COSA VOGLIAMO
FARE PER TELESE?
“Il
nostro paese è chiuso, pieno di alberi e
montagne intorno”
diceva, negli anni ’70, il grande scrittore
Manos
Chatzidakis a
proposito della arretratezza culturale della
Grecia.
Anche la nostra
comunità è chiusa, come hanno dimostrato le
ultime vicende telesine.
Nel senso
che la stagnazione amministrativa, da circa 25
anni, anche se con alti e bassi, ha prodotto di
fatto autovalori e comportamenti endemici che si
sono manifestati in modo ricorrente e persistente,
specialmente
negativi, in
un contesto culturale,
sociale ed economico ben definito.
Il mio
ragionamento specializza il contesto culturale
perché è da qui che bisogna partire, per trovare
il bandolo di questa apparentemente intricata
matassa.
Telese è un paese
giovane, nato nel 1934, non dimentichiamolo.
Gli scritti di
Riccardi e Di Mezza ricordano le lotte accanite
di inizio secolo, con Solopaca, per la
separazione comunitaria di Telese. Famiglie
storiche come Franco, Cusani, Macolino, Zotti,
Forgione, Moriello, Fasano, Di Santo, Casbarra,
Foschini, Canelli, Orfitelli, Limata, D’Onofrio,
Ferrigni e Vallone, solo per citare le più
importanti, ed in particolare Amilcare Di
Mezza, si batterono per dare dignità a Telese
contro la tirannia degli amministratori di
Solopaca che volevano relegarla a mera frazione,
senza curare le strade, le fognature e la
fornitura di acqua.
Questo racconta
Di Mezza, nel 1957, riferendosi al periodo
1912-1935.
Viviamo oggi una
situazione del tutto analoga a quella di tanti
anni fa, nel senso che la stagnazione
amministrativa di questi ultimi decenni ha
bloccato la comunità proprio su questa assenza
di servizi. Certo, la comunità si è sviluppata
molto, siamo ormai 7000 residenti e circa 2000
fluttuanti, ma le infrastrutture dei servizi
sono al collasso, risalgono a 30 anni fa e
quelle nuove realizzate sono completamente
inadeguate, mal progettate, peggio eseguite.
Ed ora capiamo il
perché. Io, come tanti, tra l’altro, appartengo
ad una famiglia storica che si è battuta per la
indipendenza e per la emancipazione di questa
comunità.
Si potrà subito
obiettare, che non esistono solo le famiglie
storiche, la maggioranza è formata da immigrati
di ogni dove. La differenza, sommessamente
riferisco, sta nel fatto che il “nuovo”
di questi ultimi 25 anni, ha creato solo valori
interni a gruppi chiusi culturalmente, in modo
artato, furbo e convincente (il danaro come
droga!!), senza una idea comune dello stare
insieme e senza innovare e migliorare la qualità
della vita comunitaria, pur essendo la nostra
cittadina, di imparagonabile tranquillità
sociale rispetto ad altre realtà ben più
complesse della Campania.
Mio nonno e,
soprattutto, mio padre, mi hanno insegnato che
la indipendenza, anche quella economica, costa
molta fatica. Non è dei luoghi del vizio e
dell’immagine, delle auto o delle mode e deve
servire a costituire una identità comune.
La comunità è
tale se coltiva e fa crescere un processo
identitario vero, a partire dal lavoro fino allo
stare insieme con trasparenza e lealtà, pur se
in presenza di gruppi eterogenei.
La vera
indipendenza abita nelle persone che faticano,
sudano, che lavorano dignitosamente, che hanno
obiettivi progressivi, senza mai calpestare
diritti degli altri, spazi degli altri, le
autonomie altrui.
Ma si sa, la
dipendenza economica genera aberrazioni d’ogni
genere.
Vi è stato,
quindi, un lungo momento di assenza
culturale-generazionale, specie negli ultimi 20
anni che ha impedito la crescita di nuovi
soggetti, di momenti critici positivi, anche di
luoghi di aggregazione e discussione che non
siano i soliti club di calcio o tennis, capaci
di penetrare e permeare nell’agire sociale di
questa comunità, di analizzarla in modo critico
e positivo e di dare, infine, una spinta ai
processi genuini e trasparenti della
collettività.
Colpevolmente ci
si è fidati degli altri, chi in quanto nuovo
abitante e poco conoscitore della comunità, chi
invece, abitante storico genuflesso alla
marginalità del lavoro (chissà quanto
indispensabile!) o forse per sola convenienza
economica.
Questo era
il nuovo della politica, costoro erano i
Krishna della
nuova Era?!
Vivere ai
margini, lungo linee e luoghi di prossimità di
fosse ecologiche, in assenza di infrastrutture
funzionanti, spesso si è preda ed incarnazione
di mondi surreali, indefiniti ed indefinibili,
che si manifestano ad un certo punto della vita
o di una mezza vita – almeno quella vissuta fino
ad ora, il cui bagaglio (archivio) nozionistico
rischia di essere limitativo, limitante,
ricorsivo, in altre parole noioso.
Ovviamente la
critica non può e non deve essere
unidirezionale, perché Le Opposizioni in questi
anni, salvo la parentesi del 1995, a mio avviso,
non sono state nelle condizioni di elaborare un
modello sociale e politico-amministrativo
alternativo a quello imperante.
E qui, mi si
consenta, la critica, allo stato dell’arte, deve
essere profonda, fredda e tagliente per chi
vuole fare politica attiva sul territorio.
Non si può
interpretare il tempo attuale solo con le
sperimentazioni del passato: ci deve essere una
qualche innovazione che formi una nuova
coscienza ed esperienza del primitivo,
dell’essere grezzo ed involuto che si è stati
fino al momento della consapevolezza.
Tralascio, per
quieto vivere, la enunciazione dei pericoli cui
andava incontro la nostra comunità che alcune
persone, insieme a me, hanno evidenziato negli
anni ’90. Profeti a costo zero. Sarebbe una
ennesima sconfitta riuscire in un cambiamento
amministrativo e politico solo sulla base di un
procedimento penale di chi oggi ha vinto le
elezioni. Non sarebbe onesto e nemmeno
redditizio, i cittadini non capirebbero,
punirebbero certamente un simile comportamento.
Ovviamente ciò è
rivolto a tutti quelli che hanno professato
nuovi scenari, nuovi orizzonti e nuove
primavere, me compreso.
La nuova proposta
deve, invece, essere condivisa, patrimonio di
tutti.
Il ragionamento
che propongo nasce, appunto, in un momento
difficile della vita politica italiana,
caratterizzata da una crisi profonda dei partiti
senza precedenti, ma anche sull’onda di una
insopprimibile domanda di cambiamento e di
rinnovamento, tesa a dare al nostro comune una
guida democratica, attenta , pluralista,
sensibile alle novità e alle esigenze del
presente.
Il punto di vista
deve, e dovrà sempre essere, quello del
cittadino. Le proposte devono scaturire dalle
esigenze reali, dalla nuova ma vera difficoltà
del vivere in un piccolo paese.
La capacità di
autogoverno delle comunità locali è messa oggi a
dura prova di fronte a problemi inediti, che
richiedono profonde innovazioni nelle politiche,
negli strumenti di intervento e nello stesso
modo di essere dei pubblici poteri, nel rapporto
fra loro e la società.
Vi è, nel nostro
comune, un’ampia platea di soggetti sociali e
politici, espressione di diverse culture,
laiche, ambientaliste, cattoliche, platea che
deve contribuire alla formazione di un nuovo
ragionamento, con nuove competenze e nuove
figure, da impegnare per il Governo comunale.
Un manifesto
aperto, dunque, proiettato in avanti, che vede
protagonisti tanti giovani e tante energie che
vogliono porsi al servizio della Comunità.
Bisogna parlare
ai soggetti più deboli, più esposti; ritornare,
anzitutto, al concetto ed alla pratica della
solidarietà come un valore, un costume di tutti
nell’agire della vita quotidiana, dal quale i
giovani attingano insegnamenti.
Solidarietà verso
ogni forma di marginalità che esige impegno per
la realizzazione di strutture per i giovani
capaci di esprimere al meglio creatività
progettuali, aspirazioni e ..... sogni.
Essere attenti al
progresso culturale e produttivo di Telese
Terme, poter dotare, pur nelle ristrettezze
economiche, tutti i cittadini di servizi sociali
e spazi culturali, che accrescano la possibilità
di relazioni umane, di formazione e affermazione
dei valori e delle idealità che rendono la vita
degna di essere vissuta.
Progresso, perché
vi è la necessità di puntare sulla vera
vivibilità del territorio, di una sfida
ambientale fatta di prevenzione e di
trasformazione profonda dei modelli di sviluppo.
Penso sia questo,
per iniziare, quello di cui Telese ha bisogno,
di una nuova discussione e socializzazione, di
avere fiducia dei nuovi segnali e nelle
tematiche che ne conseguono.
Il mio partito,
il PD, deve fare questo, spendersi per un nuovo
immaginario.
Basta con le
analisi e le critiche urlate e ululate, questa
comunità ha bisogno di ri-crescere in modo nuovo
e con i fatti, serve gente che vuole faticare
veramente per gli altri.
I nostri
comportamenti saranno fondamentali.
G. Moriello
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