11 ottobre 2005
Marco Berlinguer: voto per Bertinotti
Gianluca Brignola

 

 

Vi segnalo un articolo apparso sul Corriere della sera sabato 8 ottobre circa le elezioni primarie del centrosinistra che si terranno il 16 ottobre 2005

 

Marco Berlinguer: voto per Bertinotti

 

«Fausto ha ideali, i Ds non mi hanno mai convinto»

 

IL PERSONAGGIO / L' unico figlio maschio di Enrico: nel 1995 pensai che lui fosse la persona giusta, ora spero che le primarie lo rendano più forte

 

Marco Berlinguer, 42 anni, romano ma «legato alla Sardegna», impegnato in Rifondazione e nel progetto di ricerca «Transform! Italia», è l' unico figlio maschio di Enrico. Un' eredità che si legge negli occhi, e nella riservatezza. Berlinguer, lei non ha mai dato un' intervista a un giornale o a una tv. Perché? «Per carattere e per esperienza di vita, un po' assediata dalla curiosità pubblica. Amo la politica. Non amo la comunicazione politica». Voterà alle primarie? «Certo. Il voto a Bertinotti è i l tentativo di dare un' espressione politica a un' area più vasta di quella di Rifondazione». Quando l' ha conosciuto? «Alla fine degli anni Ottanta, nella sezione del Pci di Ponte Milvio. Poi, quando costituì "Essere sindacato", la minoranza di sinistra all' interno della Cgil, gli feci un' intervista per Avvenimenti ». Quelli che ora lo chiamano "parolaio" dicono che da sindacalista non abbia mai firmato un contratto. «Al contrario: credo che Bertinotti abbia dimostrato la capacità di prendere decisioni, di assumersi responsabilità difficili, senza rinunciare a una grande idealità». Quando l' ha seguito in Rifondazione? «Nel 1995, al tempo della prima scissione. C' era il governo Dini, Crucianelli e i comunisti unitari passarono nei Ds. Avvertii il desiderio di aiutare quell' esperienza in difficoltà. Ho pensato che Bertinotti fosse la persona più indicata a guidarla». Perché? «Perché non l' avrebbe vissuta come difesa di un' identità, conservazione di un' esperienza passata, ma come ricerca di un nuovo modo di fare politica, di trasformare la società». I Ds non l' hanno mai interessata? «È inevitabile interessarsi alle scelte di una parte importante della sinistra. Che però non mi hanno mai convinto». Ha condiviso anche la rottura con Prodi e il centrosinistra? «Sì. Ho avuto dubbi sul modo. Non credo sia stata capita da molti la natura della posta in gioco: in quel momento c' era a sinistra un dissenso di fondo sulla valutazione della fase che si andava profilando nel paese e nei rapporti internazionali. Però era divenuta una strada obbligata, e non per gli errori di Rifondazione ma per le chiusure del centrosinistra. Fu una scelta dura, eppure preziosa per Rifondazione e per la stessa democrazia». Nessuna tentazione di seguire i Comunisti italiani? «No. Ho sofferto in quei giorni. C' è stato anche chi ha gioito; non io. Ma su questo non ho avuto dubbi». Poi il governo di sinistra partecipò alla guerra del Kosovo. «Fu uno strappo rispetto ai principi della nostra Costituzione e alla cultura pacifista, che grazie al cielo non è solo della sinistra. L' impiego dell' Alleanza Atlantica in uno scenario di guerra ha segnato un ripensamento della dottrina della Nato e ha aperto lo scenario inquietante degli interventi militari al di fuori dei confini dell' Alleanza e non a scopo difensivo. E senza un mandato delle Nazioni Unite. Questo ha rappresentato un precedente. Una rottura del diritto internazionale. Un cambio profondo di scenario, che fu compreso da Rifondazione». Ora è possibile che Rifondazione stringa un patto con il centrosinistra ed entri in un governo destinato a durare? «Viviamo un' epoca diversa. La priorità è sconfiggere queste destre. E credo si possano trovare punti di convergenza. La cosa più importante è aprire il sistema politico alle spinte che vengono dai movimenti». Lo strumento delle primarie la convince? «No, se sono concepite come una forma di delega, se serviranno a investire una persona di una responsabilità insindacabile. Sì, se sono concepite come apertura alla partecipazione diretta dei cittadini, al di là degli stessi partiti, alla battaglia delle idee e alle decisioni politiche. A posteriori bisognerà verificare se avranno funzionato. Se ad esempio alle primarie votassero molti giovani precari, Bertinotti avrebbe un importante risultato; e un Bertinotti più forte aprirebbe prospettive nuove. Certo, bisognerà valutare se ripetere l' esperimento e in questo caso serviranno regole precise, in modo che si aprano spazi anche per le forze meno organizzate». Spazi sui media a Bertinotti non mancano. Lo si accusa di andare troppo da Vespa e nei salotti tv. «Queste sono polemiche speciose. Un leader oggi non può sottrarsi alla politica mediatica. Purtroppo». Lei chi guarda in tv? «In questo momento non ho la tv in casa. Però mi piace seguire lo sport e i programmi di storia e geografia politica. Non quelli di intrattenimento». Bertinotti è ora scavalcato a sinistra. Dai cossuttiani, in nome dell' ortodossia. Dai Disobbedienti, in nome del movimentismo. «Rispetto che una parte dei Disobbedienti abbia espresso una candidatura, mi piace il fatto che ricorrano allo strumento delle primarie interpretandolo non come delega ma come bisogno di un' altra politica. È difficile ora trovare forme di convergenza delle rappresentanze, però sarebbe necessario. La candidatura di Fausto rappresenta una possibilità. Mi rammarico che non tutti l' abbiano colta; penso anche al Manifesto, un' area politica che poteva essere parte di questa battaglia ma ha preferito prendere un atteggiamento neutrale. Stavolta ho voluto esprimere la mia opinione proprio perché alcuni che potevano dare una mano non la stanno dando». Qualcuno nel movimento non si riconosce nella vostra linea nonviolenta, e magari rimpiange gli Anni Settanta? «Pericoli di un collasso della società che può generare forme di violenza ce ne sono, ma non nella forma di una riproposizione degli Anni Settanta. Se i poteri che guidano le società continueranno sulla strada della militarizzazione dei rapporti, dell' autoritarismo, allora è possibile che si ripeta in contesti diversi quel che accade in alcuni paesi arabi, dove la mancanza di uno sbocco politico alimenta fenomeni di fanatismo irrazionale. Siamo avviluppati nella spirale guerra-terrorismo. Chi la denuncia viene tacciato di antiamericanismo. Ma non è così. Il movimento contro la guerra è globale, e unisce europei e americani». Bertinotti è talora critico con Castro. I cossuttiani lo difendono. Lei? «Sono d' accordo con Fausto. A Cuba c' è stata una vera rivoluzione popolare, che ha portato a conquiste importanti. Ma la sfida del mondo di oggi è creare nuove forme di democrazia, più avanzate delle esperienze del passato. E questa sfida riguarda anche Cuba». Qual è il senso di dirsi oggi comunista? Bertinotti lo è? E lei, Berlinguer? «Bertinotti è comunista nel modo in cui si può provare a esserlo in questa fase storica. Un ciclo si è concluso. È possibile riaprirne uno nuovo. Essere comunista significa recuperare una radicalità nella critica alla società contemporanea e nella volontà di trasformarla. Essere comunista per me vuol dire mettersi con umiltà al servizio di questa chance». Ci sarà posto anche per Marx? Lei l' ha letto? «Certo. Marx resta il più importante pensatore politico della modernità. Non un profeta. Ha ispirato le esperienze più varie, alcune anche terribili. Ma è un patrimonio della nostra cultura».

Corriere della sera sabato 8 ottobre

Cazzullo Aldo

Segnalazione di Gianluca Brignola

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