Nella basilica di San Giovanni in Laterano un
affresco che ritrae il vescovo sannita
Il
San Barbato “dimenticato”
La
figura dell’Apostolo del Sannio, di origini
castelveneresi, domina l’opera del Costanzi
nella Cappella Orsini
Nella basilica papale di San Giovanni in
Laterano in Roma, adiacente alla Porta Santa
c’è la cappella della famiglia Orsini.
Sull’altare una pala affrescata nella prima metà
del Settecento. L’affresco, come oggi viene
presentato anche nelle dettagliate guide
riferite agli itinerari religiosi della Città
Santa, è chiamato ‘La Concezione’.
Lo
stupore che colpisce l’occhio dell’osservatore
all’immagine complessa ed allo stesso tempo ben
definita della composizione è di quelli che
meraviglia per la perfezione e suggestione e,
nel nostro caso, anche per il forte legame
devozionale. La limpidezza della luce e la
trasparenza dei colori, quasi evanescenti, ci
trasportano in una dimensione divina. Emozioni
rese ancore più intense dalla consapevolezza che
per primi, come castelveneresi, ci avvicinavamo
con piena consapevolezza all’affresco che
ritraeva il nostro santo protettore.
Il
lavoro pittorico è dominato dalla figura
dell’Immacolata Concezione accanto alla quale,
in una disposizione figurativa a triangolo,
spiccano da un lato due religiosi francescani ed
in basso, in primo piano a sorreggere l’intera
struttura iconografica, la figura di un
vescovo.
La presenza dei
francescani potrebbe indurre facilmente
all’errore circa la collocazione della figura
storica di questo vescovo, visto che a primo
impatto si identificherebbe con un religioso
ovviamente vissuto dopo la fondazione
dell’ordine francescano (che ha avuto origine
come si sa ad opera di
San Francesco d'Assisi
che ottenne nel
1209/1210
dal
papa Innocenzo III la
possibilità di vivere in modo radicale la
povertà
evangelica).
Invece, edotti da una approfondita ricerca,
sapevamo che ad essere rappresentato è il
vescovo sannita (nato a Castelvenere) San
Barbato, vissuto nel settimo secolo.
Si tratta del
pastore famoso per la sua opera evangelica
nell’Italia Meridionale al tempo del dominio
Longobardo.
Nato a Vadàri, l’attuale contrada
Foresta, lega il suo nome alla lotta contro le
superstizioni e l’idolatria. Pastore in un
periodo segnato dalla guerra tra i Longobardi
(che governavano il ducato di Benevento) e
l'imperatore Costanzo II (che assediò a lungo la
città). A lui la promessa del duca Romualdo, per
la sua intercessione verso la Madonna, di
rigettare il culto idolatra dell'albero e della
vipera. Morì a Benevento il 19 febbraio 682,
dopo aver guidato la diocesi per diciannove
anni.
Il culto del
santo, pur essendo ancora oggi fortemente
radicato tanto che si contano ben cinque
località che lo venerano come santo protettore
(oltre a Castelvenere, Manocalzati in provincia
di Avellino, Valle dell’Angelo in provincia di
Salerno, Cicciano in quella di Napoli e
Casalattico in provincia di Frosinone), lo fu
certamente ancora di più nei secoli scorsi.
Prova evidente ne è appunto
questo affresco
ubicato nella
prima cappella che si incontra lungo la navata
minore destra dell'impetuoso edificio di culto
capitolino.
L'Arcibasilica Laterana o
Lateranense, meglio nota come San Giovanni in
Laterano, è appunto la
Cattedrale della
diocesi di Roma e sede
ecclesiastica ufficiale del
Papa, contenendovi la
cattedra papale o
Santa Sede. È inoltre
la prima delle quattro
basiliche papali e la
più antica
basilica d'Occidente.
Il suo nome completo è Arcibasilica del
Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni
Battista ed Evangelista in Laterano madre e capo
di tutte le chiese della città e del mondo.
La
cappella dove è ubicato l’affresco, come detto,
è quella della famiglia Orsini, nobilissimo
casato romano a cui apparteneva tra l’altro
l'arcivescovo di Benevento Vincenzo Maria
Orsini, salito al soglio pontificio con il nome
di Benedetto XIII e reggendo le sorti della
Chiesa dal 1724 al 1730.
Proprio questo Pontefice fu particolarmente
legato alla terra sannita ed alla figura
dell’Apostolo del Sannio.
Non a caso si apprende che l’opera in questione
risale al 1742 (quindi pochi anni dopo la sua
morte), datazione che si ricava dalle notizie
riportate in un 'Chracas'.
Il
'Chracas' è una delle fonti più utili per lo
studio della vita politica, artistica e
culturale dal Settecento alla prima metà
dell'Ottocento. Si presenta come una serie di
cronache dettagliate degli eventi storici,
artistici, religiosi e mondani dal 1716 al 1838
in Ungheria, in Polonia, a Stoccolma,
Strasburgo, Roma, Venezia... Il nome è legato
alla famiglia degli stampatori romani che ne
curò la pubblicazione.
Alla data 30 del mese di giugno del 1742 si
legge: “Per la festa di S. Giovanni Battista
nella Basil. di S. Giovanni Battista in Laterano
si vide scoperto il nuovo quadro, dell'Altare
dirimpetto alla Cappella dell'Ecc.ma Casa
Corsini, in cui sono egregiamente dipinti la
SS.ma Vergine, S. Barbato, Arcivescovo di
Benevento, e i B. Fedele da Sigmaringa e
Giuseppe da Leonessa Minori Cappuccini; il
quadro è opera del virtuoso sig. Placido
Costanzi”.
Da
qui si ricavano, dunque, anche i nomi degli
altri due religiosi raffigurati nonché quello
dell’artista autore dell’affresco.
Una descrizione ancora più particolareggiata
della cappella la ritroviamo in una fonte del
1839. Si tratta dell’opera 'Roma nell'anno
MDCCCXXXVIII' di Antonio Nibby in cui si legge
in riferimento alla descrizione della basilica
lateranense: “La prima cappella ha un quadro a
fresco colla Concezione, s. Barbato ed altri
santi, opera del Costanzi. Trovasi quindi la
sepoltura di Pietro Paolo Millini, colla sua
statua giacente, ed apposita iscrizione. Vedesi
quivi un'immagine di Maria trasportata nel 1669
da un orto propiaquo al colosseo, dov'era
dipinta sulla porta; il capitale le pose un
altare ed è uno dei privilegiati. Presso
l'altare stesso vi è il deposito di Giulio
Acquaviva, figliolo del celebre guerriero
Girolamo Acquaviva, duca d'Atri, e vi si legge
una scritta, da cui si ritrae che per le virtù
fu assunto al cardinalato in età giovanissima da
s. Pio V, e che morì d'anni 28 nel 1574”.
Ed
in realtà in quel periodo questa cappella era
intitolata per volere della famiglia Orsini
proprio a San Barbato. Un dato che emerge tra le
notizie riportati in un altro 'Chracas', quello
riferito al 1791. La notizia che interessa è
quella relativa alla morte del cardinale
Domenico Orsini d'Aragona, “nato in Napoli 5·
Giugno 1719, primo Diacono di S. Maria in
Vialata, creato Card. 9·Sett·1743· morto in Roma
19·Genn·1789, esposto nella Chiesa di S. Maria
in Vallicella, e di lì trasportato privatamente
alla Basilica di S. Gio. in Laterano, ove fu
umato nella Cappella dedic. A S. Barbato Vesc.
come avea disposto”.
Ritornando all’opera c’è da aggiungere che i due
religiosi francescani erano all’epoca ancora
beati. Verranno infatti canonizzati poco più
tardi. Il primo, San Fedele da Sigmaringa, è un
tedesco (al secolo Markus Roy) nato a
Sigmaringen il 1° ottobre 1577 e morto a Seewis
in Prattigau il 24 aprile 1622. Venne proclamato
beato proprio dal Papa Orsini Benedetto XIII il
24 marzo 1729 mentre è stato poi canonizzato da
papa Benedetto XIV il 29 giugno 1746. L'altro
santo è praticamente coetaneo: San Giuseppe da
Leonessa (al secolo Eufranio Desiderio) è anche
lui un frate cappuccino nato a Leonessa l'8
gennaio 1556 e morto ad Amatrice il 4 febbraio
1612.
La
beatificazione, datata 22 giugno 1737, arriva da
Papa Clemente XII mentre la canonizzazione
giunge sempre il 29 giugno 1746 per volere di
Benedetto XIV.
Per quanto concerne l'artista autore
dell'affresco si tratta come detto di Placido
Costanzi (1688-1759), romano e allievo di
Benedetto Luti, autore soprattutto di lavori
storici e devozionali. Tra i dipinti si
segnalano il ‘San Camillo’ che si conserva nella
chiesa di Santa Maria della Maddalena e la
‘Rianimazione di Tabitha’ nella basilica di
Santa Maria degli Angeli che riproduce un
mosaico della Basilica di San Pietro.
Grazie alla scoperta di queste fonti, da oggi in
poi, entrando dalla porta a destra dell’ingresso
della basilica papale di San Giovanni in
Laterano, sappiamo che la figura di quel vescovo
imponente che rapisce lo sguardo al primo
impatto è quella dell’Apostolo del Sannio. Un
San Barbato “dimenticato”.
Pasquale Carlo
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