potrebbe essere il
mezzo più adeguato per contrastare e
vincere, finalmente, la povertà; e potrebbe,
dovrebbe sostituire la carta sociale.
Sarebbe, inoltre, più efficace e più
rispettoso della dignità delle persone.
Epperò…il R.M.I. è una misura di politica
sociale che interessa e coinvolge il solo PD
e la sua sensibilità sociale o potrebbe
essere una battaglia bipartizan? Vedremo!
Gli italiani vedranno e valuteranno!