La
sua ultima partita l’ha giocata in un letto
d’ospedale ma stavolta il Giudice arbitro non
era lui. Nessuna riga a delimitare il campo,
nessun atleta da redarguire o richiamare al
rispetto delle regole; stavolta l’avversario non
lasciava scampo. Se n’è andato com’era nella sua
natura, discreto, senza far rumore. All’età di
settant’anni si è spento il Presidente, Luigi
Cannarsa, Gino per gli amici e per quanti hanno
avuto la fortuna di conoscerlo. Appresa la
notizia, ho avvertito un senso di vuoto, di
privazione. Privazione di ciò che ha
rappresentato portandosi con se una parte
importante dei miei ricordi di adolescente nei
quali ho avuto modo di crescere, di conoscere,
di imparare, il rispetto soprattutto. Grazie a
lui.
Un
maestro, insomma, di vita. Amava insegnare, si,
ma non le cose banali bensì valori ormai in via
d’estinzione:il rispetto per l’avversario, la
lealtà, il coraggio di gettare il cuore oltre
l’ostacolo anche quando l’impresa sembrava
impossibile. Amava insegnare a volersi bene, a
prendere atto dei propri limiti non come una
sconfitta ma come occasione di crescita
personale. Ci sarebbe stata sempre un’altra
occasione.
Un
uomo semplice, sincero ma fermo e determinato
nelle sue convinzioni, seppur mai sopra le
righe, capace di farti sentire importante, di
infonderti consapevolezza delle potenzialità ma
anche dei tuoi limiti, del tutto naturali. Con
tatto ma fermo nel sottolineare anche i tuoi
errori.
Allora non capivo ed ho realizzato solo con il
tempo che lo faceva per noi affinchè fossimo
uomini prima di tutto, capaci di assumerci le
nostre responsabilità ed il peso di una
sconfitta. Ci sarebbe servito, in futuro. Se
oggi Fernando (il figlio), io, Alfonso (Grillo),
Eduardo (Di Mezza), Lionello (Pascale), Nicola e
Fabio (Di Mezza), Nico (Franco), Enzo (D’Aronzo),
Marco (Di Mezza), Mimmo (il figlio del custode
Raffaele) e tanti altri siamo quello che siamo,
un po’ lo dobbiamo anche a quegli anni,
spensierati e leggeri ed alla sua guida di
pedagogo. Quante ramanzine, eh ragazzi, quando
non volevamo lasciare il campo presi dal sacro
fuoco o ci si ritrovava alle 13.00, ad agosto, a
sfidarci in interminabili partite sotto al
sole??Che folli che eravamo, non c’era verso e
lui sempre pronto a chiudere un occhio,
nonostante tutto….
Una vita vissuta intensamente tra passioni –
l’insegnamento e la politica intesa nella più
nobile delle accezioni – ed un grande amore:il
tennis per cui ha dato tanto. Da solo,senza
aiuti ma con la sola forza di un’idea frutto
della passione!!
In
un periodo in cui lo sport sembra ormai essere
più avvezzo a pericolose quanto esecrabili (e
senza ritegno) connivenze politiche che allo
sforzo agonistico, modus operandi che
assolutamente non gli si addiceva, egli
rappresenterà sempre un esempio di moralità, di
dedizione ad una causa senza se e senza ma che
tanto gli ha dato, nel bene e nel male.
Se
il tennis ancora sopravvive è solo grazie a lui,
la cui passione andava oltre ogni limite,gratis
et amore dei ma con la consapevolezza che il
cavallo di razza si vede alla distanza e se ce
l’hai lo devi valorizzare. Aveva già capito che
una vita senza passioni è scialba, inutile.
Dalla sua storia dovrebbero imparare tanti
altri, dirigenti e non.
La
morte ti prende alla sprovvista, ti spiazza. La
saliva è come colla, la bocca ti si impasta come
argilla ma il ricordo e la memoria prevalgono e,
paradossalmente, alleviano il dolore della
perdita in virtù di principi nei quali credi e
che ti sono stati trasmessi.
Ciao Presidente e, permettimi, una volta
tanto:stavolta ho ragione, Federer è il numero 1
così come McEnroe aveva quella fantasia e quella
classe superiori all’algido clone Borg.
Nuccio Franco
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