10 febbraio 2005
La strana vicenda di Oliviero Beha
da L'Unità

 

 

LO STRANO CASO DEL VICEDIRETTORE PROSCRITTO - 09.02.2005

 

Marco Travaglio per l'Unità

 

La vicenda di Oliviero Beha

Questa è la storia di un vicedirettore della Rai che da due anni non può lavorare, né alla tv né alla radio. E. da due mesi, non può comparire nemmeno in uno spot a pagamento. Il suo nome è Oliviero Beha. Avendo scritto un libro nel copioso tempo libero che l’azienda gli lascia, aveva pensato di pubblicizzarlo. Ma il cosiddetto servizio pubblico, dopo aver firmato regolare contratto, ha bloccato tutto per ordine del direttore Flavio Cattaneo. Non stiamo parlando di un comunista, di un criptocomunista, di un veterocomunista, di un cattocomunista. Ma di un giornalista talmente lontano dal terrore, dalla miseria e dalla morte che nel 2002 il professor Antonio Baldassarre, presidente del primo cda berlusconiano, lo assunse in viale Mazzini come vicedirettore di RaiSport.

 

“Fosse per me la farei direttore”, gli disse amabile, “ma visto che lei non ha un partito posso farla solo vicedirettore vicario. Comunque cambia poco: lei dovrà rifondare lo sport della Rai, poi da cosa nasce cosa…”. Beha non dispiace alla Lega, per le sue seguitissime inchieste radiofoniche in difesa dei cittadini-consumatori, prima con Radio Zorro, poi con Radio a Colori (la più seguita di tutta Radio1). E viene difeso da Forza Italia in una dura polemica con Paolo Serventi Longhi, segretario della Fnsi. Per un po’ lo studiano, lo sondano, lo annusano. Poi, quando scoprono che è privo di collare, lo scaricano. A RaiSport gli lasciano fare poco o nulla: si scontra più e più volte con l’uomo forte di An, Fabrizio Maffei. Prima cura qualche programma, poi gli danno il notiziario sportivo del pomeriggio, ma a giorni alterni. Gli rimane Radio a Colori, ma anche lì dura poco.

 

Il muro di gomma

L’inizio della fine, per Beha, ha una data precisa: l’11 novembre 2003. Quel giorno l’ex direttore di RaiSport Paolo Francia (area An, già biografo di Gianfranco Fini) denuncia alla Vigilanza gli sprechi, gli scandali, le marchette e le pubblicità occulte delle dirette sportive. Beha, che di quel settore – almeno sulla carta – è il numero due, chiede di parlare con Cattaneo. Che lo riceve il 17 dicembre: “Caro dottor Cattaneo, ho letto la denuncia di Francia, e qui i casi sono due: o lei lo denuncia per calunnia a nome dell’azienda, o apre un’inchiesta per vedere se le sue accuse sono vere”.

 

Cattaneo minimizza: “Guardi che non ce l’hanno mica con lei… Comunque non si preoccupi, lasci perdere, le inchieste interne non sono mai servite a nulla, viva tranquillo. Ci rivediamo dopo le feste”. Dopo le feste Beha tenta di rivederlo, ma non viene più ricevuto. Muro di gomma. Allora, è il febbraio del 2004, chiede udienza ai consiglieri d’amministrazione, per illustrare lo strano caso di RaiSport e del dottor Cattaneo. L’unico che non lo riceve è il forzista Angelo Maria Petroni, con questa motivazione: “Io sono un amministratore, lei è un giornalista, che vuole da me?”. Marcello Veneziani invece è gentilissimo: “Hai ragione, Beha, qui ci vuola più efficienza”. Poi sparisce: mai più sentito. Rumi, appena Beha comincia a raccontare, lo ferma: “Abbia pazienza, sono un uomo anziano…”.

 

Alberoni invece, ancor prima riascoltarlo, domanda: “Dimmi la verità, Oliviero: è una censura politica?”. Beha: “Non so, vedi tu”. Alberoni: “Non ti preoccupare: ora chiamo Tarek Ben Ammar che è un mio amico e che ha rilevato le frequenze di Telepiù, vedrai che ti prende lui”. Beha: “Ma io sono un vicedirettore Rai che vorrebbe lavorare per l’azienda che lo paga, e di cui tu sei consigliere d’amministrazione. Che c’entra Ben Ammar?”. Parole al vento.

 

Proposta indecente Ultimo giro, nello studio di Lucia Annunziata, la famosa “presidente di garanzia”. Anche lei, gentilissima. Un’ora di chiacchierata sulla situazione generale, la politica italiana, Berlusconi, la sinistra, la situazione internazionale, tutto lo scibile umano. Poi Beha viene al dunque: “Sono un vicedirettore di questa azienda, ma non mi fanno lavorare”. Annunziata: “Senti ammè, l’importante in televisione è apparire, andare in onda. Facciamo così: tu restituisci la vicedirezione, che tanto non te ne fai niente, e vedrai che ti fanno un bel contratto come ospite fisso a “Quelli che il calcio”. Poi vediamo…”.

 

Beha trasecola: “Ospite della Ventura? Ma lo sai o non lo sai che quel programma l’hanno copiato pari pari dal mio “Va pensiero”? E poi che c’entra l’ospite fisso con il mio incarico?”. Incomunicabilità totale, discorso chiuso. Intanto, a denunciare pubblicamente le pubblicità occulte della Rai, ci pensa Striscia la Notizia. Cattaneo vince il tapiro d’oro e, nell’occasione, ringrazia Antonio Ricci per la preziosa denuncia. E assicura che, ora, la Rai presenterà un esposto contro ignoti alla Procura di Roma per smascherare i marchettari.

 

Cattaneo telefona pure, a Ricci, che lo racconterà ai pm romani titolari dell’inchiesta: “Mi disse che, per ripulire la Rai da tutti gli scandali, ci vorrebbe una denuncia al giorno”. Beha è sconcertato: se le cose le dice Striscia su Mediaset, Cattaneo ringrazia e denuncia; se le dice Francia e Beha chiede spiegazioni, le porte e le bocche rimangono chiuse. E non ha ancora visto tutto, perché ben presto – siamo nel maggio 2004 – viene ufficialmente deposto da vicedirettore di RaiSport, degradato a caporedattore con stipendio decurtato. Poi, con la scusa dell’estate, gli chiudono pure Radio a Colori, che non riprenderà più.

 

Processo Kafkiano

Jimmy Ghione di Striscia va a intervistarlo. Lui racconta il suo faccia a faccia con Cattaneo, e soprattutto il risultato finale: “Io una settimana fa sono stato deposto da vicedirettore: traete voi le conclusioni…”. Per quella frase e alcune altre dichiarazioni ai giornali, in giugno la Rai lo sospende pure dallo stipendio per 4 giorni al termine di un “processo” disciplinare-farsa, roba da Vishinskij all’amatriciana. Ci sono gli avvocati della Rai, c’è il rappresentante dell’Usigrai, c’è l’avvocato Domenico D’Amati che difende Beha, e c’è Beha. Il quale domanda: “Mi state processando per quel che ho detto a Cattaneo. Ma Cattaneo dov’è?”. E gli avvocati Rai: “Il dottor Cattaneo non c’è, non è venuto”.

 

Beha: “Alla fine chi decide se ho ragione o torto, se sono passibile di sanzione disciplinare?”. Avvocati Rai: “”Il dottor Cattaneo”. Condannato a 4 giorni di sospensione dallo stipendio, Beha viene raggiunto da un giornalista dell’Ansa per un commento. Ma è costretto a declinare: “Se parlo, mi prendo un’altra sospensione”. Domanda: “Ma non c’è l’articolo 21 della Costituzione?”. Risposta: “Mah, forse mi sono distratto: dev’essere decaduto”. Per questo la Rai avvia un nuovo procedimento disciplinare contro Beha, e lo condanna ad altri 7 giorni. Totale 11, record di tutti i tempi. Ma è anche la conferma che l’articolo 21, in Viale Mazzini, è soppresso. Avendo molto tempo libero, Beha scrive un libro, “Sono stato io”: mezzo diario, mezzo romanzo autobiografico intorno all’idea semiseria di un attentato a Berlusconi. Lo pubblica, nel settembre 2004, l’editore Marco Tropea (gruppo Il Saggiatore). Ottime vendite, 10 mila copie bruciate in poche settimane. Intanto, il 5 ottobre, il Tribunale di Roma ordina alla Rai, con ordinanza urgente, di far lavorare Beha. La Rai ricorre e gli fa una proposta indecente: seguire i “rapporti con i new media” e le “iniziative editoriali legate alle nuove tecnologie” (proposta che il 24 gennaio 2005 il Tribunale, respingendo il ricorso di Viale Mazzini, giudicherà inadeguata, generica e non giornalistica).

 

Divieto di spot

A fine novembre, l’editore Tropea firma un contratto con la Sipra – la concessionaria pubblicitaria della Rai – per pubblicizzare il libro su Radio1. Visto che da maggio Beha non va più in onda col suo programma, gli ascoltatori riascolteranno la sua voce in uno spot che parla del libro per 30 secondi. Questo: “Sono Oliviero Beha. Al momento non vado in onda, ma sono in libreria con un romanzo autobiografico che si intitola “Sono stato io”, Marco Tropea Editore. Naturalmente, dentro, ci siete anche voi. Per non dimenticare: “Sono stato io”. Buona lettura.”. Il primo spot, per contratto, è previsto per il 13 dicembre. Ma alla vigilia l’ufficio marketing della Sipra telefona al Saggiatore: “Spiacenti, ma lo spot non può andare in onda. Il vertice Rai l’ha bloccato. Hanno telefonato da molto in alto…”.

 

L’Editore è allibito: “Ma come, avete firmato un contratto! Così fate un danno a noi, ma anche alla Rai”. La direzione generale della Rai invoca l’articolo 11 dei contratti pubblicitari: quello che le consente il “diritto di rifiuto” degli spot per “esigenze connesse alla natura di servizio pubblico”. La clausola che tutela l’azienda da spot pornografici o blasfemi. Ecco: anche Beha lo è. Non può andare in onda nemmeno dopo che ha vinto due cause in Tribunale. Nemmeno a pagamento, sotto forma di spot. Non gli resta che la pubblicità occulta. Quella che lui aveva denunciato, rimettendoci il posto. Quella, pare, si può.

 

 

    

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