21 gennaio 2009
Faicchio, il restauro del ponte Fabio Massimo
Lorenzo Morone

 

 

IL RESTAURO DEL PONTE QUINTO FABIO MASSIMO

 

L’articolo pubblicato dal Sannio Quotidiano del 17.01.09, sul restauro del Ponte Fabio Massimo a Faicchio, lavori progettati dal collega Arch. Vincenzo Vallone, è estremamente positivo in quanto apre finalmente una finestra su quello che è il dibattito culturale sul restauro nel resto dell’ Italia.

 

A mio parere, una delle più grandi colpe che ha la scuola italiana, il paese che detiene almeno il 70% del patrimonio artistico mondiale, è quello di non aver dato, nemmeno nei licei classici, un minimo di cultura relativamente al “Restauro”. Cosicché, per la gente, giustamente “ignorante” in materia, è logico confondere il restauro di una statua o di un quadro, con il restauro di un monumento. Ma è facile capire che mentre una statua, un quadro, nascono, vivono ed invecchiano sempre con lo stesso aspetto, un edificio, un monumento, una città, nasce, vive, si trasforma nel tempo. Ed a volte le integrazioni sono vere e proprie opere d’arte, e lo stesso monumento, che piace tanto, è arrivato a noi in una forma ben diversa da come era nato. Come è successo per il Ponte Fabio Massimo a Faicchio che nel corso dei secoli è parzialmente crollato ed è stato ricostruito più volte, conservando però sempre alcune parti originarie, quali le basi in muratura poligonale e l’imposta degli archi in mattoni. Quindi: una cosa è restaurare un quadro, una cosa ben diversa è restaurare un monumento.

Foto da You Tube all'inaugurazione del "nuovo" ponte

 

 

Ma cosa è un monumento? La parola “monumento” deriva da “monito”, “avvertimento” ed è quindi, in parole povere, una testimonianza del nostro passato, di ciò che siamo stati capaci di fare. Il monumento è quindi un documento scritto continuamente da una collettività che lo riconosce come tale. L’evoluzione che caratterizza la sua vita avviene sia metaforicamente, nelle menti e negli occhi di chi osserva, sia fisicamente, soprattutto quando il monumento è un oggetto architettonico che deve adeguarsi ad esigenze anche funzionali in continua metamorfosi. La conservazione di un monumento è quindi un atto “dinamico” attraverso il quale si identificano le “conoscenze” di una collettività per consentirne un continuo sviluppo. E non esiste un “monumento” superiore ad un altro. In quanto “testimonianza”, ogni monumento è degno di essere conservato e tramandato ai posteri come, purtroppo, non è avvenuto per l’unico spigolo delle mura di Cerreto Vecchia “misteriosamente” caduto durante i lavori finanziati proprio per valorizzare la zona. E la scelta non fu sicuramente un atto politico! Anche il Centro Storico, nella sua interezza, è un monumento, e, in quanto tale, degno di essere salvaguardato (ahi,ahi…) per diventare la base di ogni progresso futuro della civiltà urbana.

 

 

Ma tutto questo è stato vero solo a partire dalla Rivoluzione Francese, l’insieme di eventi e di cambiamenti intercorsi tra il 1789 e il 1799 che segnò il limite tra l'età moderna e l'età contemporanea nella storiografia francese e mondiale.

foto di Sasà Sagnella

           

 

Fino a tale evento, infatti, si pensava che ogni manifestazione artistica contemporanea fosse superiore alla precedente, e grazie a tale concetto si è assistito alle progressive distruzioni e/o trasformazioni dei monumenti. Pochi furono i grandi che si opposero alla distruzione sistematica del passato. Ricordo solo ciò che scrisse  Francesco Petrarca a Cola di Rienzo( XIV Sec.) Così a poco a poco non solo i monumenti ma le stesse rovine se ne vanno. Così si perdono testimonianze ingenti della grandezza dei padri e voi, tanta migliaia di forti, voi taceste (...) non dico come servi ma come pecore, e lasciaste che si facesse strazio delle membra della Madre comune”.  Il popolo romano, invece, sfogava il proprio disappunto avverso la distruzione dei monumenti, tramite Pasquino, la più famosa statua “parlante” di Roma: Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”, ”quello che non hanno fatto i barbari, lo hanno fatto i Barberini”. Questa frase satirica era indirizzata a papa Urbano VIII Barberini e ai membri della sua famiglia per gli scempi edilizi di cui si resero responsabili. In uno degli episodi più tristemente famosi, il papa fece fondere il bronzo sottratto al Pantheon per costruire il baldacchino di San Pietro e i cannoni per Castel Sant’Angelo.  Ancora oggi, purtroppo, tanti amministratori hanno, come secondo cognome, Barberini!

 “Voi non siete che i depositari di un bene di cui la grande famiglia ha il diritto di chiedervi conto. I barbari e gli schiavi detestarono le scienze e distrussero i monumenti, gli uomini liberi li amano e li conservano”. Fu questo l’editto rivoluzionario che segnò la svolta epocale in quanto invitava al rispetto per i monumenti del passato, rispetto che si tradusse in un interesse nuovo per le opere d’arte dell’antichità classica, grazie anche agli scavi di Pompei (1748) ed Ercolano (1762). Iniziarono così i primi restauri, anche se con una filosofia completamente diversa da quella di oggi.

foto di Sasà Sagnella

 

 

In Francia furoreggiò Viollet-Le Duc (1814-1879), il ricostruttore di Carcassonne, che, anche se oggi è facilmente criticabile per alcune idee…restaurare un edificio è riportarlo ad uno stato completo, che potrebbe anche non essere mai esistito…eliminandone tutte le superfetazioni…, dimostra di essere modernissimo in altri concetti:..il passato è passato, ma bisogna studiarlo con cura e cercare non di farlo rivivere, ma di conoscerlo per servircene.

Una posizione assai diversa, romantica, fu invece quella tenuta in Inghilterra da John Ruskin (1819-1900), che teorizzava la conservazione del monumento quale documento storico, con esclusione di qualsiasi manomissione. Tali principi portarono in Italia, per esempio, alla conservazione di S. Galgano (G. Chierici-1923), allo stato di possente e suggestivo rudere.

Per il divenire del concetto di restauro rivestono importanza fondamentale i principi affermati dalla Conferenza di Atene nel 1931. Fu questa un vero e proprio congresso di specialisti e cultori del restauro, durante il quale per la prima volta si formularono norme generali che ogni nazione civile avrebbe dovuto far se­guire nella conduzione dei propri restauri, in adesione ad un unico metodo generale.

foto di Sasà Sagnella

Essa essenzialmente si pronunciò contro i rifacimenti, riconobbe allo stato il diritto di intervenire per la conservazione dei mo­numenti anche se di proprietà privata, diede istruzioni generali circa la pratica esecuzione dei restauri, raccomandando il rispetto dell’ impronta di ogni epoca, la facile riconoscibilità degli eventuali pezzi di integrazione necessari e la diffu­sione di ogni dato riguardante i restauri eseguiti.

Anche se non furono raggiunti sempre ed ovunque tutti gli intenti che i voti della Conferenza d'Atene aveva formulato, la sua importanza fu notevolissima.

 

Ma vediamo cosa è successo in Italia, almeno a partire dagli anni Settanta. Qui sono emer­se e si sono consolidate due posizioni antitetiche ed estreme: si tratta delle linee applicative e di ricerca dette della "pura conservazione" o "conservazione integrale" e della "manutenzione-ripristino".

Secondo i fautori della pura conservazione, la superficie dell'edificio ne registra i mutamenti, le trasformazioni, la storia e, pertanto, considerato il suo valore di documento irripetibile, merita d'essere tutelata integralmente (intonachi, stucchi, finiture e strati pittorici, indagabili come una sorta di stratigrafia cromatica, espressiva della storia del gusto o anche semplicemente delle tecniche esecutive antiche ecc.). Non è lecita, dunque, alcuna operazione selettiva, nessuna rimozione: il documento materiale, inteso come fonte autentica e inesauribile di conoscenze, va conservato nello stato in cui è giunto fino a noi. Secondo i fautori della manutenzione-ripristino, invece, la superficie esterna d'un edificio si può assimilare all'epidermide degli organismi viventi, soggetta a una costante consunzione, rappresentando essa una "superficie di sacrificio" destinata a proteggere i tessuti sottostanti e a rinnovarsi periodicamente, come rinnovate ciclicamente erano le finiture esterne degli antichi edifici.

foto di Sasà Sagnella

Per superare due posizioni così radicalmente contrapposte l'atteggiamento auspicabile è, secondo me, quello improntato a un sano equilibrio "critico", che sappia giudicare e trovare la soluzione appropriata volta per volta in base ai valori (d'immagine, di memoria, storico-documentari, tecnici ecc.) in gioco.

Comunque, trattandosi di superfici architettoniche, pur vec­chie e alterate, la conservazione sarà preferibile anche in virtù del valore delle "patine", che, a mio parere, costituiscono il “valore aggiunto” dell’età. Un po’ come i capelli bianchi per l’uomo maturo.

Questi rimangono in sintesi alcuni capisaldi teorici del presente dibattito sulla centralità del restauro, un campo minato, come si vede, ed al quale è giusto dare un po’ di chiarezza con il contributo di tutti, anche dei semplici cittadini, i quali però devono essere forniti di un minimo di strumenti idonei per giudicare. Non si può parlare di calcio se non se ne conoscono le regole. Ma una volta conosciute, si può discutere anche per cambiarle.

Io posso, piccolo vaso di coccio tra i mostri sacri del dibattito culturale, solo  con certezza affermare cosa NON è il restauro: “il restauro non è il semplice ripristino, il risarcimento di una struttura, la riparazione funzionale, ... o il rifacimento più o meno integrale di un manufatto, ... non è neanche il cosiddetto riuso, con i suoi derivati e analoghi quali la rivitalizzazione, e la rivalutazione, la rianimazione, il recycling, il recupero, la rigenerazione, la conversione e l'innovazione o l’ammodernamento. Il restauro non è neanche la salvaguardia, la manutenzione, la prevenzione, ... tutti interventi importanti ma ricadenti ancora nel campo della conservazione“.

 

 

Posso invece con certezza affermare che due sono i concetti fondamentali dai quali si dovrebbe partire prima di una qualsiasi opera di restauro:"…nei ripristini si dovrebbe avere imparato a riconoscere una delle più radicate e dannose eresie dell'ottocento... Tale è infatti il ripristino, ... che pretende di far fare un voltafaccia al tempo e cancellare ... la storia di un monumento.” Cesare Brandi, ” lo stato originario è un mito, un'idea astorica, atta a sacrificare l'opera d'arte ad un concetto astratto e a rappresentarla in uno stato che non è mai esistito” Paul Philippot

In parole semplici, una volta venuto meno il concetto di pretesa superiorità dell’arte contemporanea rispetto all’arte del passato, oggi si cerca di rendere leggibile tutta la loro storia, in una sorta di cartella clinica che racconta  la vita del monumento, in tutti i suoi aspetti Chiaramente sarà  il monumento, indagato storicamente e analizzato nella sua consistenza materiale, ad indicare le scelte più opportune e rispondenti alla sua realtà. Soprattutto, e questo è universalmente accettato dalla cultura da almeno un secolo, si eviteranno integrazioni o trasformazioni “in stile”, assurdi falsi d’epoca, e tutti gli interventi estranei al complesso denunceranno, senza ipocrisia, la loro contemporaneità, sia nelle opere murarie che, ovviamente, nell’arredo, a volte vero trionfo del Kitch in stile. Meglio un prodotto dei nostri bravi artigiani ceramisti, scalpellini, fabbri e falegnami che le “riproduzioni in serie” di opere d’arte di un tempo che fu.  L’importante è che la voce che emanano gli elementi di arredo non sia così forte da sovrapporsi a quella del monumento, dell’ambiente che si vuole valorizzare, come purtroppo spesso avviene, soprattutto per gli impianti di illuminazione.

Foto Mongillo

 Nessuno oggi si metterebbe a parlare con un linguaggio del passato, fosse pure quello usato dai più grandi poeti e/o letterati: sa già che sarebbe preso per matto! Ma, all’interno del discorso, fare una citazione “datata” è segno di cultura! Troppi, purtroppo, pensano ancora che un restauro ben fatto sia riportare l’edificio all’epoca della sua realizzazione, come se fosse stato “ibernato” per secoli. E fanno “cultura” che viene accettata e diffusa in quanto occupano un posto “socialmente”, ma solo “socialmente elevato. Se lo dice “lui”, è così….

Il monumento restaurato, invece, non sarà mai più il monumento originario (si pensi alle tante chiese romaniche e/o gotiche, una volta interamente affrescate, vedi S. Francesco in Assisi o il Duomo di Monreale, ed oggi interamente in pietra a faccia vista!), ma ne rispetterà in modo assoluto le caratteristiche scientificamente provate e documentate e ritornerà a nuova vita anche con integrazioni che parlino un linguaggio moderno. Personalmente non ho dubbi che, da questo punto di vista, il restauro del Ponte di Faicchio è stato ben fatto, potendosi leggere tutte le fasi della millenaria vita del manufatto, dalla base in muratura poligonale all’imposta degli archi in mattoni, opere sicuramente riconducibili alla struttura originaria. Naturalmente anche l’aspetto con il quale il Ponte è giunto a noi avrebbe potuto in parte essere conservato in quanto tale “foto” è entrata nella memoria collettiva e faceva parte, ormai, del monumento, pur non essendo parti originarie. Sugli inserimenti moderni, infine, per rendere “databili” gli interventi, ogni tecnico interviene secondo la propria sensibilità.

Questo è il mio pensiero. Ben vengano altri contributi che possano facilitare un dibattito che servirà a farci crescere culturalmente ed…economicamente, sulla scia di quanto é stato fatto, prima di noi, da Roma in su.

E pensare che da noi si discuteva di filosofia, matematica, arte, si assisteva agli spettacoli teatrali quando altrove si andava solo a caccia, e con il teschio in testa!              

 

 

Arch. Lorenzo Morone

 

 

 

     

 Valle Telesina


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