27 gennaio 2005
Padrone e riformista, questa coppia non ci piace
fonte: Liberazione - segnalazione di Alfonso Grillo

 

 

Il padrone e il "riformista". Questa coppia non ci piace

Senatori a vita

Rina Gagliardi I due senatori a vita nominati ieri dal presidente Ciampi - Giorgio Napolitano e Sergio Pininfarina - sono certo due rispettabili persone, con una vita di lavoro e di impegno alle loro spalle. E tuttavia ci permettiamo di non unirci al coro di applausi "bipartisan" che ha accompagnato una scelta che non solo non ci piace, ma un po' perfino ci scandalizza. Scusateci se non abbiamo perso la capacità di indignarci anche su vicende, come questa, che sono a loro modo "minori", ma sono pur dotate di un elevato significato simbolico. Dunque, il capo dello Stato ha deciso di premiare con una delle massime onorificenze della Repubblica una "strana coppia" - quasi una coppia di fatto. Un imprenditore che è stato capo della Confindustria e un politico che è stato soprattutto il leader della destra del Pci. Un industriale che non ha fatto solo "Duetto" ma si è duramente scontrato con gli operai e il movimento sindacale - e un epigono di quell'ala "migliorista" e amendoliana del Pci, che anch'essa, in fondo, con i sindacati (soprattutto quelli metalmeccanici) non ha mai avuto un grande feeling (strategicamente parlando, s'intende). Insomma, un padrone e un "riformista": una specie di compromesso storico di non elevatissimo profilo. Anzi, la prefigurazione - per meglio dire la rappresentazione - di una vera e propria idea di società e di ordine sociale e politico: da un lato la ricchezza, la buona famiglia, la produzione, insomma il capitalismo, dall'altro lato la sinistra che sa stare al suo posto e non minaccia mai l'esistente. Consapevolmente o no, Carlo Azeglio Ciampi ha così "scritto" il suo programma di governo per la fase postberlusconiana, quella che sarà guidata da Romano Prodi e dall'Unione.

Un pensiero "esagerato"? Chissà. Però, non veniteci a dire che erano soltanto Pininfarina e Napolitano le sole persone che avrebbero potuto - legittimamente - aspirare allo scranno di palazzo Madama. Intanto, le donne continuano ad essere discriminate da questi onori, proprio come se fosse una colpa esser nata femmina e aver onorato la patria con una vita densa di scelte e impegno civile: una donna come Lidia Menapace aveva (ed ha) forse meno titoli di chiunque? Oppure, per restare in campo maschile, un partigiano come Giovanni Pesce non avrebbe rappresentato valori preziosi per tutti, non solo per i comunisti vecchi e giovani nelle cui fila continua a militare? Oppure ancora: una figura prestigiosa come quella di Vittorio Foa, che sintetizza nella sua lunga vita l'antifascismo, la militanza sindacale, la sinistra massimalista e quella moderata, la capacità di riflettere e di fare, non avrebbe "meritato" quanto e più del rispettabile Lord Carrington italiano? Sono solo alcuni dei nomi che ci vengono in mente - molti altri se ne potrebbero proporre, e sostenere con dovizia di argomenti. Ma non è questione di persone: è, appunto, questione anche di Weltanschaung, di cultura politica, di concezione della società. Perché mai un sindacalista, o una di quelle figure che si sono sporcate le mani tutta la vita con il lavoro e gli interessi dei lavoratori, non è mai diventato senatore a vita? E perché invece lo sono diventati gli Agnelli, i Pininfarina, insomma i leader del capitalismo italiano? Appunto, nascere bene (in una famiglia "comme il faut") e fare l'imprenditore è condicio "sine qua non" per passare quella porta - piove sul bagnato, si diceva una volta.

In parallelo, sembra proprio che un'altra condizione "impediente" sia quella di esser stati - o magari di essere ancora - un politico di sinistra. Non ce ne voglia Giorgio Napolitano: ma in tutta franchezza bisogna dire che il riconoscimento che si è guadagnato ha un carattere esplicitamente "peloso". Basti scorrere i giornali di ieri: di lui quel che si apprezza davvero non è il passato di sinistra, ma l'esatto contrario. Il suo esser stato, pare fin da giovane, un comunista moderatissimo, vocato alle istituzioni molto più che al partito, diplomatico reso ancor più raffinato dalla precoce calvizie, ammiratore precoce del revisionismo e delle socialdemocrazie europee. Dicono queste verità, i media, e però le mischiano con palesi falsificazioni del passato e di quella grande realtà che è stato il Pci: si inventano cioè un Giorgio Napolitano che sarebbe stato, nientemeno, che un coraggioso "anticonformista", uno scomodo eretico, un coraggioso oppositore di tutto ciò (il molto) che non andava. A noi pare di ricordare (forse ci sbagliamo) che, come dirigente del Pci e "delfino" di Amendola, Giorgio Napolitano sia sempre stato, nel Pci, a suo pieno agio e, soprattutto, in maggioranza: l'opposto, per intenderci, di Pietro Ingrao, un comunista che ha avuto il torto di proporre grandi innovazioni, appunto, da sinistra, senza rinunciare mai alle ragioni che ne motivano l'esistenza, le idealità, i percorsi. In effetti, mentre con Ingrao e con gli "ingraiani" l'establishment è sempre stato assai parco di riconoscimenti istituzionali, la carriera politica di Napolitano è stata sempre lineare e sempre in ascesa - ai vertici del partito prima, in parlamento poi soprattutto, alla presidenza della Camera (a spese di un altro scomodo come Stefano Rodotà), infine alla responsabilità del ministero dell'Interno. Tutti compiti svolti con rigore democratico, certo, e grandi risultati politici, come sarà d'ora in poi il suo ruolo di senatore. Non è la persona di Giorgio Napolitano che ci permettiamo di mettere in discussione: è solo quest'idea, singolare se non bizzarra, che lui rappresenti la sinistra italiana.

Liberazione domenica 25 Settembre 2005

 

 

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