Capite questo, voi che dimenticate - 15-10-03 - Angelica Calò Livne

 

 

Capite questo, voi che dimenticate
 
di Angelica Calò Livne 

 

  Quando ho chiesto a mio figlio dove avrebbe voluto trascorrere una vacanza prima del suo arruolamento nell'esercito, mi ha risposto in Italia, sulle Dolomiti. Ho provato un senso profondo di soddisfazione. Sono nata a Roma, ho lasciato la mia casa a 20 anni per venire a vivere in Israele, in un kibbutz. Tornare in Italia con i miei figli per loro scelta è un ritorno alle radici, a un'infanzia luminosa di affetti, di arte, di amore profondo per gli altri, per sapori, profumi, colori.


  Sono cresciuta studiando la Torà, la Bibbia, allieva dei più grandi Rabbini e militando in un Movimento giovanile i cui valori erano ispirati alle leggi scoutistiche e alle idee socialiste di uguaglianza, tolleranza, partecipazione e pace. Sono cresciuta a ritmo di danze israeliane e note di musica classica. Sono cresciuta cantando Bob Dylan, Neil Young, leggendo Neruda, Marcuse, i Salmi e il Cantico dei Cantici. Sono cresciuta con l'ombra muta di un Olocausto impossibile da raccontare in una famiglia dove non c'è stato mai bisogno di qualcosa in più. Una fusione perfetta che mi ha reso madre e moglie di una famiglia dove tutto è valore.

 

Ed ora il bel sogno lentamente s'incrina, è un processo lento ma devastante, sento vacillare certe verità e sento lo scricchiolio come di un vetro che si infrange e lentamente sale e attanaglia tutto. Improvvisamente mi rendo conto che come appartenente al popolo ebraico e ancor più a quello israeliano sono coinvolta in una subdolissima caccia alle streghe.

 

Come si può spiegare la tempesta di pensieri infausti che inondano il cervello quando si sente che c'è stato un altro attentato e si pensa che il proprio figlio potrebbe essere proprio lì? Chi può descrivere la nausea profonda che si prova mentre aiuti tuo figlio a vestirsi prima di andare all'asilo mentre ti infuocano la mente i pensieri più nefasti? Chi può raccontare tutto ciò che desidereresti per tuo figlio al posto di quei tre, quattro anni di esercito nel quale darà tutto se stesso per difendere e sottolineo difendere e non attaccare, conquistare, annettere, invadere? Difendere questa Terra dove siamo costretti a vivere sul chi va là 24 ore su 24. Senza tregua, senza sosta.

 

Io che non so odiare, ho sentito la rabbia più profonda in questi giorni trascorsi nel luogo amato in cui sono nata e cresciuta: ho assistito a trasmissioni televisive che mi hanno dato il brivido della propaganda nazista e antisemita: subdole, cariche di inesattezze, manipolazioni e menzogne atte a delineare professionalmente un'immagine mirata e deformata di Israele. Articoli nei giornali che demonizzavano il Governo, l'esercito, il Popolo israeliano. Come se Israele fosse il terrorista, il sovversivo, l'eversivo. Come se questa guerra sfibrante l'avesse scelta Israele...


  Una signora mi ha detto «beh voi ormai siete abituati… è una realtà!» Perché ci si abitua ad andare al mercato e tornare senza una gamba, senza un occhio, a non tornare per niente? Eppure è possibile, lo so che è possibile istaurare una Pace qui. Oggi, nel villaggio arabo dove insegno, ho guardato negli occhi profondi di quei ragazzi e ho sentito che è possibile. Mentre parlavamo di Dedalo, Icaro, del Minotauro e di Sisifo e riuscivamo a spiegarci metà arabo e metà ebraico sentivo che i valori erano universali. Ma chi sono questi esseri che seminano la morte? Che intontiscono ragazzini di 16, 17 18 anni convincendoli a suicidarsi uccidendo altri? Che riescono a far marcire uomini donne e bambini per anni in campi profughi dove si respira solo dolore, rabbia e sudiciume?

 

No!!! Non sono gli Israeliani, è una verità triste e deludente per tanti ma non sono gli Israeliani. Gli Israeliani sono profughi da duemila anni, da quando l'imperatore Tito li ha sparpagliati ai quattro venti. Da quando Isabella di Castiglia li ha scacciati senza pietà, da quando Gheddafi ha deciso di fare piazza pulita di ebrei... però mica sono stati lì buoni buoni nei loro campi profughi ad alimentare il fuoco dell'odio e del risentimento... Come mi ha detto un grande amico tripolino: «Ci siamo rimboccati le maniche ed eccoci qui». Hanno fatto gli straccivendoli, gli sfasciacarrozze, raccoglievano ciò che gli altri non volevano più e si sono rialzati... perché si dice «Aiutati che D-o ti aiuta!!!». Che c'è? Il nostro D-o aiuta chi è pieno di risorse, di buona volontà, di creatività e chi non si arrende alla disperazione, e il D-o degli altri preferisce morte, distruzione e martirio in suo nome?

 

Non sarebbe meglio rimboccarsi le maniche e riconoscere una volta per tutte anche le usanze, la cultura, la fatica e gli sforzi degli altri popoli? Cercare di vivere fianco a fianco rendendo senza fili solo l'immaginazione e la creatività? Come si fa a neutralizzare un odio atavico? Un odio che sta dentro, in fondo in fondo all'anima? Io so come amare, come insegnare l'amore, come cercare il particolare buono in ogni cosa, come convincere a perdonare... ma l'odio che c'è ora nell'aria del mondo non so proprio come affrontarlo... non so come convincere questa gente che distrugge a costruire, a creare, per sé e per i propri figli! Che devo fare? Che devo insegnare ai miei figli? Ai miei alunni?

 

Un giornalista de La Stampa ha detto che mai come ora Israele è stata in una posizione cosi debole... Un altro disinformato! Superficiale e disinformato! Mai come ora Israele è stata così forte, così straordinariamente, spiritualmente, moralmente, forte. Israele che cura i suoi feriti, seppellisce i suoi morti innocenti siede e canta con i suoi figli sotto le capanne che ricordano la sua conquistata libertà dopo la schiavitù in Egitto. Israele che digiuna, che augura, che aspetta la pioggia benedetta sui suoi campi seminati col sudore della fronte e con le più avanzate tecniche di ricerca, Israele dove Ebrei, Arabi, Drusi, Cerkessi possono essere chi sono. Israele che ora è la mia casa e dove tutti sono eroi. Perché eroe non è chi muore per qualcosa, eroe è chi vive, lotta, crea e ama. Nonostante tutto.