C’è da credere che, per la complessità della
materia, buona parte di quelli che andranno a
votare esprimeranno la propria preferenza in
maniera conforme agli orientamenti dei propri
schieramenti politici. Pochi fortunati
esprimeranno il proprio consenso (SI) o dissenso
(NO) perchè avranno compreso tutto il
significato delle domande su cui sono stati
chiamati ad esprimersi.
Quello che segue è un tentativo di fare quattro
passi nei referendum, in punta di piedi, senza
pretese e cogliendone gli elementi essenziali.
Non è privilegiata alcuna posizione per il
doveroso rispetto della libertà di
autodeterminazione dell’elettore. Data l’aridità
dell’argomento ho diviso il lavoro in due parti.
Se alla fine di questo percorso chi legge avrà
qualche idea più chiara, significa che lo sforzo
sarà valso l’impegno profuso.
Lo
strumento legislativo che useremo il 12 e 13
giugno è quindi il Referendum abrogativo,
previsto dall’art.75 della nostra Costituzione.
Il Referendum può essere richiesto da 500.000
elettori o da 5 Consigli regionali ed è
finalizzato a deliberare l’abrogazione parziale
o totale di una legge. Questa volta oggetto del
referendum sono alcuni articoli della Legge 19
febbraio 2004 n.40, avente ad oggetto “Norme in
materia di procreazione medicalmente assistita”
Con questa legge il legislatore si propone di
risolvere i problemi riproduttivi di molte
coppie - derivanti dalla sterilità o dalla
infertilità - ricorrendo alla procreazione
medica assistita. (PMA) Ma cos’è la PMA
(Procreazione Medica Assistita)? E’ la creazione
di un embrione, cioè del primo stadio di
sviluppo dopo la fecondazione dell’uovo, fuori
dell’utero materno. Ovulo materno e seme paterno
– quando non è possibile l’incontro per vie
naturali - vengono fatti incontrare
artificialmente in laboratorio e successivamente
l’embrione così formato viene impiantato
nell’utero della donna. Ha inizio la gravidanza.
Possono accedere alla PMA, che si pratica solo
in strutture pubbliche o private autorizzate
dalle regioni, le coppie maggiorenni di sesso
diverso, coniugate o conviventi,in età
potenzialmente fertile ed entrambi viventi.
Una scheda celeste ci proporrà il primo quesito
e ci chiederà se si vogliono abrogare alcune
parti della legge sopra indicata, riportate
negli articoli 12, 13 e 14. Da una lettura di
tali articoli si rileva che è vietata
espressamente la clonazione umana, la
possibilità cioè di creare un individuo
geneticamente identico ad un altro. Il
legislatore,infatti, facendosi interprete della
coscienza collettiva, ha respinto l’idea che si
possa ottenere con artifizi scientifici la
nascita di un essere umano discendente da
un’unica cellula di partenza e quindi
eventualmente identico,quanto al patrimonio
genetico,ad un altro essere umano in vita o
morto. Al divieto è connessa la pena della
reclusione da 10 a 20 anni.
I
fautori del NO chiedono che questo divieto di
clonazione resti, così come previsto dal testo
normativo, per evitare appunto che tramite
sofisticate tecniche di laboratorio si possa far
nascere individui con lo stesso patrimonio
genetico di un altro.
I
fautori del SI chiedono che il divieto sia
abolito, perchè con la norma si vieta non solo
la clonazione umana,da loro condivisa, ma anche
la clonazione terapeutica, che consiste in un
articolato processo di produzione di cellule
staminali, cioè di quelle cellule che hanno lo
stesso patrimonio genetico della cellula adulta
da cui è stato prelevato il nucleo e che hanno
la possibilità di riparare organi danneggiati
rimpiazzando cellule morte o non più
funzionanti. Secondo i fautori del SI i
meccanismi biologici che regolano le cellule
staminali potrebbero consentire nuove strategie
terapeutiche per il trattamento dei tumori, del
diabete, dell’Alzhaimer, del Parkinson ed altre
gravi malattie.
La
stessa legge (40/2004) vieta poi qualunque
sperimentazione sull’embrione umano se le
finalità non sono in grado di tutelare la salute
e lo sviluppo dell’embrione.
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I
fautori del SI rilevano che con un tale
divieto si esclude che prima
dell’impianto nell’utero femminile
(stiamo parlando infatti di Procreazione
Medica Assistita) si possa diagnosticare
una malattia genetica o cromosomica
presente nell’embrione, come le
patologie ereditarie. |
Eliminando tale divieto ed ammettendo quindi la
diagnosi genetica, ritengono che si ridurrà il
ricorso alla successiva interruzione di
gravidanza (aborto) quando l’embrione sarà in
una fase più avanzata. I fautori del NO
ritengono invece che l’analisi dell’embrione
prima dell’impianto nell’utero ha un’alta
possibilità di distruggere le cellule che lo
compongono e ciò non si concilia con la tutela
dovuta all’embrione, che rappresenta già un
progetto di vita.
Il
secondo quesito - scheda arancione - riguarda le
ipotesi per la coppia di ricorrere alla
Procreazione Medica Assistita (PMA.) ed un primo
limite è quello della accertata sterilità o
infertilità documentate da un atto del medico. I
fautori del SI ritengono che un tale preliminare
obbligo di accertamento e certificazione, per
accedere alla PMA, è contrario alla libertà di
scelta terapeutica della coppia e del medico.
Aver limitato l’accesso alla PMA, poi, solo alle
coppie sterili o infertili esclude quelle coppie
fertili che sono consapevoli di essere affette
da patologie trasmissibili, coppie che saranno
costrette quindi a correre il rischio di
concepire un bambino già malato. I fautori del
SI chiedono quindi che possano ricorrere alla
PMA anche le coppie fertili ma affette da
malattie geneticamente trasmissibili.
L’ammissione di questa tipologia di coppie,
dicono, unita alla possibilità della diagnosi
genetica dell’embrione prima dell’impianto
(richiesta nel primo quesito referendario)
consentirebbe di far esaminare il loro embrione
prodotto in laboratorio evitandone l’impianto
nell’utero se dovesse risultare malato per
avvenuta trasmissione della malattia dei
genitori.
Sempre secondo il testo di legge, il ricorso
alla PMA è permesso solo quando sia accertata
l’impossibilità di rimuovere altrimenti gli
ostacoli alla procreazione, cioè se non vi sono
altri rimedi terapeutici efficaci. I fautori del
SI ritengono che tale esclusione limita
l’autonomia decisionale dell’individuo in tema
di cure mediche, come analogo limite sarebbe
posto dall’obbligo di applicare le tecniche
della PMA con gradualità, vincolo questo poco
compatibile con le opzioni terapeutiche
individualizzate (una coppia di 40enni, ad
esempio, non può permettersi di rimandare il
ricorso alla PMA dopo aver sperimentato altri
tipi di opzioni terapeutiche).
La
coppia che è stata ammessa alle tecniche di PMA
e che ha dato per iscritto il consenso informato
(cioè è consapevole del percorso terapeutico da
fare) secondo il legislatore può revocare tale
volontà “fino al momento della fecondazione
dell’ovulo”. I fautori del NO giustificano tale
limite con il fatto che con la fecondazione ha
inizio una vita, che ha il diritto di essere
tutelata. E’ da evidenziare però – ed è una
contraddizione rispetto al perseguito principio
del rispetto della vita dell’embrione - che per
la coppia che ci ripensa non è prevista alcuna
sanzione.
Secondo i fautori del SI tale limite temporale
non è compatibile con il diritto di
autodeterminazione e la coppia deve poter
rivedere il proprio assenso all’intervento
medico in ogni momento. E’ stato previsto poi,
secondo l’attuale evoluzione tecnico
scientifica, che gli embrioni da impiantare non
debbano essere superiori a quelli strettamente
necessari ad un unico e contemporaneo impianto e
comunque non possono essere superiori a tre. I
promotori del referendum ritengono che non si
possa stabilire un numero predeterminato perchè
il successo dell’impianto, e quindi della
gravidanza, varia da donna a donna e da età ad
età. E’ possibile, dicono, che tre siano pochi
per una donna quarantenne e che invece
determinino un parto plurigemellare in una molto
più giovane. Meglio, dicono, lasciare la
capacità decisionale ai medici.
La
norma ha previsto infine la possibilità che il
trasferimento nell’utero degli embrioni possa
essere rinviato solo per documentati motivi
attinenti lo stato di salute della donna. In tal
caso è autorizzata la crioconservazione
provvisoria degli embrioni (conservazione degli
embrioni in azoto liquido a bassissima
temperatura) fino alla data del trasferimento in
utero, che deve avvenire comunque appena
possibile. I fautori del SI rilevano che è
mancata la previsione di altre ipotesi. Se la
donna, ad esempio, non si presenta per altri
motivi (incidente, ripensamento,altre causa di
forza maggiore) la crioconservazione non è
ammessa ed in tal caso il medico non saprebbe
cosa fare dei tre embrioni disponibili, perchè
non li può né distruggere né crioconservare. E’
questo uno dei punti più delicati lasciati in
sospeso dal legislatore perché nessuno sa a chi
appartengono questi embrioni e che cosa si dovrà
fare di essi qualora la donna non si presenti,
sapendo tra l’altro che non rischia alcuna
sanzione. La coppia potrebbe essere invitata a
riprendere gli embrioni entro un termine
stabilito, decorso il quale sarebbe considerata
rinunciataria. Gli embrioni potrebbero essere
donati a coppie volontarie che vogliono un
figlio e non possono averlo. Questa procedura
sarebbe un caso di fecondazione eterologa, che
però è vietata dalla legge. Ma qui, come
vedremo, siamo già nel quarto quesito
referendario.
(fine parte prima - la parte seconda esce sabato
4 giugno) |