Un un evento partecipativo che ha spiazzato del tutto le
previsioni più
ottimiste, in quella che
è risultata in tutta
evidenza una
mobilitazione
straordinaria del
"popolo di sinistra",
quasi una prova generale
delle prossime elezioni
per mandare a casa il
governo di centrodestra,
com'è andato il
candidato Fausto
Bertinotti?
«Seicentomila voti sono
un risultato di tutto
rispetto» risponde il
segretario di
Rifondazione comunista,
affannatissimo tra
un'intervista e un
vertice. «Perché in
questa grandissima
esplosione di
partecipazione politica,
che nessuno di noi aveva
previsto in queste
proporzioni, un numero
imponente di persone ha
votato contro il senso
comune, ha immesso un
surplus politico nella
consultazione, insomma
ha votato a sinistra».
Ha indicato Bertinotti
come leader dell'intera
coalizione, come
possibile premier: una
cosa da matti, a
pensarci bene. E al
termine di una campagna
elettorale nella quale
il leader del Prc si è
giocato la partita senza
avere alle spalle né una
grande organizzazione,
né grandi mezzi, né
l'appoggio delle altre
forze della sinistra
alternativa. Sì, se
guardiamo a questa
vicenda con il
necessario "distacco
analitico", possiamo
considerarci
soddisfatti, anche se
certamente ci
aspettavamo qualcosa di
più. E ora? Ne
ragioniamo proprio con
il segretario.
Un giudizio d'insieme
su queste primarie,
quasi ancora a caldo
Beh, è successo
qualcosa di così
straordinario - la
voglia di partecipazione
- che sarà bene non solo
non disperderlo, ma
cercare in ogni modo di
metterlo a frutto.
Cominciando con una
riflessione accurata e
davvero approfondita,
che coinvolga anche gli
esterni e che spieghi a
tutti perché sono andati
a votare oltre quattro
milioni di persone,
quando i più ottimisti
di noi, i meglio
disposti, avrebbero
scommesso, al massimo,
su un milione e mezzo.
Io credo che sia questo
il significato
prevalente delle
primarie: una grande
domanda di politica e di
cambiamento politico.
Essi si sono espressi
nella forma, se così si
può dire, più "naturale"
e antica: l'unità, la
fedeltà massiccia al
valore dell'unità, che
resta parte integrante
del Dna del popolo di
sinistra.
Il consenso quasi
plebiscitario per Romano
Prodi lo si spiega così?
Quasi fosse, prima che
la scelta di una persona
o di un leader, la
scelta dell'Unione?
Non userei una parola
come "plebiscito", che
rischia di essere
fuorviante. Prodi è
stato votato a valanga
in quanto è stato - ed è
- percepito, vissuto,
assunto, come la sintesi
unitaria più credibile
dell'Unione: insomma,
come la figura che, più
o meglio di altre,
rappresenta la
coalizione che si
candida a governare il
Paese e a metter
Berlusconi fuorigioco.
Prodi non è stato
votato, voglio dire,
come una parte
dell'Unione, o come il
portatore di un
programma particolare e
definito, ma come la
figura politica che può
garantire oggi l'unità
della coalizione, il suo
pluralismo interno, la
ricchezza delle sue
articolazioni. Nel voto
di domenica si sono
quindi espressi sia la
voglia di decidere in
prima persona sia la
"necessità" di
attribuire una delega e
un mandato credibili.
Era in fondo logico che
così fosse. Solo che è
avvenuto in dimensioni
così grandi e inattese
da determinare una vera
e propria "onda d'urto",
tale da spiazzare molti
schemi di partenza
Infatti, molti di noi
si aspettavano un
risultato un po' più
consistente per il
candidato Bertinotti:
un'aspettativa che, mi
par di capire, era
misurata su un'ipotesi
partecipativa assai
diversa da quella reale.
Siamo soddisfatti, o
anche un po' delusi?
Credo che dobbiamo
essere molto
soddisfatti. Abbiamo
investito, molto più di
altri, nell'opportunità
che le primarie potevano
rappresentare: e abbiamo
avuto ragione. D'ora in
avanti, sarà difficile
privarci di questo
strumento, che comunque
intercetta un bisogno
vero delle persone e
della società. Abbiamo
saputo reggere all'onda
di cui dicevamo
(significative, a
proposito, le cifre
dell'Emilia-Romagna,
dove Prodi ha preso l'88
per cento), raccogliendo
un consenso lusinghiero,
politicamente molto
impegnativo e audace,
per chi ce l'ha voluto
dare. Abbiamo
dimostrato, sul campo,
che la credibilità di
Rifondazione comunista è
reale, molto più di
tante altre sigle. Ma
proviamo a pensare "al
rovescio", per capirci:
che cosa sarebbe
successo se, per dire,
avessimo deciso di non
esserci? Credo proprio
che sarebbe stato un
disastro: la nostra
scomparsa dalla scena,
la dichiarazione
definitiva della nostra
"minorità" politica..
Ma ora - ecco una
domanda che frulla nella
testa di tanti compagni
- spostare a sinistra il
programma dell'Unione
sarà più facile o più
difficile? Prodi ha già
rivendicato la sua piena
"responsabilità", leggi
il suo primato
indiscutibile, e ha
usato, se posso dire, un
tono comprensibilmente
soddisfatto, ma anche un
po' autoritario….
Senti, intanto non credo
proprio che Romano Prodi
possa comportarsi
secondo il vecchio
adagio "passata la
festa, gabbato lo
santo". O addirittura
secondo il motto "ghe
pensi mi". Come se tutto
quello che è successo in
queste primarie fosse,
semplicemente da
archiviare: le
assemblee, i "voglio",
le domande concrete
restano tutte, chiedono
risposte, non possono in
nessun caso essere
eluse. Ora, l'esplosione
partecipativa, e la
domanda di politica, che
sono per natura un
"semilavorato", vanno
interpretate,
sviluppate, arricchite,
insomma tradotte in
proposte - certo, non
potranno avere come loro
sbocco autentico la
decisione di un singolo.
L'Unione è una
soggettività politica
ricca e plurale, dove si
confrontano anime e
posizioni diverse: da
questo dato non si può
recedere. Perciò alla
tua domanda, non posso
che rispondere così:
spostare a sinistra la
faccia concreta della
coalizione, è oggi sia
più facile che più
difficile. E' più
facile, perché la
partecipazione alimenta
di per sé un processo
incentrato sui contenuti
- sulla ricchezza delle
soggettività, degli
attori, del popolo
bisognoso di un
cambiamento vero, non
solo di classe dirigente
- e mette in campo la
necessità, ormai non
rinviabile, di una
riforma in grande della
politica. E' più
difficile perché la
domanda di unità è così
forte che tende a
mettere in secondo piano
il confronto stesso sui
contenuti - rischia,
cioè, di "assolutizzarsi",
soverchiando ogni altra
istanza.
E quindi?
Quindi, essendo ben
consapevoli sia
dell'eccezionalità
dell'esperienza - che
vogliamo far diventare
patrimonio permanente di
questa coalizione - sia
della difficoltà dei
compiti che oggi ci
aspettano, noi puntiamo
oggi sulla crescita
vera, e massiccia, del
programma. E' il tempo,
per capirci, del
"vogliamo", del
coinvolgimento sempre
più intenso dei soggetti
politici organizzati,
dei movimenti, degli
attori sociali, della
costruzione politica
collettiva.
Un po' come se le
primarie continuassero?
Esattamente. Il voto sui
singoli, per teste, è
stato esaltante. Ora,
però, dobbiamo passare
agli "Stati generali":
ad una fase nella quale
la politica pesa come
"corpi" collettivi, come
proposta, come
soggettività plurale.
Questa è una risposta
necessaria al processo
partecipativo che si è
messo in moto - un
abbozzo del "noi" che si
può costruire. Insomma,
dobbiamo fare un cammino
simmetrico (ancorché
rovesciato) ed opposto
rispetto a quello della
Rivoluzione francese
dell'89: dove il
processo rivoluzionario
si avviò quando i
deputati cominciarono a
discutere se votare,
appunto, per Stati (ciò
che automaticamente
avrebbe dato la
maggioranza alla nobiltà
e al clero), o per teste
- ciò che avrebbe reso
evidente la forza della
borghesia, o come si
chiamava allora, del
"Terzo Stato".
Vuoi dire che noi, ora,
siamo il "Terzo Stato"?
Ma sì, se non ti pare
esagerato |