3 maggio 2005
PRC, disaccordo con Jannotti Pecci
Gianluca Aceto

 

 

FEDERAZIONE DI BENEVENTO

Via Triggio 3

 

 

COMUNICATO STAMPA

 

In relazione alle dichiarazioni rilasciate dal Presidente provinciale di Confindustria., Dottor Costanzo Jannotti Pecci, domenica 1° maggio, la segreteria provinciale del Partito della Rifondazione Comunista dichiara quanto segue:

 

«Il Presidente provinciale di Confindustria, dottor Costanzo Jannotti Pecci, in occasione della festa del 1° maggio ha affermato che per rilanciare il lavoro occorre agire sui salari. Questo significa, secondo il ragionamento spicciolo di Jannotti Pecci, che le imprese del Sud dovrebbero avere la possibilità di pagare il lavoro vivo ad un costo inferiore a quello corrisposto in altre zone geografiche del paese. In altri termini, pur negandolo a parole, Jannotti Pecci caldeggia il ritorno alle gabbie salariali.

 

La giustificazione “scientifica” di tali affermazioni sarebbe nella concorrenza spietata proveniente dai paesi dell’Est Asiatico, e dalla Cina in particolare, che investe soprattutto quei settori in cui L’Italia ha da sempre avuto un ruolo importante (industria tessile e manifatturiera in generale).

 

“Credo che sia il caso di organizzare meno passerelle per dare maggior peso ai fatti concreti”: così pontifica il dottor Jannotti Pecci, che evidentemente, da bravo capitano d’industria,  si sente in grado di dispensare lezioni a coloro che si affannano a perdere tempo in manifestazioni democratiche e si ostinano ad aprire spazi di agibilità civile e sociale.

 

Naturalmente, al buon Jannotti Pecci non balza nemmeno in testa che gran parte delle cause dell’ormai certificato declino industriale siano da addebitare all’industria stessa, incapace di innovarsi, migliorare i prodotti, fare ricerca, promuovere sviluppo. Né pare consapevole, il Presidente provinciale di Confindustria, che in molte piccole e medie aziende, che rimangono la maggior parte anche nella nostra provincia, spesso il salario effettivamente corrisposto è inferiore a quello che figura in busta paga. Purtroppo, già allo stato attuale, i salari reali sono da fame, le famiglie non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese, sono costrette ad indebitarsi e naturalmente non sono in grado di sostenere i consumi. La gente non ha soldi da spendere in merci e servizi, per cui la crisi delle aziende è destinata ad aggravarsi.

 

In tutto questo, Jannotti Pecci intona la solita cantilena della leva salariale, senza timore di cadere nel ridicolo. Infatti, egli non esita a richiamare l’esempio della Germania e della Siemens, che proprio nulla hanno da spartire con la situazione italiana. Senza addentrarci in analisi sopraffini,  ricordiamo a Jannotti Pecci che negli ultimi anni l’inflazione ha soverchiato gli aumenti salariali, le grandi imprese hanno aumentato considerevolmente i profitti – che spesso si sono tramutati in rendita – e infine il divario tra gli ingaggi dei manager e il salario medio si è moltiplicato per otto o dieci.

 

Ora, poiché il problema è quello della concorrenza cinese, stando alla logica perversa di Jannotti Pecci e dei suoi colleghi, bisognerebbe diminuire gli stipendi e i salari di circa 40-50 volte. Infatti, con lo stipendio di un operaio italiano si pagano 40 o 50 lavoratori cinesi. I passi successivi, magari, potrebbero essere l’abolizione della previdenza pubblica, la riduzione del sistema sanitario, il forte ridimensionamento dei sindacati. Questo, in breve, il sogno confindustriale. Ma la realtà è ben altra, come dimostrano l’uscita di scena di D’amato dalla guida di Confindustria nazionale e l’appannamento di Berlusconi, che proprio di quel disegno si era fatto promotore.

 

Il problema della concorrenza cinese è reale. Però, probabilmente, andava affrontato a monte, cioè all’epoca delle trattative per l’entrata della Cina nell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO). In quella sede, infatti, andavano richiesti miglioramenti alle condizioni degli operai cinesi (aumenti salariali, previdenza, assistenza, garanzie sindacali), così da affrontare al contempo i due corni del problema: l’irrisorio costo del lavoro e l’assoluta mancanza di una rete di protezione sociale in quell’immenso paese. Ma il WTO era invece interessato a creare questo meccanismo di concorrenza con gli operai dei paesi occidentali, la cui violenza rischia ora di essere socialmente devastante.

 

In ultimo, rammentiamo a Jannotti Pecci, il cui acume analitico fa il pendolo tra Von Hayek e Tremonti, fra l’ortodossia mercantile e i venditori di spiagge, che le gabbie salariali in Italia esistono già, come parte integrante di un modello di sfruttamento insopportabile. Contro quel modello, sperimentato alla Fiat di Melfi, la “giovane classe operaia” del Mezzogiorno ha levato la sua voce e la sua azione di lotta. Lo scorso anno, per ventuno giorni consecutivi, quegli operai sono tornati ad affermare che il lavoro deve essere “lavoro buono”, oppure è soltanto sfruttamento. Quella lotta ha pagato, è stata vincente, anche se va verificata nei risultati concreti che produrrà nel medio periodo. A quella lotta guardiamo con rinnovata speranza».

 

 

Benevento, 02 maggio 2005

 

Segreteria provinciale PRC

 

    

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