Ecco le modalità tipiche delle organizzazioni
mafiose: i camion carichi di rifiuti giungono,
nelle ore notturne, in corrispondenza di buche
che, dopo essere state riempite, vengono
immediatamente coperte. I fanghi di depurazione
e i rifiuti industriali liquidi, formalmente
destinati a inesistenti impianti di depurazione
e riciclaggio, sono più spesso sversati
direttamente nel territorio.
Accanto all’incontrollato diffondersi di
velenose ferite inferte al suolo si moltiplicano
anche gli episodi di inquinamento delle acque
marine. Si tratta in genere di vere e proprie
"carrette" dei mari, coperte da premi di
assicurazione per incidenti di questo tipo, che
consentono all’organizzazione mafiosa di
realizzare un evidente duplice affare! Al largo
della costa salernitana sono state rinvenute,
invece, le più tradizionali discariche marine,
determinate dallo scaricamento in mare del
pericoloso contenuto delle stive, come
testimoniano i rifiuti che più volte restano
impigliati nelle reti utilizzate per la pesca a
strascico.
Ogni anno in Italia, su un volume complessivo di
108mila tonnellate di rifiuti, 35mila vengono
smaltite attraverso modalità non corrette o del
tutto illecite dalle organizzazioni criminali,
come Cosa Nostra in Sicilia, la 'Ndrangheta in
Calabria, la Sacra Corona Unita in Puglia o la
Camorra napoletana, incaricate della raccolta,
lo stoccaggio e il riciclaggio. In base al
"Documento sui traffici illeciti e le ecomafie",
approvato dalla Commissione parlamentare
nell’ottobre del 2000, e ad alcune inchieste in
corso presso le Procure di Asti e Roma, emergono
alcuni particolari inquietanti: la maggior parte
dei rifiuti tossici provenienti dall’Italia
finirebbe in Somalia. Alcuni testimoni, sentiti
dai magistrati nel corso delle inchieste, hanno
dichiarato che la cosiddetta "strada dei pozzi"
— nota a tutti in Somalia come "strada della
cooperazione italiana" — è una strada che non va
e non viene da nessuna parte, poiché unisce tre
gigantesche discariche abusive. Gli stessi
testimoni narrano di lavori di interramento di
rifiuti tossici compiuti da operai italiani
muniti di apposite tute, ma più spesso affidati
a manodopera locale del tutto ignara dei gravi
rischi per la salute. Altro luogo "eletto" allo
smaltimento illecito dei rifiuti sembra essere
il Mozambico, vera e propria discarica mondiale.
Secondo un’inchiesta della Direzione
distrettuale Antimafia di Milano, in questo
Paese opera dal 1996 una società (filiale
mozambicana di un gruppo argentino)
specializzata nell’installazione di impianti per
lo smaltimento di rifiuti di ogni genere.
L’impresa ha ottenuto tutte le necessarie
autorizzazioni per importare rifiuti da ogni
parte del mondo; il problema (documentato) è che
non esiste nessun impianto e migliaia di
tonnellate di pattumiere di ogni tipo,
provenienti da tutti i continenti, giacciono in
una enorme discarica a cielo aperto. Le
connivenze delle autorità mozambicane sono
evidenti.
Ed
è ormai quasi fuor di dubbio il perchè della
morte della giornalista Rai Ilaria Alpi e
dell’operatore Miran Hrovatin avvenute in
Somalia durante la missione ONU “Restore Hope”
nel 1994, sebbene l' autorità giudiziaria ad
oggi non ha ancora accertato chi furono i
mandanti del duplice omicidio. Secondo
l’avvocato di Giorgio e Luciana Alpi, gli
inquirenti dovrebbero accertare che l’omicidio
di Ilaria Alpi non sia stato proprio un omicidio
“di Stato”. Infatti Ilaria Alpi stava da mesi
indagando su un presunto traffico di armi e
rifiuti tossici (soprattutto scorie nucleari)
tra Italia e Somalia. Un traffico di interesse
strategico per una nazione che ha bisogno di
terreno per insabbiare rifiuti e l’altra
(perennemente in guerra civile) che vuole essere
pagata soprattutto con armi. Ilaria Alpi aveva
lasciato molte tracce in questa direzione, ma
non sono mai state seguite. Se non da uno dei
tre magistrati che ha preso in mano l’inchiesta:
Giuseppe Pititto, il quale, nel ‘97, con una
motivazione pretestuosa, è stato esonerato
dall’incarico.
Ma
restando in Italia, è in Campania il «triangolo
della monnezza», tra Qualiano, Giugliano e
Villaricca: qui, a 25 chilometri da Napoli,
comincia l' area che nel piano regolatore della
camorra è stata assegnata alla sepoltura
illecita dei rifiuti. E' una zona ampia, divisa
tra i clan che controllano il Napoletano e il
gruppo dei Casalesi. Qui la ricchezza ha
cambiato fonte. Una volta il fatturato veniva
dagli ortaggi, dalle primizie, dalla falanghina,
dal turismo. Oggi viene dalla diossina, dai
metalli pesanti, dai fenoli, dai pcb. Secondo il
Rapporto Ecomafia 2003 della Legambiente, la
gestione dei rifiuti pericolosi in Italia frutta
2 miliardi e mezzo di euro all' anno. E basta
girare una giornata nelle stradine che portano
alle discariche, nella zona che va dal
Napoletano a Casal de Principi, per capire che
una parte significativa di questi proventi viene
dalla Campania: lo segnala l' abbondanza dei
camion accompagnati dalle Mercedes e l' assenza
delle auto della polizia e dei carabinieri. Chi
è della zona sa quando può passare e quando è
meglio tirare dritto facendo finta di niente: è
più salutare distrarsi mentre i Tir si fermano
per scaricare una parte dei 6,7 milioni di
tonnellate di rifiuti speciali che ogni anno
spariscono nel nulla grazie al collaudato
sistema del «giro di bolla», la contraffazione
delle certificazioni di provenienza necessarie
al trasporto.
Del resto i rifiuti costituiscono solo un
segmento del ciclo di lavorazione della malavita
organizzata. Qui la camorra prima ha guadagnato
scavando illegalmente le cave. Poi riempiendo i
buchi con i rifiuti pericolosi. Infine
costruendoci sopra le case. La tragedia è che
questo sistema illegale è l' unico che qui dà
lavoro. Il prezzo da pagare per quest' economia
clandestina è pesante. Secondo la Asl di
Giugliano i decessi per malattie tumorali sono
saliti dal 27, 5 per cento del 1994 al 31, 4 del
1996. E nell' agro aversano i tumori per i quali
è stata chiesta l' esenzione dal ticket sono
passati dai 131 casi del 1996 ai 560 del 1999.
La chiusura dei conti con il passato è il nodo
mai sciolto. Love Canal, la più famosa discarica
degli Stati Uniti, quella che inquinava la
cascate del Niagara, è stata bonificata grazie a
lavori durati 21 anni e costati 400 milioni di
dollari. In Campania invece il patto «nuovi
impianti a regola in cambio della bonifica del
pregresso» non è stato rispettato. Così l'
inquinamento procede a strati, come in uno scavo
archeologico: sotto i rifiuti tossici e forse
radioattivi degli anni d' oro dell' ecomafia,
sopra quelli degli scarichi abusivi più recenti,
in cima gli ultimi rifiuti, quelli che godono di
un bollo di ufficialità che si sta appannando.
[3A]
Un
po’ di storia recente fa capire esattamente cosa
c’è in gioco dietro questa emergenza. La camorra
ha sempre fatto la parte del leone nel settore
rifiuti, con lo smaltimento illegale e con la
compiacenza di tutte le autorità. Di fronte allo
scoppio dell’emergenza del 1994, il governo
pensò bene di creare dei commissari speciali
preposti alla gestione del problema. Dapprima
sono stati i prefetti a svolgere questo incarico
e poi successivamente i presidenti delle
regioni, che, data la qualifica di commissari
speciali per l’emergenza, possono usare una
legislazione che permette loro di scavalcare
tutte le legislazioni di ogni ordine, emettendo
ordinanze appunto speciali.
Primo presidente regionale ad essere commissario
fu Antonio Rastrelli, di AN, che progetta un
piano per la regione Campania nel quale si
prevede di costruire in Campania cinque
termovalorizzatori (o inceneritori o
termodistruttori che dir si voglia): due per
Napoli e Provincia e tre per le altre Province.
Tuttavia non furono mai realizzati sia per la
ferma opposizione della popolazione dei centri
di prevista localizzazione dei siti sia perché
la giunta non ebbe il tempo necessario poiché
cadde l’anno seguente. Questo piano sarà
riscritto più volte a causa dell’approvazione
del Decreto Ronchi, dove cambiarono i parametri
e i riferimenti normativi. Comunque l’ultima
versione della proposta Rastrelli prevedeva
sette impianti di stoccaggio (dove i rifiuti
sono trasformati in compost e quindi in
combustibile) e due termovalorizzatori di
elevata potenza.
Così si effettua la gara di appalto, alquanto
singolare: il commissario speciale non propone
nessuna zona dove costruire gli impianti, ma
lascia la scelta alle aziende che vinceranno la
gara, col solo obbligo di costruirlo in zona ASI
(area sviluppo industriale, cioè la zona a
cavallo fra le province di Napoli e Caserta in
questo caso) e senza alcun controllo di alcuna
istituzione. Di fronte a tale prospettiva
semplicemente incredibile anche la Commissione
Europea ha denunciato l’Italia per non
osservanza delle norme riguardanti la
valutazione dell’impatto ambientale. Nonostante
ciò la regione Campania procedette
all’assegnazione degli appalti (nel frattempo
l’Udeur aveva fatto cadere la giunta Rastrelli).
Vince l’appalto la FIBE, consorzio
imprenditoriale capeggiato dall’Impregilo di
Cesare Romiti, vittoria ottenuta grazie a prezzi
più bassi e macchinari più vecchi, la FIBE
individua come siti in cui costruire
termovalorizzatori Acerra e Battipaglia, che in
seguito alla sua dichiarazione di zona
prevalentemente agricola e alle pressioni delle
varie confraternite diessine della zona, viene
sostituita con Santa Maria la Fossa, centro
agricolo della piana del Volturno e in provincia
di Caserta.
Bassolino vince le elezioni regionali con un
programma nel quale si diceva chiaramente di
revocare il commissariamento straordinario e
l’opposizione a qualsiasi inceneritore. Ma, dopo
le elezioni, prevale la scelta della continuità
amministrativa: Antonio Bassolino è il nuovo
commissario ai rifiuti e procede con il progetto
degli inceneritori. Cominciano le proteste ad
Acerra, dove si costituisce un Comitato contro
l’inceneritore; mentre Bassolino commissiona lo
studio del territorio alla SOGIN (sì, la stessa
di Scanzano Ionico). Serrate cittadine,
occupazioni del territorio, scioperi si
susseguono, ma ad oggi la situazione è lungi
dall’essere risolta.
Le
proteste si estendono anche e soprattutto nelle
zone dove ci sono le discariche. In Irpinia, nel
Sannio, nell’Agro Aversano, dovunque ci sono
mobilitazioni spontanee periodicamente contro la
devastazione del territorio. Ma il grosso limite
è il campanilismo, è la mancanza di seri
coordinamenti territoriali che possano unificare
la lotta, perché la camorra gioca un ruolo
fondamentale in tutto questo. Nelle campagne
della zona del Volturno ci sono discariche a
cielo aperto del tutto abusive dove vengono
gettati i rifiuti di molte industrie, anche del
Nord, e nessuno dice niente. I sindaci si
preoccupano solo di passarsi i sacchetti da
sversare (l’esempio è lo scontro fra il sindaco
di Aversa, della Cdl e l’ulivista primo
cittadino di Marcianise). Ma dopo tanti sforzi
fatti nel tentativo di tenere a bada la
problematica dei rifiuti, il presidente della
regione Bassolino si è visto obbligato alle
dimissioni da Commissario straordinario per
l’emergenza rifiuti in Campania, invocando la
nomina di un commissario governativo per
risolvere la situazione. E così il Consiglio dei
Ministri ha quindi nominato nel febbraio 2004
l’ex prefetto Corrado Catenacci (area FI) come
nuovo Commissario per l’emergenza rifiuti.
Dunque il "progetto per un ciclo virtuoso" che
avrebbe dovuto far tornare alla normalità la
regione Campania che da dieci anni vive in
emergenza, si basava su tre pilastri: - il primo
è la bonifica delle discariche selvagge (che non
c' è stata). - il secondo sono gli impianti da
cui, attraverso la selezione dei rifiuti, doveva
uscire il Combustibile Derivato dai Rifiuti (CDR),
un materiale che, con involontaria ironia, è
stato chiamato «ecoballe» - il terzo era la
costruzione di inceneritori che, visto il
quoziente di fiducia nelle istituzioni,
continuano ad essere respinti a furor di popolo.
«La selezione non funziona: il cosiddetto cdr è
in realtà molto simile al rifiuto tal quale»,
accusano Ruggiero e Del Giudice. «Il cdr
risponde ai requisiti di legge», replica Armando
Cattaneo, amministratore delegato della Fide
Fisia, la società del gruppo Impregilo che ha
vinto la gara per la gestione dei rifiuti in
Campania. «In Campania si producono 7.300
tonnellate di rifiuti al giorno. Ne trasformiamo
il 35 per cento in cdr. Il che significa che
produciamo 1.900 balle al giorno. Basterebbe
riuscire a costruire i termovalorizzatori per
chiudere il cerchio e risolvere il problema».
Non sono in molti a nutrire tanto ottimismo. Ad
esempio il presidente della Commissione
bicamerale rifiuti, Paolo Russo, ha ricavato un'
immagine diversa da un' ispezione di tre giorni
in Campania: «La qualità del cdr racchiuso nelle
balle è un punto fondamentale. Parlando con i
sindaci e con la gente del posto si sente sempre
ripetere che si tratta sostanzialmente di
rifiuto tal quale. Per l' Agenzia per la
protezione ambientale della Campania invece è
tutto in regola.
Ma, secondo l' Agenzia per la protezione
ambientale di un' altra Regione, la situazione è
irregolare. Ora se veramente avessimo accumulato
e disseminato sul territorio un milione e 300
mila balle di rifiuti sarebbe un disastro nel
disastro: questo materiale è stato trattato
senza precauzioni particolari perché tutti erano
convinti che fosse combustibile. E' un sospetto
agghiacciante e per chiarire la questione ci
siamo rivolti a un istituto internazionale di
chiara fama. Ma resta il fatto che a Napoli, a
Milano, a Palermo, il Comune gestisce i rifiuti
nel suo territorio. Mentre in Campania ci sono
territori di serie A, che producono i rifiuti, e
territori di serie B, che li devono smaltire
senza trarne benefici». Per risolvere il
problema ci sarebbe anche un' altra soluzione,
quella suggerita dagli ambientalisti e dall'
Unione Europea: diminuire la quantità di rifiuti
attraverso una raccolta differenziata molto
efficiente. Il fatto che nella provincia di Nola
siano arrivati a raccogliere in questo modo il
60 per cento dei rifiuti dimostra che la
Campania sarebbe in grado di competere con le
aree super ecologiste nel Nord Europa.
Ecco perchè è singolare l' emergenza rifiuti
della Campania: - è stata pianificata con cura
in modo da garantirsi che durerà per lo meno
altri tre anni (tanto tempo ci vuole per
costruire almeno un termovalorizzatore) - viene
alimentata dal continuo arrivo di rifiuti
provenienti dalle regioni settentrionali -
collima perfettamente con l' allarme della
magistratura sull' attivismo dell' ecomafia.
Enrico Fontana, responsabile dell' Osservatorio
ambiente e legalità della Legambiente,
ricostruisce la surreale vicenda campana come un
meccanismo sapientemente montato per raggiungere
lo scopo. Era già tutto previsto? «Se non era
previsto era prevedibile. Partiamo dall' ultimo
dato. La Campania si trova inondata di rifiuti
perché tre impianti per la produzione del CDR
(Combustibile Derivato dai Rifiuti) si sono
dovuti fermare avendo saturato le aree di
stoccaggio provvisorio per le ecoballe prodotte
dagli impianti gestiti dalla Fisia-Italimpianti,
l' azienda che ha vinto la gara e che avrebbe
dovuto costruire anche i termovalorizzatori per
bruciare successivamente le ecoballe». Ed è
questo un punto: al momento non è stato ancora
costruito nessuno dei 2 termovalorizzatori
previsti in Campania e da qui l'immenso accumulo
di ecoballe. Infatti, come detto, la costruzione
dei termovalorizzatori è ancora bloccata dalle
contestazioni locali e da ricorsi alla
magistratura. Quanto spazio occorre per queste
ecoballe, volendo usare una parola che sembra
coniata da un umorista?
«Questo è il punto. Per la Campania servono due
ettari al mese. E nella migliore delle ipotesi
per costruire i termovalorizzatori occorreranno
altri tre anni. Il che vuol dire che
bisognerebbe trovare 72 ettari disponibili, l'
equivalente di 72 campi di calcio. Bastava fare
una semplicissima moltiplicazione per capire che
lo stoccaggio provvisorio avrebbe rappresentato
un serio problema. Non è stato fatto perché si
continua a inseguire la soluzione super
tecnologica invece di prestare attenzione all'
approccio ecologico, che in questo caso
suggerisce di ridurre i rifiuti attraverso una
radicale raccolta differenziata».
Adesso per far posto alle ecoballe ci sono due
soluzioni: o riaprire le vecchie discariche (un'
emergenza all' interno dell' emergenza) oppure
sperare nella "solidarietà" di altre regioni
italiane. «Riaprire le vecchie discariche
gestite allegramente negli anni Ottanta e
oggetto di molte inchieste della magistratura è
un paradosso». Ma esiste un' alternativa?
«Esiste. Il primo è un' indagine a tappeto su
cementifici, centrali elettriche e altri
impianti in grado di bruciare da subito le
ecoballe campane. Il secondo è l' uso dei poteri
straordinari del commissario per imporre la
raccolta differenziata secco umido. Lanciare
questa raccolta significa sia ridurre i volumi
totali in gioco semplificando il problema che
migliorare la qualità del combustibile da
rifiuti, oggi assai dubbia secondo lo stesso
presidente della Commissione parlamentare d'
inchiesta sul ciclo dei rifiuti».
In
pratica si tratta di mettere in un sacchetto la
parte organica della spazzatura, gli avanzi
della cucina.. Chi ha interesse a non farlo?
«Una risposta la offre la relazione del
procuratore generale presso la Corte di appello
Vincenzo Gargano all' inaugurazione dell' anno
giudiziario 2003. Leggo il virgolettato: "Le
indagini hanno evidenziato come l' emergenza
rifiuti avrebbe spinto talune amministrazioni ad
affidare i servizi di smaltimento dei rifiuti
"senza regolari gare". Da tale situazione hanno
tratto beneficio personaggi vicini ad
organizzazioni criminali di tipo camorristico".
La presa dell' ecomafia è ancora in crescita?
«Ormai siamo alla camorra diffusa. Per togliere
i rifiuti dalle strade, dove sono sotto gli
occhi di tutti, e magari buttarli in un prato
sopra una falda idrica ma lontano da sguardi
indiscreti, si usano i camioncini della
camorra».
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