Proposte DS per un futuro governo
2.La Conoscenza
Il nostro Paese vive, sul
terreno del sapere, un paradosso
inquietante.
Ha un livello di istruzione fra la
popolazione attiva più basso di tutti i
Paesi a livello di reddito e di produzione
analoghi, ha il più basso numero di laureati
e ricercatori, spende meno di tutti in
ricerca.
Ma nel contempo denuncia un tasso di
disoccupazione e di precarizzazione più alto
di tutti gli altri Paesi fra i giovani
laureati istruiti, registra una domanda di
lavoro da parte delle imprese ancora
orientata su basse qualifiche, e scarsi
tassi di utilizzazione da parte del sistema
di produzione e di servizi degli stessi
risultati della ricerca.
Siamo esportatori del prodotto che meno
converrebbe esportare: i giovani ricercatori
le cui capacità, acquisite con rilevanti
investimenti pubblici, vengono messe a
frutto fuori del nostro Paese.
Le risposte a questo paradosso possono
essere di due tipi. Prendere atto della
situazione e mettere in atto vere e proprie
strategie di scoraggiamento alla
prosecuzione degli studi verso i più alti
livelli di istruzione, scoraggiando così di
fatto la stessa partecipazione al mercato
del lavoro, ridurre la ricerca fondamentale
per concentrarsi su un “applicativo” di
nicchia, oppure assumere la necessità di
innalzare i livelli di sapere delle persone
e dei sistemi produttivi di merci e servizi,
facendone la leva fondamentale per uno
sviluppo di qualità.
Siamo, ovviamente, per la seconda opzione,
consapevoli che la prima non solo perpetua
ineguaglianze storiche e ne produce di
nuove, ma che porta il Paese in un vicolo
cieco.
E a partire da questa convinzione che
derivano le scelte da fare nel sistema
dell’Istruzione e dell’Università. Il
successo, nel sistema dell’istruzione del
nostro Paese, è strettamente collegato alle
differenze, soprattutto culturali e nel
livello di istruzione, fra le famiglie.
Le differenze fra le famiglie tendono a
riprodursi nella scuola diventata di massa,
a livelli nuovi ma fortemente segnati dal
passato. C’è un rapporto stretto da questo
punto di vista fra i bassi livelli
alfabetici della popolazione adulta e i
tassi di dispersione scolastica.
Alla fine delle medie i bambini che hanno
uno dei due genitori laureati, in
particolare rilevante è il titolo di studio
della madre, hanno ottime probabilità di
risultare “distinti” e “ottimi", di
iscriversi al liceo, di starci fino alla
maturità, di iscriversi all’Università.
Chi non è in queste condizioni, chi non
viene seguito a casa, soprattutto nel
periodo delle medie, dove di fronte al
brusco passaggio alla frammentazione delle
discipline è più facile “perdere il filo”,
finisce con “sufficiente”, è indirizzato
alla istruzione e formazione professionale,
nel caso migliore ai tecnici, ha forti
probabilità di disperdesi prima dei 18 anni,
ha scarsa probabilità di iscriversi
all’Università e, se ci riesce, di finirla.
Questo è il bivio che l’Italia ha davanti.
Se si ritiene che l’attuale sistema di
stratificazione sociale (dove le scelte dei
genitori si trasmettono ai figli), sia
socialmente efficiente, in quanto permette
di selezionare gli individui migliori,
allora questo sistema va rafforzato. Da
questo punto di vista le scelte della
Moratti sarebbero assolutamente giuste e
sensate. Senza stupirsi poi che il merito e
l’eccellenza finiscano per continuare
sostanzialmente a coincidere con il livello
sociale e culturale della famiglia
d’origine.
Se si ritiene invece che sia necessario
elevare il tasso di istruzione medio della
popolazione, e porre in questo quadro lo
stesso problema del merito e
dell’eccellenza, diventa indispensabile far
crescere l’istruzione e la formazione della
popolazione adulta e ridurre la dipendenza
delle scelte scolastiche dal background
familiare.
La nostra scelta, va senza riserve, in
questa direzione. Del resto è questo il
senso della educazione lungo tutto l’arco
della vita, così come è stata varata a
Lisbona: una strategia che tiene, in un
quadro di coerenza, l’intervento educativo a
partire dagli asili nido e la costruzione di
un sistema strutturato di educazione degli
adulti.
E da qui deve partire una nostra idea delle
priorità di governo: fare degli asili nido
il punto di partenza del percorso educativo,
generalizzare e rafforzare la valenza
educativa della scuola dell’infanzia, e
affermare il diritto alla formazione
permanente dentro e fuori il lavoro come un
nuovo fondamentale diritto di cittadinanza.
Sono le due cose che nella politica
scolastica del governo di centrodestra
mancano, e la cui mancanza perpetua le
disuguaglianze, le deficienze,
l’arretratezza del nostro sistema di
istruzione.
Sul primo punto stiamo raccogliendo le firme
su un disegno di legge di iniziativa
popolare varato dalla Consulta per
l’infanzia “Gianni Rodari”, sul secondo
siamo impegnati a stendere un disegno di
legge da assumere come punto decisivo del
nostro programma di governo.
In mezzo ci sono alcuni obiettivi da
ribadire e assumere come priorità della
nostra azione di governo, alcuni bisognosi
di immediati interventi legislativi, altri
di diventare progetti da sostenere con
risorse adeguate.
La comprensività nella scuola di base, per
ridurre i salti in cui i più deboli cadono;
la riaffermazione del valore sociale ed
educativo del tempo pieno; il prolungamento
dell’obbligo scolastico – quello vero – al
biennio della superiore con un biennio
unitario, per abrogare la canalizzazione
precoce che è l’anima della legge Moratti;
la riaffermazione - contro la mistica del
duale - del valore della istruzione tecnica
e professionale, del suo carattere insieme
professionalizzante e propedeutico alla
prosecuzione degli studi; la crescita del
numero degli studenti universitari e dei
laureati senza perdere, ma anzi
incrementando, la qualità degli studi e la
capacità di ricerca.
Avendo chiaro una cosa: che per ognuno di
questi obiettivi dovremmo mettere a
disposizione le risorse adeguate e darci una
scala di priorità, temporalizzando il
raggiungimento degli obiettivi. Occorre fare
un progetto preciso, con tappe di
monitoraggio, che indichi quanti bambini in
più porteremo negli asili nido e nelle
scuole dell’infanzia; quale incremento annuo
vogliamo raggiungere nel numero dei
diplomati, quantificando le risorse che è
necessario investire in diritto allo studio,
dal momento che causa rilevante della
dispersione scolastica è la povertà delle
famiglie come intendiamo con risorse
adeguate rafforzare l’autonomia delle
Università e delle istituzioni impegnate
nella ricerca. Quanti adulti vogliamo
portare in formazione. Monitorando
attentamente, per ogni obiettivo, i successi
e gli insuccessi, incentivando le pratiche
inclusive, quelle che cambiano la cultura
della scuola e della formazione in vista del
conseguimento degli obiettivi.
Non c’è per questo, nessuna scorciatoia
possibile. La via maestra è un progetto
nazionale che sappia fare leva sulla
capacità dei territori, sull’autonomia delle
scuole, sulla valorizzazione del lavoro e
della professionalità degli insegnanti, sul
contributo partecipativo dei genitori, su un
nuovo protagonismo e sulla creatività degli
studenti.
Stabilito il quadro delle risorse e degli
obiettivi, gli interventi legislativi
necessari, il futuro della scuola e della
Università, la sua riforma reale, va messa
nelle mani di chi nel sistema
dell’istruzione vive e lavora, sostenuti
dalle istituzioni locali e da quanti sui
territori hanno capito la centralità del
sapere per lo sviluppo e la coesione sociale
del territorio.
Del resto già oggi le esperienze migliori, i
tempi pieni più ricchi di proposte
formative, le scuole che sono riuscite a
rispondere alla domanda di interculturalità
poste dai figli dell’immigrazione, gli
istituti tecnici e professionali che hanno
saputo progettare percorsi in rapporto con
le imprese, la formazione professionale che
ha saputo diventare vera interfaccia fra
scuola e mondo del lavoro, sono state
possibili dove è stato stipulato un nuovo
patto tra sistema dell’istruzione e della
formazione e territori, col ruolo decisivo
delle Regioni e del sistema degli Enti
locali. Ed è nel territorio che si è
riusciti a mettere in rete scuole,
Università, agenzie educative pubbliche e
private, organizzazioni del Terzo settore e
del privato sociale, di rompere le
separatezze, di attivare tutte le energie di
cui un’educazione per tutto l’arco della
vita ha bisogno.
Al Governo nazionale spetterà di fissare i
livelli essenziali, gli obiettivi
fondamentali che il sistema deve
raggiungere, le norme generali che devono
regolare l’insieme del sistema e quello di
affrontare, con adeguate risorse
finanziarie, il dislivello di risorse a
disposizione fra le istituzioni formative
del Nord e quelle del Sud, determinato
proprio dalle diverse capacità delle
Amministrazioni locali e dei territori di
concorrere al bilancio delle scuole e delle
Università dell’autonomia...
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CONOSCENZA
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