FEDERAZIONE DI BENEVENTO
Via Triggio 3
COMUNICATO STAMPA
In
relazione alle dichiarazioni rilasciate dal
Presidente provinciale di Confindustria., Dottor
Costanzo Jannotti Pecci, domenica 1° maggio, la
segreteria provinciale del Partito della
Rifondazione Comunista dichiara quanto segue:
«Il Presidente provinciale di Confindustria,
dottor Costanzo Jannotti Pecci, in occasione
della festa del 1° maggio ha affermato che per
rilanciare il lavoro occorre agire sui salari.
Questo significa, secondo il ragionamento
spicciolo di Jannotti Pecci, che le imprese del
Sud dovrebbero avere la possibilità di pagare il
lavoro vivo ad un costo inferiore a quello
corrisposto in altre zone geografiche del paese.
In altri termini, pur negandolo a parole,
Jannotti Pecci caldeggia il ritorno alle gabbie
salariali.
La
giustificazione “scientifica” di tali
affermazioni sarebbe nella concorrenza spietata
proveniente dai paesi dell’Est Asiatico, e dalla
Cina in particolare, che investe soprattutto
quei settori in cui L’Italia ha da sempre avuto
un ruolo importante (industria tessile e
manifatturiera in generale).
“Credo che sia il caso di organizzare meno
passerelle per dare maggior peso ai fatti
concreti”: così pontifica il dottor Jannotti
Pecci, che evidentemente, da bravo capitano
d’industria, si sente in grado di dispensare
lezioni a coloro che si affannano a perdere
tempo in manifestazioni democratiche e si
ostinano ad aprire spazi di agibilità civile e
sociale.
Naturalmente, al buon Jannotti Pecci non balza
nemmeno in testa che gran parte delle cause
dell’ormai certificato declino industriale siano
da addebitare all’industria stessa, incapace di
innovarsi, migliorare i prodotti, fare ricerca,
promuovere sviluppo. Né pare consapevole, il
Presidente provinciale di Confindustria, che in
molte piccole e medie aziende, che rimangono la
maggior parte anche nella nostra provincia,
spesso il salario effettivamente corrisposto è
inferiore a quello che figura in busta paga.
Purtroppo, già allo stato attuale, i salari
reali sono da fame, le famiglie non ce la fanno
ad arrivare alla fine del mese, sono costrette
ad indebitarsi e naturalmente non sono in grado
di sostenere i consumi. La gente non ha soldi da
spendere in merci e servizi, per cui la crisi
delle aziende è destinata ad aggravarsi.
In
tutto questo, Jannotti Pecci intona la solita
cantilena della leva salariale, senza timore di
cadere nel ridicolo. Infatti, egli non esita a
richiamare l’esempio della Germania e della
Siemens, che proprio nulla hanno da spartire con
la situazione italiana. Senza addentrarci in
analisi sopraffini, ricordiamo a Jannotti Pecci
che negli ultimi anni l’inflazione ha
soverchiato gli aumenti salariali, le grandi
imprese hanno aumentato considerevolmente i
profitti – che spesso si sono tramutati in
rendita – e infine il divario tra gli ingaggi
dei manager e il salario medio si è moltiplicato
per otto o dieci.
Ora, poiché il problema è quello della
concorrenza cinese, stando alla logica perversa
di Jannotti Pecci e dei suoi colleghi,
bisognerebbe diminuire gli stipendi e i salari
di circa 40-50 volte. Infatti, con lo stipendio
di un operaio italiano si pagano 40 o 50
lavoratori cinesi. I passi successivi, magari,
potrebbero essere l’abolizione della previdenza
pubblica, la riduzione del sistema sanitario, il
forte ridimensionamento dei sindacati. Questo,
in breve, il sogno confindustriale. Ma la realtà
è ben altra, come dimostrano l’uscita di scena
di D’amato dalla guida di Confindustria
nazionale e l’appannamento di Berlusconi, che
proprio di quel disegno si era fatto promotore.
Il
problema della concorrenza cinese è reale. Però,
probabilmente, andava affrontato a monte, cioè
all’epoca delle trattative per l’entrata della
Cina nell’Organizzazione Mondiale per il
Commercio (WTO). In quella sede, infatti,
andavano richiesti miglioramenti alle condizioni
degli operai cinesi (aumenti salariali,
previdenza, assistenza, garanzie sindacali),
così da affrontare al contempo i due corni del
problema: l’irrisorio costo del lavoro e
l’assoluta mancanza di una rete di protezione
sociale in quell’immenso paese. Ma il WTO era
invece interessato a creare questo meccanismo di
concorrenza con gli operai dei paesi
occidentali, la cui violenza rischia ora di
essere socialmente devastante.
In
ultimo, rammentiamo a Jannotti Pecci, il cui
acume analitico fa il pendolo tra Von Hayek e
Tremonti, fra l’ortodossia mercantile e i
venditori di spiagge, che le gabbie salariali in
Italia esistono già, come parte integrante di un
modello di sfruttamento insopportabile. Contro
quel modello, sperimentato alla Fiat di Melfi,
la “giovane classe operaia” del Mezzogiorno ha
levato la sua voce e la sua azione di lotta. Lo
scorso anno, per ventuno giorni consecutivi,
quegli operai sono tornati ad affermare che il
lavoro deve essere “lavoro buono”, oppure è
soltanto sfruttamento. Quella lotta ha pagato, è
stata vincente, anche se va verificata nei
risultati concreti che produrrà nel medio
periodo. A quella lotta guardiamo con rinnovata
speranza».
Benevento, 02 maggio 2005
Segreteria provinciale PRC
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