31 maggio 2005
Quattro passi nei referendum
Aldo Maturo

 

 

Mancano circa dieci giorni alle operazioni di voto dei quattro referendum popolari e per quanto ci si sforzi di leggere i giornali o di ascoltare i dibattiti televisivi, abbiamo tutti le idee molto confuse sull’impegno elettorale cui siamo chiamati a partecipare. I quesiti riportati sulle schede che ci saranno consegnate sono formulati con una terminologia incomprensibile alla maggioranza degli elettori ed hanno risvolti medici, etici, giuridici e scientifici talmente approfonditi che la prima idea che ci viene in mente è quella di rimuovere questo ulteriore pensiero e rinunciare a capire.

Delegare la soluzione del problema a chi ci ha imbarcato in questa avventura è uno dei modi per accogliere l’invito di quanti suggeriscono di andare a spasso in quei due giorni. Accogliere un tale invito significa anche condividere la posizione degli “astensionisti” che si fonda sulla considerazione che non si può decidere con un SI o con un NO un tema importantissimo come quello della vita umana. E’ anche vero però che rinunciare ad andare a votare significa vanificare uno degli strumenti politici più validi di uno Stato democratico: la possibilità per tutti di capire,di giudicare e di esprimersi liberamente su materie importanti per milioni di italiani.

Se prevalessero gli astensionisti – per esempio un elettore su due non andasse a votare - non si raggiungerebbe il quorum e i quesiti proposti con i referendum sarebbero considerati respinti. La proposta soggetta a referendum,infatti, è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto (50%+1) e se ha raggiunto la maggioranza dei voti validamente espressi. In assenza di tali condizioni la legge oggetto di referendum resta così come era, salvo interventi correttivi del Parlamento.
 

C’è da credere che, per la complessità della materia, buona parte di quelli che andranno a votare esprimeranno la propria preferenza in maniera conforme agli orientamenti dei propri schieramenti politici. Pochi fortunati esprimeranno il proprio consenso (SI) o dissenso (NO) perchè avranno compreso tutto il significato delle domande su cui sono stati chiamati ad esprimersi.

Quello che segue è un tentativo di fare quattro passi nei referendum, in punta di piedi, senza pretese e cogliendone gli elementi essenziali. Non è privilegiata alcuna posizione per il doveroso rispetto della libertà di autodeterminazione dell’elettore. Data l’aridità dell’argomento ho diviso il lavoro in due parti. Se alla fine di questo percorso chi legge avrà qualche idea più chiara, significa che lo sforzo sarà valso l’impegno profuso.

Lo strumento legislativo che useremo il 12 e 13 giugno è quindi il Referendum abrogativo, previsto dall’art.75 della nostra Costituzione. Il Referendum può essere richiesto da 500.000 elettori o da 5 Consigli regionali ed è finalizzato a deliberare l’abrogazione parziale o totale di una legge. Questa volta oggetto del referendum sono alcuni articoli della Legge 19 febbraio 2004 n.40, avente ad oggetto “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”

Con questa legge il legislatore si propone di risolvere i problemi riproduttivi di molte coppie - derivanti dalla sterilità o dalla infertilità - ricorrendo alla procreazione medica assistita. (PMA) Ma cos’è la PMA (Procreazione Medica Assistita)? E’ la creazione di un embrione, cioè del primo stadio di sviluppo dopo la fecondazione dell’uovo, fuori dell’utero materno. Ovulo materno e seme paterno – quando non è possibile l’incontro per vie naturali - vengono fatti incontrare artificialmente in laboratorio e successivamente l’embrione così formato viene impiantato nell’utero della donna. Ha inizio la gravidanza. Possono accedere alla PMA, che si pratica solo in strutture pubbliche o private autorizzate dalle regioni, le coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi,in età potenzialmente fertile ed entrambi viventi.

Una scheda celeste ci proporrà il primo quesito e ci chiederà se si vogliono abrogare alcune parti della legge sopra indicata, riportate negli articoli 12, 13 e 14. Da una lettura di tali articoli si rileva che è vietata espressamente la clonazione umana, la possibilità cioè di creare un individuo geneticamente identico ad un altro. Il legislatore,infatti, facendosi interprete della coscienza collettiva, ha respinto l’idea che si possa ottenere con artifizi scientifici la nascita di un essere umano discendente da un’unica cellula di partenza e quindi eventualmente identico,quanto al patrimonio genetico,ad un altro essere umano in vita o morto. Al divieto è connessa la pena della reclusione da 10 a 20 anni.

I fautori del NO chiedono che questo divieto di clonazione resti, così come previsto dal testo normativo, per evitare appunto che tramite sofisticate tecniche di laboratorio si possa far nascere individui con lo stesso patrimonio genetico di un altro.

I fautori del SI chiedono che il divieto sia abolito, perchè con la norma si vieta non solo la clonazione umana,da loro condivisa, ma anche la clonazione terapeutica, che consiste in un articolato processo di produzione di cellule staminali, cioè di quelle cellule che hanno lo stesso patrimonio genetico della cellula adulta da cui è stato prelevato il nucleo e che hanno la possibilità di riparare organi danneggiati rimpiazzando cellule morte o non più funzionanti. Secondo i fautori del SI i meccanismi biologici che regolano le cellule staminali potrebbero consentire nuove strategie terapeutiche per il trattamento dei tumori, del diabete, dell’Alzhaimer, del Parkinson ed altre gravi malattie.

 

La stessa legge (40/2004) vieta poi qualunque sperimentazione sull’embrione umano se le finalità non sono in grado di tutelare la salute e lo sviluppo dell’embrione.

 I fautori del SI rilevano che con un tale divieto si esclude che prima dell’impianto nell’utero femminile (stiamo parlando infatti di Procreazione Medica Assistita) si possa diagnosticare una malattia genetica o cromosomica presente nell’embrione, come le patologie ereditarie.

Eliminando tale divieto ed ammettendo quindi la diagnosi genetica, ritengono che si ridurrà il ricorso alla successiva interruzione di gravidanza (aborto) quando l’embrione sarà in una fase più avanzata. I fautori del NO ritengono invece che l’analisi dell’embrione prima dell’impianto nell’utero ha un’alta possibilità di distruggere le cellule che lo compongono e ciò non si concilia con la tutela dovuta all’embrione, che rappresenta già un progetto di vita.

Il secondo quesito - scheda arancione - riguarda le ipotesi per la coppia di ricorrere alla Procreazione Medica Assistita (PMA.) ed un primo limite è quello della accertata sterilità o infertilità documentate da un atto del medico. I fautori del SI ritengono che un tale preliminare obbligo di accertamento e certificazione, per accedere alla PMA, è contrario alla libertà di scelta terapeutica della coppia e del medico. Aver limitato l’accesso alla PMA, poi, solo alle coppie sterili o infertili esclude quelle coppie fertili che sono consapevoli di essere affette da patologie trasmissibili, coppie che saranno costrette quindi a correre il rischio di concepire un bambino già malato. I fautori del SI chiedono quindi che possano ricorrere alla PMA anche le coppie fertili ma affette da malattie geneticamente trasmissibili. L’ammissione di questa tipologia di coppie, dicono, unita alla possibilità della diagnosi genetica dell’embrione prima dell’impianto (richiesta nel primo quesito referendario) consentirebbe di far esaminare il loro embrione prodotto in laboratorio evitandone l’impianto nell’utero se dovesse risultare malato per avvenuta trasmissione della malattia dei genitori.

Sempre secondo il testo di legge, il ricorso alla PMA è permesso solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti gli ostacoli alla procreazione, cioè se non vi sono altri rimedi terapeutici efficaci. I fautori del SI ritengono che tale esclusione limita l’autonomia decisionale dell’individuo in tema di cure mediche, come analogo limite sarebbe posto dall’obbligo di applicare le tecniche della PMA con gradualità, vincolo questo poco compatibile con le opzioni terapeutiche individualizzate (una coppia di 40enni, ad esempio, non può permettersi di rimandare il ricorso alla PMA dopo aver sperimentato altri tipi di opzioni terapeutiche).

La coppia che è stata ammessa alle tecniche di PMA e che ha dato per iscritto il consenso informato (cioè è consapevole del percorso terapeutico da fare) secondo il legislatore può revocare tale volontà “fino al momento della fecondazione dell’ovulo”. I fautori del NO giustificano tale limite con il fatto che con la fecondazione ha inizio una vita, che ha il diritto di essere tutelata. E’ da evidenziare però – ed è una contraddizione rispetto al perseguito principio del rispetto della vita dell’embrione - che per la coppia che ci ripensa non è prevista alcuna sanzione.

Secondo i fautori del SI tale limite temporale non è compatibile con il diritto di autodeterminazione e la coppia deve poter rivedere il proprio assenso all’intervento medico in ogni momento. E’ stato previsto poi, secondo l’attuale evoluzione tecnico scientifica, che gli embrioni da impiantare non debbano essere superiori a quelli strettamente necessari ad un unico e contemporaneo impianto e comunque non possono essere superiori a tre. I promotori del referendum ritengono che non si possa stabilire un numero predeterminato perchè il successo dell’impianto, e quindi della gravidanza, varia da donna a donna e da età ad età. E’ possibile, dicono, che tre siano pochi per una donna quarantenne e che invece determinino un parto plurigemellare in una molto più giovane. Meglio, dicono, lasciare la capacità decisionale ai medici.

La norma ha previsto infine la possibilità che il trasferimento nell’utero degli embrioni possa essere rinviato solo per documentati motivi attinenti lo stato di salute della donna. In tal caso è autorizzata la crioconservazione provvisoria degli embrioni (conservazione degli embrioni in azoto liquido a bassissima temperatura) fino alla data del trasferimento in utero, che deve avvenire comunque appena possibile. I fautori del SI rilevano che è mancata la previsione di altre ipotesi. Se la donna, ad esempio, non si presenta per altri motivi (incidente, ripensamento,altre causa di forza maggiore) la crioconservazione non è ammessa ed in tal caso il medico non saprebbe cosa fare dei tre embrioni disponibili, perchè non li può né distruggere né crioconservare. E’ questo uno dei punti più delicati lasciati in sospeso dal legislatore perché nessuno sa a chi appartengono questi embrioni e che cosa si dovrà fare di essi qualora la donna non si presenti, sapendo tra l’altro che non rischia alcuna sanzione. La coppia potrebbe essere invitata a riprendere gli embrioni entro un termine stabilito, decorso il quale sarebbe considerata rinunciataria. Gli embrioni potrebbero essere donati a coppie volontarie che vogliono un figlio e non possono averlo. Questa procedura sarebbe un caso di fecondazione eterologa, che però è vietata dalla legge. Ma qui, come vedremo, siamo già nel quarto quesito referendario.

(fine parte prima - la parte seconda esce sabato 4 giugno)


     

Riflessioni di Aldo Maturo


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