GIUSY MALGIERI.
Solopaca. Una lettera aperta al vescovo della diocesi di
Telese-Cerreto-Sant’Agata, monsignor Michele De Rosa, affinché siano
ripristinate tutte le funzioni religiose presso la Chiesa del SS. Corpo
di Cristo e soprattutto la celebrazione della messa domenicale delle 11.
L’hanno sottoscritta più di ottanta fedeli del rione Piazza nel
tentativo di un rapido quanto risolutivo intervento del presule. La
lettera prende il via dall’invito del parroco don Franco Pezone «a non
frammentare la celebrazione dei riti pasquali nell’annosa quanto
effimera, pretenziosa e strumentale divisione Capriglia e Procusi».
«La pratica del ”ricondurre ad unità” - scrivono i fedeli del rione
Piazza ove ha sede la Chiesa del SS. Corpo di Cristo, meglio conosciuta
come Chiesa Madre - è condivisibile solo se essa è accompagnata dal
rispetto delle ”identità” e dal riconoscimento di tutte le componenti la
comunità solopachese. Se è corretto riconoscere ”identità” a Capriglia
ed ai Procusi nei rispettivi luoghi di culto, perché si vuol negare
l’esistenza dei fedeli di ”Piazza” che pure sono numerosi e gelosi
custodi della loro chiesa, della propria storia, dell’orgoglio di essere
la prima collettività storica di questo paese? I fedeli della ”Piazza”
ci sono e si vedono offesi da decisioni non eque. Sono pronti a seguire
il Pastore purchè la via sia retta.
L’andare così delle cose da lungo tempo, ha portato al
risultato atteso (da taluni): l’abbandono della partecipazione dei
fedeli, specialmente degli anziani e dei bambini. I primi perché spesso
impossibilitati a spostarsi da un capo all’altro del paese, i secondi
perché privati del buon esempio. Si è al corrente dei travagli che la
diocesi corre. In particolare, della penuria di sacerdoti. Ma si è
parimenti consapevoli che la comunità cristiana di Solopaca, in anni
recenti, ha avuto l’onore di vedere consacrati al sacerdozio ben tre
suoi degni figli. In verità, non avere un ministro di Dio preposto alla
cura dei fedeli della chiesa del SS. Corpo di Cristo produce, nel
popolo, l’amaro sapore della punizione che già percorre il sentire
comune».