LO
STRANO CASO DEL VICEDIRETTORE PROSCRITTO -
09.02.2005
Marco Travaglio per l'Unità
La
vicenda di Oliviero Beha
Questa è la storia di un vicedirettore della Rai
che da due anni non può lavorare, né alla tv né
alla radio. E. da due mesi, non può comparire
nemmeno in uno spot a pagamento. Il suo nome è
Oliviero Beha. Avendo scritto un libro nel
copioso tempo libero che l’azienda gli lascia,
aveva pensato di pubblicizzarlo. Ma il
cosiddetto servizio pubblico, dopo aver firmato
regolare contratto, ha bloccato tutto per ordine
del direttore Flavio Cattaneo. Non stiamo
parlando di un comunista, di un criptocomunista,
di un veterocomunista, di un cattocomunista. Ma
di un giornalista talmente lontano dal terrore,
dalla miseria e dalla morte che nel 2002 il
professor Antonio Baldassarre, presidente del
primo cda berlusconiano, lo assunse in viale
Mazzini come vicedirettore di RaiSport.
“Fosse per me la farei direttore”, gli disse
amabile, “ma visto che lei non ha un partito
posso farla solo vicedirettore vicario. Comunque
cambia poco: lei dovrà rifondare lo sport della
Rai, poi da cosa nasce cosa…”. Beha non dispiace
alla Lega, per le sue seguitissime inchieste
radiofoniche in difesa dei
cittadini-consumatori, prima con Radio Zorro,
poi con Radio a Colori (la più seguita di tutta
Radio1). E viene difeso da Forza Italia in una
dura polemica con Paolo Serventi Longhi,
segretario della Fnsi. Per un po’ lo studiano,
lo sondano, lo annusano. Poi, quando scoprono
che è privo di collare, lo scaricano. A RaiSport
gli lasciano fare poco o nulla: si scontra più e
più volte con l’uomo forte di An, Fabrizio
Maffei. Prima cura qualche programma, poi gli
danno il notiziario sportivo del pomeriggio, ma
a giorni alterni. Gli rimane Radio a Colori, ma
anche lì dura poco.
Il
muro di gomma
L’inizio della fine, per Beha, ha una data
precisa: l’11 novembre 2003. Quel giorno l’ex
direttore di RaiSport Paolo Francia (area An,
già biografo di Gianfranco Fini) denuncia alla
Vigilanza gli sprechi, gli scandali, le
marchette e le pubblicità occulte delle dirette
sportive. Beha, che di quel settore – almeno
sulla carta – è il numero due, chiede di parlare
con Cattaneo. Che lo riceve il 17 dicembre:
“Caro dottor Cattaneo, ho letto la denuncia di
Francia, e qui i casi sono due: o lei lo
denuncia per calunnia a nome dell’azienda, o
apre un’inchiesta per vedere se le sue accuse
sono vere”.
Cattaneo minimizza: “Guardi che non ce l’hanno
mica con lei… Comunque non si preoccupi, lasci
perdere, le inchieste interne non sono mai
servite a nulla, viva tranquillo. Ci rivediamo
dopo le feste”. Dopo le feste Beha tenta di
rivederlo, ma non viene più ricevuto. Muro di
gomma. Allora, è il febbraio del 2004, chiede
udienza ai consiglieri d’amministrazione, per
illustrare lo strano caso di RaiSport e del
dottor Cattaneo. L’unico che non lo riceve è il
forzista Angelo Maria Petroni, con questa
motivazione: “Io sono un amministratore, lei è
un giornalista, che vuole da me?”. Marcello
Veneziani invece è gentilissimo: “Hai ragione,
Beha, qui ci vuola più efficienza”. Poi
sparisce: mai più sentito. Rumi, appena Beha
comincia a raccontare, lo ferma: “Abbia
pazienza, sono un uomo anziano…”.
Alberoni invece, ancor prima riascoltarlo,
domanda: “Dimmi la verità, Oliviero: è una
censura politica?”. Beha: “Non so, vedi tu”.
Alberoni: “Non ti preoccupare: ora chiamo Tarek
Ben Ammar che è un mio amico e che ha rilevato
le frequenze di Telepiù, vedrai che ti prende
lui”. Beha: “Ma io sono un vicedirettore Rai che
vorrebbe lavorare per l’azienda che lo paga, e
di cui tu sei consigliere d’amministrazione. Che
c’entra Ben Ammar?”. Parole al vento.
Proposta indecente Ultimo giro, nello studio di
Lucia Annunziata, la famosa “presidente di
garanzia”. Anche lei, gentilissima. Un’ora di
chiacchierata sulla situazione generale, la
politica italiana, Berlusconi, la sinistra, la
situazione internazionale, tutto lo scibile
umano. Poi Beha viene al dunque: “Sono un
vicedirettore di questa azienda, ma non mi fanno
lavorare”. Annunziata: “Senti ammè, l’importante
in televisione è apparire, andare in onda.
Facciamo così: tu restituisci la vicedirezione,
che tanto non te ne fai niente, e vedrai che ti
fanno un bel contratto come ospite fisso a
“Quelli che il calcio”. Poi vediamo…”.
Beha trasecola: “Ospite della Ventura? Ma lo sai
o non lo sai che quel programma l’hanno copiato
pari pari dal mio “Va pensiero”? E poi che
c’entra l’ospite fisso con il mio incarico?”.
Incomunicabilità totale, discorso chiuso.
Intanto, a denunciare pubblicamente le
pubblicità occulte della Rai, ci pensa Striscia
la Notizia. Cattaneo vince il tapiro d’oro e,
nell’occasione, ringrazia Antonio Ricci per la
preziosa denuncia. E assicura che, ora, la Rai
presenterà un esposto contro ignoti alla Procura
di Roma per smascherare i marchettari.
Cattaneo telefona pure, a Ricci, che lo
racconterà ai pm romani titolari dell’inchiesta:
“Mi disse che, per ripulire la Rai da tutti gli
scandali, ci vorrebbe una denuncia al giorno”.
Beha è sconcertato: se le cose le dice Striscia
su Mediaset, Cattaneo ringrazia e denuncia; se
le dice Francia e Beha chiede spiegazioni, le
porte e le bocche rimangono chiuse. E non ha
ancora visto tutto, perché ben presto – siamo
nel maggio 2004 – viene ufficialmente deposto da
vicedirettore di RaiSport, degradato a
caporedattore con stipendio decurtato. Poi, con
la scusa dell’estate, gli chiudono pure Radio a
Colori, che non riprenderà più.
Processo Kafkiano
Jimmy Ghione di Striscia va a intervistarlo. Lui
racconta il suo faccia a faccia con Cattaneo, e
soprattutto il risultato finale: “Io una
settimana fa sono stato deposto da
vicedirettore: traete voi le conclusioni…”. Per
quella frase e alcune altre dichiarazioni ai
giornali, in giugno la Rai lo sospende pure
dallo stipendio per 4 giorni al termine di un
“processo” disciplinare-farsa, roba da
Vishinskij all’amatriciana. Ci sono gli avvocati
della Rai, c’è il rappresentante dell’Usigrai,
c’è l’avvocato Domenico D’Amati che difende Beha,
e c’è Beha. Il quale domanda: “Mi state
processando per quel che ho detto a Cattaneo. Ma
Cattaneo dov’è?”. E gli avvocati Rai: “Il dottor
Cattaneo non c’è, non è venuto”.
Beha: “Alla fine chi decide se ho ragione o
torto, se sono passibile di sanzione
disciplinare?”. Avvocati Rai: “”Il dottor
Cattaneo”. Condannato a 4 giorni di sospensione
dallo stipendio, Beha viene raggiunto da un
giornalista dell’Ansa per un commento. Ma è
costretto a declinare: “Se parlo, mi prendo
un’altra sospensione”. Domanda: “Ma non c’è
l’articolo 21 della Costituzione?”. Risposta:
“Mah, forse mi sono distratto: dev’essere
decaduto”. Per questo la Rai avvia un nuovo
procedimento disciplinare contro Beha, e lo
condanna ad altri 7 giorni. Totale 11, record di
tutti i tempi. Ma è anche la conferma che
l’articolo 21, in Viale Mazzini, è soppresso.
Avendo molto tempo libero, Beha scrive un libro,
“Sono stato io”: mezzo diario, mezzo romanzo
autobiografico intorno all’idea semiseria di un
attentato a Berlusconi. Lo pubblica, nel
settembre 2004, l’editore Marco Tropea (gruppo
Il Saggiatore). Ottime vendite, 10 mila copie
bruciate in poche settimane. Intanto, il 5
ottobre, il Tribunale di Roma ordina alla Rai,
con ordinanza urgente, di far lavorare Beha. La
Rai ricorre e gli fa una proposta indecente:
seguire i “rapporti con i new media” e le
“iniziative editoriali legate alle nuove
tecnologie” (proposta che il 24 gennaio 2005 il
Tribunale, respingendo il ricorso di Viale
Mazzini, giudicherà inadeguata, generica e non
giornalistica).
Divieto di spot
A
fine novembre, l’editore Tropea firma un
contratto con la Sipra – la concessionaria
pubblicitaria della Rai – per pubblicizzare il
libro su Radio1. Visto che da maggio Beha non va
più in onda col suo programma, gli ascoltatori
riascolteranno la sua voce in uno spot che parla
del libro per 30 secondi. Questo: “Sono Oliviero
Beha. Al momento non vado in onda, ma sono in
libreria con un romanzo autobiografico che si
intitola “Sono stato io”, Marco Tropea Editore.
Naturalmente, dentro, ci siete anche voi. Per
non dimenticare: “Sono stato io”. Buona
lettura.”. Il primo spot, per contratto, è
previsto per il 13 dicembre. Ma alla vigilia
l’ufficio marketing della Sipra telefona al
Saggiatore: “Spiacenti, ma lo spot non può
andare in onda. Il vertice Rai l’ha bloccato.
Hanno telefonato da molto in alto…”.
L’Editore è allibito: “Ma come, avete firmato un
contratto! Così fate un danno a noi, ma anche
alla Rai”. La direzione generale della Rai
invoca l’articolo 11 dei contratti pubblicitari:
quello che le consente il “diritto di rifiuto”
degli spot per “esigenze connesse alla natura di
servizio pubblico”. La clausola che tutela
l’azienda da spot pornografici o blasfemi. Ecco:
anche Beha lo è. Non può andare in onda nemmeno
dopo che ha vinto due cause in Tribunale.
Nemmeno a pagamento, sotto forma di spot. Non
gli resta che la pubblicità occulta. Quella che
lui aveva denunciato, rimettendoci il posto.
Quella, pare, si può.
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