Il
padrone e il "riformista". Questa coppia non ci
piace
Senatori a vita
Rina Gagliardi I due senatori a vita nominati
ieri dal presidente Ciampi - Giorgio Napolitano
e Sergio Pininfarina - sono certo due
rispettabili persone, con una vita di lavoro e
di impegno alle loro spalle. E tuttavia ci
permettiamo di non unirci al coro di applausi "bipartisan"
che ha accompagnato una scelta che non solo non
ci piace, ma un po' perfino ci scandalizza.
Scusateci se non abbiamo perso la capacità di
indignarci anche su vicende, come questa, che
sono a loro modo "minori", ma sono pur dotate di
un elevato significato simbolico. Dunque, il
capo dello Stato ha deciso di premiare con una
delle massime onorificenze della Repubblica una
"strana coppia" - quasi una coppia di fatto. Un
imprenditore che è stato capo della
Confindustria e un politico che è stato
soprattutto il leader della destra del Pci. Un
industriale che non ha fatto solo "Duetto" ma si
è duramente scontrato con gli operai e il
movimento sindacale - e un epigono di quell'ala
"migliorista" e amendoliana del Pci, che
anch'essa, in fondo, con i sindacati
(soprattutto quelli metalmeccanici) non ha mai
avuto un grande feeling (strategicamente
parlando, s'intende). Insomma, un padrone e un
"riformista": una specie di compromesso storico
di non elevatissimo profilo. Anzi, la
prefigurazione - per meglio dire la
rappresentazione - di una vera e propria idea di
società e di ordine sociale e politico: da un
lato la ricchezza, la buona famiglia, la
produzione, insomma il capitalismo, dall'altro
lato la sinistra che sa stare al suo posto e non
minaccia mai l'esistente. Consapevolmente o no,
Carlo Azeglio Ciampi ha così "scritto" il suo
programma di governo per la fase
postberlusconiana, quella che sarà guidata da
Romano Prodi e dall'Unione.
Un
pensiero "esagerato"? Chissà. Però, non veniteci
a dire che erano soltanto Pininfarina e
Napolitano le sole persone che avrebbero potuto
- legittimamente - aspirare allo scranno di
palazzo Madama. Intanto, le donne continuano ad
essere discriminate da questi onori, proprio
come se fosse una colpa esser nata femmina e
aver onorato la patria con una vita densa di
scelte e impegno civile: una donna come Lidia
Menapace aveva (ed ha) forse meno titoli di
chiunque? Oppure, per restare in campo maschile,
un partigiano come Giovanni Pesce non avrebbe
rappresentato valori preziosi per tutti, non
solo per i comunisti vecchi e giovani nelle cui
fila continua a militare? Oppure ancora: una
figura prestigiosa come quella di Vittorio Foa,
che sintetizza nella sua lunga vita
l'antifascismo, la militanza sindacale, la
sinistra massimalista e quella moderata, la
capacità di riflettere e di fare, non avrebbe
"meritato" quanto e più del rispettabile Lord
Carrington italiano? Sono solo alcuni dei nomi
che ci vengono in mente - molti altri se ne
potrebbero proporre, e sostenere con dovizia di
argomenti. Ma non è questione di persone: è,
appunto, questione anche di Weltanschaung, di
cultura politica, di concezione della società.
Perché mai un sindacalista, o una di quelle
figure che si sono sporcate le mani tutta la
vita con il lavoro e gli interessi dei
lavoratori, non è mai diventato senatore a vita?
E perché invece lo sono diventati gli Agnelli, i
Pininfarina, insomma i leader del capitalismo
italiano? Appunto, nascere bene (in una famiglia
"comme il faut") e fare l'imprenditore è
condicio "sine qua non" per passare quella porta
- piove sul bagnato, si diceva una volta.
In
parallelo, sembra proprio che un'altra
condizione "impediente" sia quella di esser
stati - o magari di essere ancora - un politico
di sinistra. Non ce ne voglia Giorgio
Napolitano: ma in tutta franchezza bisogna dire
che il riconoscimento che si è guadagnato ha un
carattere esplicitamente "peloso". Basti
scorrere i giornali di ieri: di lui quel che si
apprezza davvero non è il passato di sinistra,
ma l'esatto contrario. Il suo esser stato, pare
fin da giovane, un comunista moderatissimo,
vocato alle istituzioni molto più che al
partito, diplomatico reso ancor più raffinato
dalla precoce calvizie, ammiratore precoce del
revisionismo e delle socialdemocrazie europee.
Dicono queste verità, i media, e però le
mischiano con palesi falsificazioni del passato
e di quella grande realtà che è stato il Pci: si
inventano cioè un Giorgio Napolitano che sarebbe
stato, nientemeno, che un coraggioso
"anticonformista", uno scomodo eretico, un
coraggioso oppositore di tutto ciò (il molto)
che non andava. A noi pare di ricordare (forse
ci sbagliamo) che, come dirigente del Pci e
"delfino" di Amendola, Giorgio Napolitano sia
sempre stato, nel Pci, a suo pieno agio e,
soprattutto, in maggioranza: l'opposto, per
intenderci, di Pietro Ingrao, un comunista che
ha avuto il torto di proporre grandi
innovazioni, appunto, da sinistra, senza
rinunciare mai alle ragioni che ne motivano
l'esistenza, le idealità, i percorsi. In
effetti, mentre con Ingrao e con gli "ingraiani"
l'establishment è sempre stato assai parco di
riconoscimenti istituzionali, la carriera
politica di Napolitano è stata sempre lineare e
sempre in ascesa - ai vertici del partito prima,
in parlamento poi soprattutto, alla presidenza
della Camera (a spese di un altro scomodo come
Stefano Rodotà), infine alla responsabilità del
ministero dell'Interno. Tutti compiti svolti con
rigore democratico, certo, e grandi risultati
politici, come sarà d'ora in poi il suo ruolo di
senatore. Non è la persona di Giorgio Napolitano
che ci permettiamo di mettere in discussione: è
solo quest'idea, singolare se non bizzarra, che
lui rappresenti la sinistra italiana.
Liberazione domenica 25 Settembre 2005
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