12 febbraio 2005
L'ecomafia dei rifiuti in Italia
da ZonaNucleare.com

 

fonte:http://www.zonanucleare.com/dossier_italia/ecomafia_rifiuti.htm

 

Ecco le modalità tipiche delle organizzazioni mafiose: i camion carichi di rifiuti giungono, nelle ore notturne, in corrispondenza di buche che, dopo essere state riempite, vengono immediatamente coperte. I fanghi di depurazione e i rifiuti industriali liquidi, formalmente destinati a inesistenti impianti di depurazione e riciclaggio, sono più spesso sversati direttamente nel territorio.

Accanto all’incontrollato diffondersi di velenose ferite inferte al suolo si moltiplicano anche gli episodi di inquinamento delle acque marine. Si tratta in genere di vere e proprie "carrette" dei mari, coperte da premi di assicurazione per incidenti di questo tipo, che consentono all’organizzazione mafiosa di realizzare un evidente duplice affare! Al largo della costa salernitana sono state rinvenute, invece, le più tradizionali discariche marine, determinate dallo scaricamento in mare del pericoloso contenuto delle stive, come testimoniano i rifiuti che più volte restano impigliati nelle reti utilizzate per la pesca a strascico.

Ogni anno in Italia, su un volume complessivo di 108mila tonnellate di rifiuti, 35mila vengono smaltite attraverso modalità non corrette o del tutto illecite dalle organizzazioni criminali, come Cosa Nostra in Sicilia, la 'Ndrangheta in Calabria, la Sacra Corona Unita in Puglia o la Camorra napoletana, incaricate della raccolta, lo stoccaggio e il riciclaggio. In base al "Documento sui traffici illeciti e le ecomafie", approvato dalla Commissione parlamentare nell’ottobre del 2000, e ad alcune inchieste in corso presso le Procure di Asti e Roma, emergono alcuni particolari inquietanti: la maggior parte dei rifiuti tossici provenienti dall’Italia finirebbe in Somalia. Alcuni testimoni, sentiti dai magistrati nel corso delle inchieste, hanno dichiarato che la cosiddetta "strada dei pozzi" — nota a tutti in Somalia come "strada della cooperazione italiana" — è una strada che non va e non viene da nessuna parte, poiché unisce tre gigantesche discariche abusive. Gli stessi testimoni narrano di lavori di interramento di rifiuti tossici compiuti da operai italiani muniti di apposite tute, ma più spesso affidati a manodopera locale del tutto ignara dei gravi rischi per la salute. Altro luogo "eletto" allo smaltimento illecito dei rifiuti sembra essere il Mozambico, vera e propria discarica mondiale. Secondo un’inchiesta della Direzione distrettuale Antimafia di Milano, in questo Paese opera dal 1996 una società (filiale mozambicana di un gruppo argentino) specializzata nell’installazione di impianti per lo smaltimento di rifiuti di ogni genere. L’impresa ha ottenuto tutte le necessarie autorizzazioni per importare rifiuti da ogni parte del mondo; il problema (documentato) è che non esiste nessun impianto e migliaia di tonnellate di pattumiere di ogni tipo, provenienti da tutti i continenti, giacciono in una enorme discarica a cielo aperto. Le connivenze delle autorità mozambicane sono evidenti. 

Ed è ormai quasi fuor di dubbio il perchè della morte della giornalista Rai Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin avvenute in Somalia durante la missione ONU “Restore Hope” nel 1994, sebbene l' autorità giudiziaria ad oggi non ha ancora accertato chi furono i mandanti del duplice omicidio. Secondo l’avvocato di Giorgio e Luciana Alpi, gli inquirenti dovrebbero accertare che l’omicidio di Ilaria Alpi non sia stato proprio un omicidio “di Stato”. Infatti Ilaria Alpi stava da mesi indagando su un presunto traffico di armi e rifiuti tossici (soprattutto scorie nucleari) tra Italia e Somalia. Un traffico di interesse strategico per una nazione che ha bisogno di terreno per insabbiare rifiuti e l’altra (perennemente in guerra civile) che vuole essere pagata soprattutto con armi. Ilaria Alpi aveva lasciato molte tracce in questa direzione, ma non sono mai state seguite. Se non da uno dei tre magistrati che ha preso in mano l’inchiesta: Giuseppe Pititto, il quale, nel ‘97, con una motivazione pretestuosa, è stato esonerato dall’incarico.

Ma restando in Italia, è in Campania il «triangolo della monnezza», tra Qualiano, Giugliano e Villaricca: qui, a 25 chilometri da Napoli, comincia l' area che nel piano regolatore della camorra è stata assegnata alla sepoltura illecita dei rifiuti. E' una zona ampia, divisa tra i clan che controllano il Napoletano e il gruppo dei Casalesi. Qui la ricchezza ha cambiato fonte. Una volta il fatturato veniva dagli ortaggi, dalle primizie, dalla falanghina, dal turismo. Oggi viene dalla diossina, dai metalli pesanti, dai fenoli, dai pcb. Secondo il Rapporto Ecomafia 2003 della Legambiente, la gestione dei rifiuti pericolosi in Italia frutta 2 miliardi e mezzo di euro all' anno. E basta girare una giornata nelle stradine che portano alle discariche, nella zona che va dal Napoletano a Casal de Principi, per capire che una parte significativa di questi proventi viene dalla Campania: lo segnala l' abbondanza dei camion accompagnati dalle Mercedes e l' assenza delle auto della polizia e dei carabinieri. Chi è della zona sa quando può passare e quando è meglio tirare dritto facendo finta di niente: è più salutare distrarsi mentre i Tir si fermano per scaricare una parte dei 6,7 milioni di tonnellate di rifiuti speciali che ogni anno spariscono nel nulla grazie al collaudato sistema del «giro di bolla», la contraffazione delle certificazioni di provenienza necessarie al trasporto.

Del resto i rifiuti costituiscono solo un segmento del ciclo di lavorazione della malavita organizzata. Qui la camorra prima ha guadagnato scavando illegalmente le cave. Poi riempiendo i buchi con i rifiuti pericolosi. Infine costruendoci sopra le case. La tragedia è che questo sistema illegale è l' unico che qui dà lavoro. Il prezzo da pagare per quest' economia clandestina è pesante. Secondo la Asl di Giugliano i decessi per malattie tumorali sono saliti dal 27, 5 per cento del 1994 al 31, 4 del 1996. E nell' agro aversano i tumori per i quali è stata chiesta l' esenzione dal ticket sono passati dai 131 casi del 1996 ai 560 del 1999. La chiusura dei conti con il passato è il nodo mai sciolto. Love Canal, la più famosa discarica degli Stati Uniti, quella che inquinava la cascate del Niagara, è stata bonificata grazie a lavori durati 21 anni e costati 400 milioni di dollari. In Campania invece il patto «nuovi impianti a regola in cambio della bonifica del pregresso» non è stato rispettato. Così l' inquinamento procede a strati, come in uno scavo archeologico: sotto i rifiuti tossici e forse radioattivi degli anni d' oro dell' ecomafia, sopra quelli degli scarichi abusivi più recenti, in cima gli ultimi rifiuti, quelli che godono di un bollo di ufficialità che si sta appannando. [3A]

Un po’ di storia recente fa capire esattamente cosa c’è in gioco dietro questa emergenza. La camorra ha sempre fatto la parte del leone nel settore rifiuti, con lo smaltimento illegale e con la compiacenza di tutte le autorità. Di fronte allo scoppio dell’emergenza del 1994, il governo pensò bene di creare dei commissari speciali preposti alla gestione del problema. Dapprima sono stati i prefetti a svolgere questo incarico e poi successivamente i presidenti delle regioni, che, data la qualifica di commissari speciali per l’emergenza, possono usare una legislazione che permette loro di scavalcare tutte le legislazioni di ogni ordine, emettendo ordinanze appunto speciali.

Primo presidente regionale ad essere commissario fu Antonio Rastrelli, di AN, che progetta un piano per la regione Campania nel quale si prevede di costruire in Campania cinque termovalorizzatori (o inceneritori o termodistruttori che dir si voglia): due per Napoli e Provincia e tre per le altre Province. Tuttavia non furono mai realizzati sia per la ferma opposizione della popolazione dei centri di prevista localizzazione dei siti sia perché la giunta non ebbe il tempo necessario poiché cadde l’anno seguente. Questo piano sarà riscritto più volte a causa dell’approvazione del Decreto Ronchi, dove cambiarono i parametri e i riferimenti normativi. Comunque l’ultima versione della proposta Rastrelli prevedeva sette impianti di stoccaggio (dove i rifiuti sono trasformati in compost e quindi in combustibile) e due termovalorizzatori di elevata potenza.

Così si effettua la gara di appalto, alquanto singolare: il commissario speciale non propone nessuna zona dove costruire gli impianti, ma lascia la scelta alle aziende che vinceranno la gara, col solo obbligo di costruirlo in zona ASI (area sviluppo industriale, cioè la zona a cavallo fra le province di Napoli e Caserta in questo caso) e senza alcun controllo di alcuna istituzione. Di fronte a tale prospettiva semplicemente incredibile anche la Commissione Europea ha denunciato l’Italia per non osservanza delle norme riguardanti la valutazione dell’impatto ambientale. Nonostante ciò la regione Campania procedette all’assegnazione degli appalti (nel frattempo l’Udeur aveva fatto cadere la giunta Rastrelli).

Vince l’appalto la FIBE, consorzio imprenditoriale capeggiato dall’Impregilo di Cesare Romiti, vittoria ottenuta grazie a prezzi più bassi e macchinari più vecchi, la FIBE individua come siti in cui costruire termovalorizzatori Acerra e Battipaglia, che in seguito alla sua dichiarazione di zona prevalentemente agricola e alle pressioni delle varie confraternite diessine della zona, viene sostituita con Santa Maria la Fossa, centro agricolo della piana del Volturno e in provincia di Caserta.

Bassolino vince le elezioni regionali con un programma nel quale si diceva chiaramente di revocare il commissariamento straordinario e l’opposizione a qualsiasi inceneritore. Ma, dopo le elezioni, prevale la scelta della continuità amministrativa: Antonio Bassolino è il nuovo commissario ai rifiuti e procede con il progetto degli inceneritori. Cominciano le proteste ad Acerra, dove si costituisce un Comitato contro l’inceneritore; mentre Bassolino commissiona lo studio del territorio alla SOGIN (sì, la stessa di Scanzano Ionico). Serrate cittadine, occupazioni del territorio, scioperi si susseguono, ma ad oggi la situazione è lungi dall’essere risolta.

Le proteste si estendono anche e soprattutto nelle zone dove ci sono le discariche. In Irpinia, nel Sannio, nell’Agro Aversano, dovunque ci sono mobilitazioni spontanee periodicamente contro la devastazione del territorio. Ma il grosso limite è il campanilismo, è la mancanza di seri coordinamenti territoriali che possano unificare la lotta, perché la camorra gioca un ruolo fondamentale in tutto questo. Nelle campagne della zona del Volturno ci sono discariche a cielo aperto del tutto abusive dove vengono gettati i rifiuti di molte industrie, anche del Nord, e nessuno dice niente. I sindaci si preoccupano solo di passarsi i sacchetti da sversare (l’esempio è lo scontro fra il sindaco di Aversa, della Cdl e l’ulivista primo cittadino di Marcianise). Ma dopo tanti sforzi fatti nel tentativo di tenere a bada la problematica dei rifiuti, il presidente della regione Bassolino si è visto obbligato alle dimissioni da Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania, invocando la nomina di un commissario governativo per risolvere la situazione. E così il Consiglio dei Ministri ha quindi nominato nel febbraio 2004 l’ex prefetto Corrado Catenacci (area FI) come nuovo Commissario per l’emergenza rifiuti.

Dunque il "progetto per un ciclo virtuoso" che avrebbe dovuto far tornare alla normalità la regione Campania che da dieci anni vive in emergenza, si basava su tre pilastri: - il primo è la bonifica delle discariche selvagge (che non c' è stata). - il secondo sono gli impianti da cui, attraverso la selezione dei rifiuti, doveva uscire il Combustibile Derivato dai Rifiuti (CDR), un materiale che, con involontaria ironia, è stato chiamato «ecoballe» - il terzo era la costruzione di inceneritori che, visto il quoziente di fiducia nelle istituzioni, continuano ad essere respinti a furor di popolo.

«La selezione non funziona: il cosiddetto cdr è in realtà molto simile al rifiuto tal quale», accusano Ruggiero e Del Giudice. «Il cdr risponde ai requisiti di legge», replica Armando Cattaneo, amministratore delegato della Fide Fisia, la società del gruppo Impregilo che ha vinto la gara per la gestione dei rifiuti in Campania. «In Campania si producono 7.300 tonnellate di rifiuti al giorno. Ne trasformiamo il 35 per cento in cdr. Il che significa che produciamo 1.900 balle al giorno. Basterebbe riuscire a costruire i termovalorizzatori per chiudere il cerchio e risolvere il problema». Non sono in molti a nutrire tanto ottimismo. Ad esempio il presidente della Commissione bicamerale rifiuti, Paolo Russo, ha ricavato un' immagine diversa da un' ispezione di tre giorni in Campania: «La qualità del cdr racchiuso nelle balle è un punto fondamentale. Parlando con i sindaci e con la gente del posto si sente sempre ripetere che si tratta sostanzialmente di rifiuto tal quale. Per l' Agenzia per la protezione ambientale della Campania invece è tutto in regola.

Ma, secondo l' Agenzia per la protezione ambientale di un' altra Regione, la situazione è irregolare. Ora se veramente avessimo accumulato e disseminato sul territorio un milione e 300 mila balle di rifiuti sarebbe un disastro nel disastro: questo materiale è stato trattato senza precauzioni particolari perché tutti erano convinti che fosse combustibile. E' un sospetto agghiacciante e per chiarire la questione ci siamo rivolti a un istituto internazionale di chiara fama. Ma resta il fatto che a Napoli, a Milano, a Palermo, il Comune gestisce i rifiuti nel suo territorio. Mentre in Campania ci sono territori di serie A, che producono i rifiuti, e territori di serie B, che li devono smaltire senza trarne benefici». Per risolvere il problema ci sarebbe anche un' altra soluzione, quella suggerita dagli ambientalisti e dall' Unione Europea: diminuire la quantità di rifiuti attraverso una raccolta differenziata molto efficiente. Il fatto che nella provincia di Nola siano arrivati a raccogliere in questo modo il 60 per cento dei rifiuti dimostra che la Campania sarebbe in grado di competere con le aree super ecologiste nel Nord Europa.

Ecco perchè è singolare l' emergenza rifiuti della Campania: - è stata pianificata con cura in modo da garantirsi che durerà per lo meno altri tre anni (tanto tempo ci vuole per costruire almeno un termovalorizzatore) - viene alimentata dal continuo arrivo di rifiuti provenienti dalle regioni settentrionali - collima perfettamente con l' allarme della magistratura sull' attivismo dell' ecomafia.

Enrico Fontana, responsabile dell' Osservatorio ambiente e legalità della Legambiente, ricostruisce la surreale vicenda campana come un meccanismo sapientemente montato per raggiungere lo scopo. Era già tutto previsto? «Se non era previsto era prevedibile. Partiamo dall' ultimo dato. La Campania si trova inondata di rifiuti perché tre impianti per la produzione del CDR (Combustibile Derivato dai Rifiuti) si sono dovuti fermare avendo saturato le aree di stoccaggio provvisorio per le ecoballe prodotte dagli impianti gestiti dalla Fisia-Italimpianti, l' azienda che ha vinto la gara e che avrebbe dovuto costruire anche i termovalorizzatori per bruciare successivamente le ecoballe». Ed è questo un punto: al momento non è stato ancora costruito nessuno dei 2 termovalorizzatori previsti in Campania e da qui l'immenso accumulo di ecoballe. Infatti, come detto, la costruzione dei termovalorizzatori è ancora bloccata dalle contestazioni locali e da ricorsi alla magistratura. Quanto spazio occorre per queste ecoballe, volendo usare una parola che sembra coniata da un umorista?

«Questo è il punto. Per la Campania servono due ettari al mese. E nella migliore delle ipotesi per costruire i termovalorizzatori occorreranno altri tre anni. Il che vuol dire che bisognerebbe trovare 72 ettari disponibili, l' equivalente di 72 campi di calcio. Bastava fare una semplicissima moltiplicazione per capire che lo stoccaggio provvisorio avrebbe rappresentato un serio problema. Non è stato fatto perché si continua a inseguire la soluzione super tecnologica invece di prestare attenzione all' approccio ecologico, che in questo caso suggerisce di ridurre i rifiuti attraverso una radicale raccolta differenziata».

Adesso per far posto alle ecoballe ci sono due soluzioni: o riaprire le vecchie discariche (un' emergenza all' interno dell' emergenza) oppure sperare nella "solidarietà" di altre regioni italiane. «Riaprire le vecchie discariche gestite allegramente negli anni Ottanta e oggetto di molte inchieste della magistratura è un paradosso». Ma esiste un' alternativa? «Esiste. Il primo è un' indagine a tappeto su cementifici, centrali elettriche e altri impianti in grado di bruciare da subito le ecoballe campane. Il secondo è l' uso dei poteri straordinari del commissario per imporre la raccolta differenziata secco umido. Lanciare questa raccolta significa sia ridurre i volumi totali in gioco semplificando il problema che migliorare la qualità del combustibile da rifiuti, oggi assai dubbia secondo lo stesso presidente della Commissione parlamentare d' inchiesta sul ciclo dei rifiuti».

In pratica si tratta di mettere in un sacchetto la parte organica della spazzatura, gli avanzi della cucina.. Chi ha interesse a non farlo? «Una risposta la offre la relazione del procuratore generale presso la Corte di appello Vincenzo Gargano all' inaugurazione dell' anno giudiziario 2003. Leggo il virgolettato: "Le indagini hanno evidenziato come l' emergenza rifiuti avrebbe spinto talune amministrazioni ad affidare i servizi di smaltimento dei rifiuti "senza regolari gare". Da tale situazione hanno tratto beneficio personaggi vicini ad organizzazioni criminali di tipo camorristico". La presa dell' ecomafia è ancora in crescita? «Ormai siamo alla camorra diffusa. Per togliere i rifiuti dalle strade, dove sono sotto gli occhi di tutti, e magari buttarli in un prato sopra una falda idrica ma lontano da sguardi indiscreti, si usano i camioncini della camorra».

 

 

    

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