9 novembre 2009
Moriello: "Cosa vogliamo fare per Telese?"
Gianni Moriello

 

 

COSA VOGLIAMO FARE PER TELESE?

 

Il nostro paese è chiuso, pieno di alberi e montagne intorno” diceva, negli anni ’70, il grande scrittore Manos Chatzidakis a proposito della arretratezza culturale della Grecia.

 

Anche la nostra comunità è chiusa, come hanno dimostrato le ultime vicende telesine.

 

Nel senso che la stagnazione amministrativa, da circa 25 anni, anche se con alti e bassi, ha prodotto di fatto autovalori e comportamenti endemici che si sono manifestati in modo ricorrente e persistente, specialmente negativi, in un contesto culturale, sociale ed economico ben definito.

 

Il mio ragionamento specializza il contesto culturale perché è da qui che bisogna partire, per trovare il bandolo di questa apparentemente intricata matassa.

 

Telese è un paese giovane, nato nel 1934, non dimentichiamolo.

Gli scritti di Riccardi e Di Mezza ricordano le lotte accanite di inizio secolo, con Solopaca, per la separazione comunitaria di Telese. Famiglie storiche come Franco, Cusani, Macolino, Zotti, Forgione, Moriello, Fasano, Di Santo, Casbarra, Foschini, Canelli, Orfitelli, Limata, D’Onofrio, Ferrigni e Vallone, solo per citare le più importanti,  ed in particolare Amilcare Di Mezza, si batterono per dare dignità a Telese contro la tirannia degli amministratori di Solopaca che volevano relegarla a mera frazione, senza curare le strade, le fognature e la fornitura di acqua.

 

Questo racconta Di Mezza, nel 1957, riferendosi al periodo 1912-1935.

Viviamo oggi una situazione del tutto analoga a quella di tanti anni fa, nel senso che la stagnazione amministrativa di questi ultimi decenni ha bloccato la comunità proprio su questa assenza di servizi. Certo, la comunità si è sviluppata molto, siamo ormai 7000 residenti e circa 2000 fluttuanti, ma le infrastrutture dei servizi sono al collasso, risalgono a 30 anni fa e quelle nuove realizzate sono completamente inadeguate, mal progettate, peggio eseguite.

 

Ed ora capiamo il perché. Io, come tanti, tra l’altro, appartengo ad una famiglia storica che si è battuta per la indipendenza e per la emancipazione di questa comunità.

 

Si potrà subito obiettare, che non esistono solo le famiglie storiche, la maggioranza è formata da immigrati  di ogni dove. La differenza, sommessamente riferisco, sta nel fatto che il “nuovo” di questi ultimi 25 anni, ha creato solo valori interni a gruppi chiusi culturalmente, in modo artato, furbo e convincente (il danaro come droga!!), senza una idea comune dello stare insieme e senza innovare e migliorare la qualità della vita comunitaria, pur essendo la nostra cittadina, di imparagonabile tranquillità sociale rispetto ad altre realtà ben più complesse della Campania.

 

Mio nonno e, soprattutto, mio padre, mi hanno insegnato che la indipendenza, anche quella economica, costa molta fatica. Non è dei luoghi del vizio e dell’immagine, delle auto o delle mode e deve servire a costituire una identità comune.

 

La comunità è tale se coltiva e fa crescere un processo identitario vero, a partire dal lavoro fino allo stare insieme con trasparenza e lealtà, pur se in presenza di gruppi eterogenei.

 

La vera indipendenza abita nelle persone che faticano, sudano, che lavorano dignitosamente, che hanno obiettivi progressivi, senza mai calpestare diritti degli altri, spazi degli altri, le autonomie altrui.

 

Ma si sa, la dipendenza economica genera aberrazioni d’ogni genere.

Vi è stato, quindi, un lungo momento di assenza culturale-generazionale, specie negli ultimi 20 anni che ha impedito la crescita di nuovi soggetti, di momenti critici positivi, anche di luoghi di aggregazione e discussione che non siano i soliti club di calcio o tennis, capaci di penetrare e permeare nell’agire sociale di questa comunità, di analizzarla in modo critico e positivo e di dare, infine, una spinta ai processi genuini e trasparenti della collettività.

Colpevolmente ci si è fidati degli altri, chi in quanto nuovo abitante e poco conoscitore della comunità, chi invece, abitante storico genuflesso alla marginalità del lavoro (chissà quanto indispensabile!) o forse per sola convenienza economica.

 

Questo era il nuovo della politica, costoro erano i Krishna della nuova Era?!

Vivere ai margini, lungo linee e luoghi di prossimità di fosse ecologiche, in assenza di infrastrutture funzionanti, spesso si è preda ed incarnazione di mondi surreali, indefiniti ed indefinibili, che si manifestano ad un certo punto della vita o di una mezza vita – almeno quella vissuta fino ad ora, il cui bagaglio (archivio) nozionistico rischia di essere limitativo, limitante, ricorsivo, in altre parole noioso.

 

Ovviamente la critica non può e non deve essere unidirezionale, perché Le Opposizioni in questi anni, salvo la parentesi del 1995, a mio avviso, non sono state nelle condizioni di elaborare un modello sociale e politico-amministrativo alternativo a quello imperante.

 

E qui, mi si consenta, la critica, allo stato dell’arte, deve essere profonda, fredda e tagliente per chi vuole fare politica attiva sul territorio.

Non si può interpretare il tempo attuale solo con le sperimentazioni del passato: ci deve essere una qualche innovazione che formi una nuova coscienza ed esperienza del primitivo, dell’essere grezzo ed involuto che si è stati fino al momento della consapevolezza.

 

Tralascio, per quieto vivere, la enunciazione dei pericoli cui andava incontro la nostra comunità che alcune persone, insieme a me, hanno evidenziato negli anni ’90. Profeti a costo zero.  Sarebbe una ennesima sconfitta riuscire in un cambiamento amministrativo e politico solo sulla base di un procedimento penale di chi oggi ha vinto le elezioni. Non sarebbe onesto e nemmeno redditizio, i cittadini non capirebbero, punirebbero certamente un simile comportamento.

 

Ovviamente ciò è rivolto a tutti quelli che hanno professato nuovi scenari, nuovi orizzonti e nuove primavere, me compreso.

 

La nuova proposta deve, invece, essere condivisa, patrimonio di tutti.

Il ragionamento che propongo nasce, appunto, in un momento difficile della vita politica italiana, caratterizzata da una crisi profonda dei partiti senza precedenti, ma anche sull’onda di una insopprimibile domanda di cambiamento e di rinnovamento, tesa a dare al nostro comune una guida democratica, attenta , pluralista, sensibile alle novità e alle esigenze del presente.

Il punto di vista deve, e dovrà sempre essere, quello del cittadino. Le proposte devono scaturire dalle esigenze reali, dalla nuova ma vera difficoltà del vivere in un piccolo paese.

 

La capacità di autogoverno delle comunità locali è messa oggi a dura prova di fronte a problemi inediti, che richiedono profonde innovazioni nelle politiche, negli strumenti di intervento e nello stesso modo di essere dei pubblici poteri, nel rapporto fra loro e la società.

 

Vi è, nel nostro comune, un’ampia platea di soggetti sociali e politici, espressione di diverse culture, laiche, ambientaliste, cattoliche, platea che deve contribuire alla formazione di un nuovo ragionamento, con nuove competenze e nuove figure, da impegnare per il Governo comunale.

Un manifesto aperto, dunque, proiettato in avanti, che vede protagonisti tanti giovani e tante energie che vogliono porsi al servizio della Comunità.

Bisogna parlare ai soggetti più deboli, più esposti; ritornare, anzitutto, al concetto ed alla pratica della solidarietà come un valore, un costume di tutti nell’agire della vita quotidiana, dal quale i giovani attingano insegnamenti.

Solidarietà verso ogni forma di marginalità che esige impegno per la realizzazione di strutture per i giovani capaci di esprimere al meglio creatività progettuali, aspirazioni e ..... sogni.

 

Essere attenti al progresso culturale e produttivo di Telese Terme, poter dotare, pur nelle ristrettezze economiche, tutti i cittadini di servizi sociali e spazi culturali, che accrescano la possibilità di relazioni umane, di formazione e affermazione dei valori e delle idealità che rendono la vita degna di essere vissuta.

 

Progresso, perché vi è la necessità di puntare sulla vera vivibilità del territorio, di una sfida ambientale fatta di prevenzione e di trasformazione profonda dei modelli di sviluppo.

 

Penso sia questo, per iniziare, quello di cui Telese ha bisogno, di una nuova discussione e socializzazione, di avere fiducia dei nuovi segnali e nelle tematiche che ne conseguono.

 

Il mio partito, il PD, deve fare questo, spendersi per un nuovo immaginario.

Basta con le analisi e le critiche urlate e ululate, questa comunità ha bisogno di ri-crescere in modo nuovo e con i fatti, serve gente che vuole faticare veramente per gli altri.

 

I nostri comportamenti saranno fondamentali.

 

G. Moriello

 

 

 

     

 Valle Telesina


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