Droga ... che fare?  Una riflessione - 21-07-04 - Antonio Reodolfo Mongillo

 

 

 

DROGA…..CHE FARE

Una riflessione

 

Giugno puglianellese, afoso e umido ma tranquillo; la vita trascorre monotona e liscia in continua ripetizione degli atti della routine quotidiana, fatta di duro lavoro dei contadini dei campi, del bersi un boccale di birra fredda nei tanti bar del paese e del trascorrere le ore davanti alla “ terrasse” degli stessi a disquisire su tanti ed inutili argomenti, vuoi di carattere generale che di politica spicciola.

Antonio Reodolfo Mongillo

Parlare, parlare, blaterare per far passare quelle ore senza complicazioni, allontanandosi dai problemi quotidiani, o passare il tempo a farsi la partitina a carte. In questo giugno caloroso si consuma, però, una altra storia: ombre sottili e macilenti che vanno alla ricerca di luoghi scuri, di anfratti nascosti per consumare il proprio atto, per “stare bene”, assieme al gruppo di amici che produce la stessa esperienza, la stessa sensibilità, un gruppo di amici che si discosta dalla routine, vuole altro, vuole assaporare il nettare del rischio, vuole riempire il vuoto che ha saputo scientemente creare questa società di superuomini, di arrivisti, di presenzialisti.

In giugno, in quella notte afosa, vi è stato, però, anche un silenzio tombale; era successo qualcosa che andava ben lontano dalle abitudini e dal  ritmo normale del vivere puglianellese; in quella notte si era spezzato il filo del futuro: era arrivata la morte a strappare dalla terra un essere umano, un bel giovane, studioso, lavoratore, che, solo, lontano da tutti, in una stanza ombrata combatteva l’ultima battaglia della sua vita. Era andato via  lo sguardo profondo di un essere che capiva troppo. E là, attoniti, chi davanti la casa, chi vicino al genitore straziato dall’arcigna natura, chi attaccato al figlio, chi piangeva, ci si ponevano delle domande, Come…  Perché? Che notte da incubo!!!

Il giorno dopo i primi commenti. I benpensanti, i critici sempre pronti a scaricare le colpe su altri, a criticare la società, i genitori e bla…bla…bla…

 

Eppure gli antichi nostri padri della cultura con  la “c” maiuscola ci hanno insegnato a criticare prima noi stessi, a doverci proporre in prima persona, ad agire secondo valori sempiterni, ad essere solidali con gli altri, a vivere nel consorzio umano in completa osmosi, come in una orchestra ove tutti hanno un loro compito da svolgere bene e se qualche maestro stona, subito, il direttore d’orchestra, rassicurandolo, lo aiuta a capire l’errore, a ripetere il suono al fine di renderlo all’altezza dell’esecuzione musicale.

 

Oggi non vi è più il grande direttore d’orchestra, non vi sono più uomini che con il loro esempio, vengono presi come punti di riferimento ed allora in questo grosso affollamento umano, il sensibile, l’intelligente si ritrova solo a vivere la vita che, oggi, non è per niente semplice. Si ricorre al muretto, al gruppo esterno, a inviare messaggi ai dormienti, omertosi e indaffarati genitori, a non provare più piacere per niente e per nessuno, a drogare il proprio cervello.

 

Ed allora si ricorrono alle strisce di polvere bianca su uno specchio, ad un ago e ad un cucchiaio. Per molti malati tossicomani, la vista della droga, il rituale, gli oggetti associati producono senso di piacere. La vera euforia arriva con l’assunzione della droga: il calore,la lucidità, la visione, il sollievo, la sensazione di essere al centro dell’universo producono un mondo a parte che dura, però, solo poco tempo e in seguito, dose dopo dose, il cervello per essere in equilibrio ha bisogno sempre di una dose maggiore.

 

Senza di essa si entra nel lungo tunnel della depressione, dell’abulia, degli occhi sempre lucidi, della sudorazione copiosa e della paura, del buio della notte e della lunga e vorticosa corsa per andare a comprare la dose a Napoli o altrove. Si entra in crisi dolorosa, fisicamente parlando. Si ruba, si spaccia, si entra in un mondo di morte da cui è difficile uscirne, si entra in un inferno in cui vengono avviluppati tutti i familiari. Si arriva alla misantropia sociale. Nel momento dell’assuefazione, della cosiddetta addiction, il consumatore ha perso il controllo dell’uso della sostanza, il desiderio di assumerla è diventato ossessivo, e l’abitudine ha cominciato a compromettere salute, finanze e rapporti sociali. (1)

 

Perché il titolo, "Droga ... che fare?" Forse vi siete posti la domanda sul perché del titolo "Droga ... che fare?" Titolo scontato per molti versi, ma sempre attuale, considerato che il problema esiste, resiste e si amplia sempre di più negli anni a venire.

 

Chi scrive ha iniziato ad interessarsi del problema sin dal  lontano 1985 con una ricerca durata un anno, svolta sul campo, nella Valle Telesina: fu aiutato in quel tempo da  don Vittorio Balzarano. Allora, vi erano pochi casi sporadici, a Telese, a San Salvatore Telesino, a Faicchio; oggi, in tutta l'area presa in considerazione, ve ne saranno un centinaio e passa. Quindi, il fenomeno si è allargato a macchia d'olio.

 

Quali le cause? Potrebbero essere tante:

  • l'incomprensione dei nuovi bisogni dell'adolescenza,

  • la comunicazione impossibile tra la vecchia generazione e la nuova;

  • l'ormai raggiunta incapacità a capire la generazione di questi nostri figli che una relazione dell'Eurisko del 1996 definisce "Generazione degli abbastanza (2);

  • fretta di crescere;

  • nessun progetto per il futuro, anche perché non ci sono tante opportunità;

  • nessun ideale da realizzare;

  • esibizionismo;

  • solitudine (a volte, la famiglia si ritrova, a sera, stanca davanti alla televisione);

  • basso livello di autoconsiderazione;

  • sensibilità gracile, introversa, indolente, un'inerzia provocata da un'eccessiva esposizione agli influssi della televisione;

  • tanto tempo libero;

  • consumismo acritico reso possibile da una forte disponibilità economica che questi giovani neppure utilizzano, perché le cose sono a disposizione prima ancora di averle desiderate;

  • i giovani hanno, per la società, più valenza di mercato che identità, su di loro la generazione degli adulti fa affari, sfruttandoli in continuazione - vedasi l'industria della moda, dei cosmetici, dei viaggi, l'industria del divertimento, ...;

  • bombardamento pubblicitario;

  • scuola restia a vedere il profondo cambiamento che si verifica sotto gli occhi "appannati" dei docenti, non avvertendo la mancata corrispondenza tra quanto insegnato e quanto la società in evoluzione offre.

Risultati ottenuti nel giro di pochi anni sono:

  • demotivazione;

  • caduta verticale di valori;

  • facile inserimento nelle fila di gruppi selvaggi;

  • allontanamento del giovane dalla vita attiva.

 

Giovani e meno giovani con problemi di inserimento psichico, ambientale ed economico desiderano sottrarsi alle leggi della società, al sistema dei consumi che, pur mettendo a disposizione dell'uomo beni impensabili fino ad alcuni decenni fa, ha imposto un ritmo e un ordine di vita poco sopportabili.

 

Il passo verso la droga è breve, perché per il drogato si allontanano:

1.        l'ansia per le cose e per l'acquisto delle stesse;

2.        il problema del lavoro;

3.        il problema del futuro;

4.      il problema dei rapporti interpersonali.

 

Egli vive:

      in se stesso;

      in un sogno;

      tra gli altri, ma senza gli altri, non appartiene ad essi.

 

Non ha paura della morte - gli manca il termine di paragone tra il senso positivo della vita e il senso della morte.

A volte scatta in lui il meccanismo di distruzione di se stesso - forse tramite sé vuole punire: i genitori, la scuola, la società.

Il progetto del mondo di oggi sembra essere: svuotare, distruggere l'uomo attraverso l'attacco alla vita, depauperandola di tutto il suo significato. Il suo atto è, quindi, una rivolta.

 

Cosa si può offrire per prevenire questo fenomeno?

 

Secondo il mio modesto parere, alcuni concetti dovrebbero essere alla base e cioè:

  • concepire la vita come fatica, non prendendo quanto riporta o ci racconta la televisione con modelli sbagliati, una concezione di vita dove conta maggiormente "Ciò che si ha e non ciò che si è";

  • motivazione, autostima, fiducia in sé e verso gli altri;

  • affettività;

  • senso della vita, riempiendola di contenuti;

  • valori di onestà, di giustizia, di solidarietà, di umiltà, di unità, di
    sincerità e di amicizia;

  • i genitori devono riscoprire il dialogo in famiglia.

 

Voglio terminare queste brevi riflessioni con un passo riportato da Massimo Barra nel libro "Tossicomanie giovanili - tecniche di recupero" : "La droga spesso è il tentativo di un debole di non soccombere, quasi un disperato tentativo di automedicazione e di sopravvivenza, la ricerca di un compenso che, col tempo, si mostrerà fallace, effimero e traditore, con l'aggravarsi di tutti i sintomi che sembrava curare all'inizio".

 

Dott. Prof. Reodolfo Antonio MONGILLO

 

 


 

(1) MENTE & CERVELLO : Speciale Droghe e dipendenze, anno II, maggio-giugno 2004 n. 9. Gli autori del dossier E. J. Nestler e R. C. Malenka, hanno riportato le ultime scoperte della neurologia sul modo in cui le sostanze di abuso alterano i circuiti cerebrali associati alla gratificazione ed al piacere (pagg. 44 /53). Gli autori indicano anche possibili rimedi.

 

(2) La lettera "Riempite il vuoto dei vostri figli" di Umberto Galimberti, pubblicata su "La Repubblica" del 28.05.1997.


 

Per intervenire: invia@vivitelese.it