Credo siano molti come me che si sono
preoccupati dei problemi ambientali solo quando
abbiamo visto qualche tempo fa, la spazzatura
non rimossa dai cassonetti e come me credo, la
maggioranza non ha conoscenze tecniche
approfondite in merito.
Indipendentemente da classi sociali o cultura,
credo che quando si parla di rifiuti, in qualche
modo si prova una specie di vergogna. Mi
riferisco anche al ciclo naturale umano. Nella
fase del produrre cibo o mangiare, lo riteniamo
un evento positivo che ci porta una sorta di
gioia interiore e non solo per il suo aspetto
nutritivo. Se mangiamo da soli sembra
addirittura triste, se invece consumiamo cibo in
compagnia, l’evento si carica nella sua
emotività. Se procacciare o produrre del cibo è
qualcosa di assolutamente naturale, non vedo
perché non debba esserlo la fase di smaltire gli
scarti.
Immaginate se qualcuno
provi gioia a condividere le proprie fasi di
evacuazione con altre persone!
Se pensiamo a come
sono fatte le nostre case, non è difficile avere
conferma di quanto ho esposto: la cucina o il
tinello è sempre un luogo che ci fa piacere
mostrare e condividere con altri. Di contro il
bagno, per quanto si tenda ad abbellirlo, ci
piace mostrane l’igienicità, la funzionalità ma
nessuno si sognerebbe di usarlo con un’ospite.
La solitudine minimizza quel senso di vergogna
che abbiamo dei nostri , maleodoranti ma
comunque naturali scarti.
Non credo che la nostra
postura mentale si diversifichi se parliamo di
smaltire il sacchetto della spazzatura.
In sintesi voglio
dire che ognuno di noi ha un’atavica propensione
ad evitare, se possibile, l’argomento rifiuti.
E’ questa secondo me, una ragione alla base dei
problemi legati alla sua gestione. Poiché è
innaturale evitarlo, non possiamo fare a meno di
occuparcene. Ma come?
Mi piacerebbe fare un’altra
premessa partendo da un altro spunto.
Su Vivitelese ma
anche in altri siti locali, si toccano spesso
argomenti legati ad un’agricoltura
ecocompatibile come qualcosa che valorizza il
nostro territorio. Anche nei tanti interventi
inerenti la questione inceneritore di San
Salvatore, in molti hanno parlato delle colture
tipiche della nostra zona, come viti, olivi ed
altro come un sistema da difendere in ragione di
una compatibilità uomo-ambiente.
Credo di non sbagliare se l’enfasi con cui si
parla di questo tipo di agricoltura, sia di
essere persuasi del fatto che produrre della
falanghina doc sia qualcosa di più naturale ed
eco-compatibile che produrre microchip per
computer.
Per produrre una bottiglia di falanghina
beneventana (ma l’esempio è valido per tante
altre cose) si parte dallo stravolgere un
paesaggio che nella sua naturalità, era un tempo
invaso da olmi, cerri, querce e una varietà di
arbusti che sono oggi praticamente estinti,
perché ritenuti inutili ai nostri usi.
La
natura, quella vera, aveva messo a punto un
sistema di biodiversità e di equilibrio
idrogeologico che oggi è completamente stravolto
da una monocultura viticola ed olivicola e basta
vedere cosa succede alle nostre strade quando
cadono più di 10mm di pioggia.
Sarebbe come definirsi
un’amante del giardinaggio e piantare solo rose.
Ma non rose di campo, rose di laboratorio.
I ceppi delle nostre
colture viticole, sono oggi tutte prodotte in
laboratorio e clonate. I terreni vengono
livellati al fine di una migliore lavorazione
meccanica e qualsiasi fase prevede l’uso di
mezzi a petrolio. Per assicurarsi che queste
colture garantiscano un prodotto negli standard
di mercato, non può essere assecondato nessun
capriccio della natura. Si irrora con
anticrittogamici e qualsiasi fase della
produzione ha un intervento chimico, compresa la
stessa vinificazione che viene raffreddata,
analizzata, pastorizzata e corretta
all’occorrenza. Per la sua promozione e
distribuzione, si usa vetro non riciclato, si
fanno etichette raffinate, fiere, propagande
televisive, speculazioni commerciali e spesso si
ignora che è un prodotto alcolico e come tale
non fa proprio bene alla salute. Certo, un
bicchiere fa bene, ma anche una sigaretta al
giorno non uccide nessuno.
Per quanto personalmente io sia un’amante del
genere ed anche un modestissimo sommelier, il
vino (almeno quello di concezione moderna) non è
qualcosa che ha prodotto la natura ma un
complesso derivato che l’uomo elabora da altri
elementi (di cui la vitis vinifera ne è ormai un
lontano parente), usando tutte le sue conoscenze
di scienza e tecnologia, senza tanto rispetto
per l’ambiente e la sua biodiversità. Se
vogliamo, per come viene prodotto oggi, non è
nemmeno un integratore alimentare come lo era
invece per la tipologia produttiva dei nostri
nonni, che assumevano dal vino quei sali
minerali persi nel sudore dei campi. E’
semplicemente un prodotto derivante da un
processo in buona parte industriale, che
asseconda un’esigenza capricciosa e consumistica
tipica del mondo occidentale.
E’
molto diverso questo processo dal costruire
microchip per computer? Almeno i computer oltre
ad animare videogiochi e telefonini, sono
all’interno di apparecchiature che ci aiutano a
vivere, talvolta anche vitali. Anche un
microchip è in fondo del naturale silicio
elaborato.
Vorrei ora, con queste premesse, esprimere un
mio punto di vista sull’argomento tanto discusso
dello smaltimento dei rifiuti. Abbiamo davvero
vinto qualcosa evitando la costruzione di un
sistema di smaltimento rifiuti e probabilmente
(?) anche un piccolo ma significativo sistema di
produzione energetica alternativo al petrolio?
Non stiamo rischiando di entrare in quel
meccanismo mentale che ci fa sentire meglio solo
se evitiamo che ci sia? Ci preoccupiamo, ed è
giusto, se un impianto immette biossido di
carbonio nell’aria ma facciamo altrettanto se
brucia la Sardegna o il sud Africa? Per
l’ambiente la cosa non cambia di certo. Non sono
convinto che la qualità della vita nella nostra
valle, sia migliore se un inceneritore sia ad
Acerra e non a San Salvatore. Vediamo quando c’è
scirocco, che arriva la sabbia dal Sahara,
figuriamoci se non ci piovono addosso le polveri
di qualsiasi inceneritore al mondo. Cambia solo
che non è sotto i nostri occhi e, come la
psicologia del bagno, questo ci tranquillizza. E
siamo tranquilli anche se le colture che ci
circondano sono sistematicamente irrorate da
‘veleni’ che in qualche modo entrano a contatto
con l’aria e le falde acquifere e certamente
hanno un contributo pesante in tanti ecosistemi
viventi. Pensiamo anche al referendum che ci
evitò le centrali nucleari ma le abbiamo
comunque dietro l’angolo e paghiamo bollette
triplicate!
Anch’io, come tanti credo, nell’ammirare le
colline che circondano la Valle Telesina, trovo
gradevole il colpo d’occhio delle colture ma non
mi sento di dire che questo sia, nel suo
complesso, il miglior approccio dell’uomo con la
natura. Avete visto le cantine della nostra
zona? Capannoni orribili . Quelli si che
deturpano il paesaggio. In ogni caso, abbiamo
stravolto ogni naturale equilibrio a nostro
gusto (?) e che un oliveto ci piaccia più di un
querceto selvatico, è lo stesso meccanismo che
ci fa amare i gatti e non gli scarafaggi. Sono
due esseri viventi ed entrambi fanno parte della
straordinaria biodiversità del mondo animale e
se volgiamo dirla tutta, lo scarafaggio è un
organismo vivente, straordinariamente più
evoluto del gatto ma non ci fa le fusa e per
questo non ci sentiamo colpevoli se lo
schiacciamo.
Condivido pienamente l’operato dei comitati
civici che hanno evitato la costruzione dell’
inceneritore a San Salvatore, che sembra un vero
mostro a chiunque ma se a questo non segue una
coscienza civile e la fiducia in tecnici che ne
individuano un’alternativa, perche è chiaro che
non se ne può fare a meno, non mi sento tra
quelli che hanno vinto e non mi sento nemmeno
particolarmente alleggerito dal fatto che il
problema rimane praticamente irrisolto. C’è
qualcuno che potrebbe indicare un posto idoneo
senza creare dissensi in chi ci abita vicino? Mi
sento un vero perdente quando i miei rifiuti e
quelli di tutti gli abitanti della Valle
Telesina debbano essere ancora smaltiti in altri
siti lontani, ed ancora più perdente quando
parliamo di eco-compatibilità dimenticando che
nessun processo è privo di conseguenze per
l’ambiente ma almeno i nostri nonni, avevano la
saggezza di diversificare piantando pomodori,
fave, piselli, mais, grano e pur essendo privi
delle conoscenze scientifiche odierne, avevano
certamente una capacità di vivere in armonia con
l’ambiente che noi stiamo, forse, perdendo per
sempre.
Flaviano Di Santo
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