12 dicembre 2005
DS: La Conoscenza, per un futuro governo
Pasquale Biondi

 

 

Proposte DS per un futuro governo
2.La Conoscenza 
 

Il nostro Paese vive, sul terreno del sapere, un paradosso inquietante.

Ha un livello di istruzione fra la popolazione attiva più basso di tutti i Paesi a livello di reddito e di produzione analoghi, ha il più basso numero di laureati e ricercatori, spende meno di tutti in ricerca.

Ma nel contempo denuncia un tasso di disoccupazione e di precarizzazione più alto di tutti gli altri Paesi fra i giovani laureati istruiti, registra una domanda di lavoro da parte delle imprese ancora orientata su basse qualifiche, e scarsi tassi di utilizzazione da parte del sistema di produzione e di servizi degli stessi risultati della ricerca.

Siamo esportatori del prodotto che meno converrebbe esportare: i giovani ricercatori le cui capacità, acquisite con rilevanti investimenti pubblici, vengono messe a frutto fuori del nostro Paese.

Le risposte a questo paradosso possono essere di due tipi. Prendere atto della situazione e mettere in atto vere e proprie strategie di scoraggiamento alla prosecuzione degli studi verso i più alti livelli di istruzione, scoraggiando così di fatto la stessa partecipazione al mercato del lavoro, ridurre la ricerca fondamentale per concentrarsi su un “applicativo” di nicchia, oppure assumere la necessità di innalzare i livelli di sapere delle persone e dei sistemi produttivi di merci e servizi, facendone la leva fondamentale per uno sviluppo di qualità.

Siamo, ovviamente, per la seconda opzione, consapevoli che la prima non solo perpetua ineguaglianze storiche e ne produce di nuove, ma che porta il Paese in un vicolo cieco.

E a partire da questa convinzione che derivano le scelte da fare nel sistema dell’Istruzione e dell’Università. Il successo, nel sistema dell’istruzione del nostro Paese, è strettamente collegato alle differenze, soprattutto culturali e nel livello di istruzione, fra le famiglie.

Le differenze fra le famiglie tendono a riprodursi nella scuola diventata di massa, a livelli nuovi ma fortemente segnati dal passato. C’è un rapporto stretto da questo punto di vista fra i bassi livelli alfabetici della popolazione adulta e i tassi di dispersione scolastica.

Alla fine delle medie i bambini che hanno uno dei due genitori laureati, in particolare rilevante è il titolo di studio della madre, hanno ottime probabilità di risultare “distinti” e “ottimi", di iscriversi al liceo, di starci fino alla maturità, di iscriversi all’Università.

Chi non è in queste condizioni, chi non viene seguito a casa, soprattutto nel periodo delle medie, dove di fronte al brusco passaggio alla frammentazione delle discipline è più facile “perdere il filo”, finisce con “sufficiente”, è indirizzato alla istruzione e formazione professionale, nel caso migliore ai tecnici, ha forti probabilità di disperdesi prima dei 18 anni, ha scarsa probabilità di iscriversi all’Università e, se ci riesce, di finirla.

Questo è il bivio che l’Italia ha davanti. Se si ritiene che l’attuale sistema di stratificazione sociale (dove le scelte dei genitori si trasmettono ai figli), sia socialmente efficiente, in quanto permette di selezionare gli individui migliori, allora questo sistema va rafforzato. Da questo punto di vista le scelte della Moratti sarebbero assolutamente giuste e sensate. Senza stupirsi poi che il merito e l’eccellenza finiscano per continuare sostanzialmente a coincidere con il livello sociale e culturale della famiglia d’origine.

Se si ritiene invece che sia necessario elevare il tasso di istruzione medio della popolazione, e porre in questo quadro lo stesso problema del merito e dell’eccellenza, diventa indispensabile far crescere l’istruzione e la formazione della popolazione adulta e ridurre la dipendenza delle scelte scolastiche dal background familiare.

La nostra scelta, va senza riserve, in questa direzione. Del resto è questo il senso della educazione lungo tutto l’arco della vita, così come è stata varata a Lisbona: una strategia che tiene, in un quadro di coerenza, l’intervento educativo a partire dagli asili nido e la costruzione di un sistema strutturato di educazione degli adulti.

E da qui deve partire una nostra idea delle priorità di governo: fare degli asili nido il punto di partenza del percorso educativo, generalizzare e rafforzare la valenza educativa della scuola dell’infanzia, e affermare il diritto alla formazione permanente dentro e fuori il lavoro come un nuovo fondamentale diritto di cittadinanza.

Sono le due cose che nella politica scolastica del governo di centrodestra mancano, e la cui mancanza perpetua le disuguaglianze, le deficienze, l’arretratezza del nostro sistema di istruzione.

Sul primo punto stiamo raccogliendo le firme su un disegno di legge di iniziativa popolare varato dalla Consulta per l’infanzia “Gianni Rodari”, sul secondo siamo impegnati a stendere un disegno di legge da assumere come punto decisivo del nostro programma di governo.

In mezzo ci sono alcuni obiettivi da ribadire e assumere come priorità della nostra azione di governo, alcuni bisognosi di immediati interventi legislativi, altri di diventare progetti da sostenere con risorse adeguate.

La comprensività nella scuola di base, per ridurre i salti in cui i più deboli cadono; la riaffermazione del valore sociale ed educativo del tempo pieno; il prolungamento dell’obbligo scolastico – quello vero – al biennio della superiore con un biennio unitario, per abrogare la canalizzazione precoce che è l’anima della legge Moratti; la riaffermazione - contro la mistica del duale - del valore della istruzione tecnica e professionale, del suo carattere insieme professionalizzante e propedeutico alla prosecuzione degli studi; la crescita del numero degli studenti universitari e dei laureati senza perdere, ma anzi incrementando, la qualità degli studi e la capacità di ricerca.

Avendo chiaro una cosa: che per ognuno di questi obiettivi dovremmo mettere a disposizione le risorse adeguate e darci una scala di priorità, temporalizzando il raggiungimento degli obiettivi. Occorre fare un progetto preciso, con tappe di monitoraggio, che indichi quanti bambini in più porteremo negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia; quale incremento annuo vogliamo raggiungere nel numero dei diplomati, quantificando le risorse che è necessario investire in diritto allo studio, dal momento che causa rilevante della dispersione scolastica è la povertà delle famiglie come intendiamo con risorse adeguate rafforzare l’autonomia delle Università e delle istituzioni impegnate nella ricerca. Quanti adulti vogliamo portare in formazione. Monitorando attentamente, per ogni obiettivo, i successi e gli insuccessi, incentivando le pratiche inclusive, quelle che cambiano la cultura della scuola e della formazione in vista del conseguimento degli obiettivi.

Non c’è per questo, nessuna scorciatoia possibile. La via maestra è un progetto nazionale che sappia fare leva sulla capacità dei territori, sull’autonomia delle scuole, sulla valorizzazione del lavoro e della professionalità degli insegnanti, sul contributo partecipativo dei genitori, su un nuovo protagonismo e sulla creatività degli studenti.

Stabilito il quadro delle risorse e degli obiettivi, gli interventi legislativi necessari, il futuro della scuola e della Università, la sua riforma reale, va messa nelle mani di chi nel sistema dell’istruzione vive e lavora, sostenuti dalle istituzioni locali e da quanti sui territori hanno capito la centralità del sapere per lo sviluppo e la coesione sociale del territorio.

Del resto già oggi le esperienze migliori, i tempi pieni più ricchi di proposte formative, le scuole che sono riuscite a rispondere alla domanda di interculturalità poste dai figli dell’immigrazione, gli istituti tecnici e professionali che hanno saputo progettare percorsi in rapporto con le imprese, la formazione professionale che ha saputo diventare vera interfaccia fra scuola e mondo del lavoro, sono state possibili dove è stato stipulato un nuovo patto tra sistema dell’istruzione e della formazione e territori, col ruolo decisivo delle Regioni e del sistema degli Enti locali. Ed è nel territorio che si è riusciti a mettere in rete scuole, Università, agenzie educative pubbliche e private, organizzazioni del Terzo settore e del privato sociale, di rompere le separatezze, di attivare tutte le energie di cui un’educazione per tutto l’arco della vita ha bisogno.

Al Governo nazionale spetterà di fissare i livelli essenziali, gli obiettivi fondamentali che il sistema deve raggiungere, le norme generali che devono regolare l’insieme del sistema e quello di affrontare, con adeguate risorse finanziarie, il dislivello di risorse a disposizione fra le istituzioni formative del Nord e quelle del Sud, determinato proprio dalle diverse capacità delle Amministrazioni locali e dei territori di concorrere al bilancio delle scuole e delle Università dell’autonomia...
 
 
 
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