LA FAVOLA DI CRISTO
Inconfutabile dimostrazione
della non esistenza di Gesù
Libro-denuncia
Dopo aver
escamottato la mia denuncia ricorrendo
all’anonimato (vedi fasi iniziali del
processo su
www.LuigiCascioli.it
), don Enrico Righi, resosi conto che nella
posizione d’indagato nella quale si trova
non poteva più sostenere la figura del
transfuga davanti a un’opinione pubblica che
sempre più insistentemente gli chiedeva
perché evitasse un confronto diretto in
tribunale se veramente era convinto delle
sue ragioni, ha deciso di farsi avanti
portandomi quelle prove dell’esistenza
storica di Gesù che ripetutamente avevo
richiesto a lui, al Card. Biffi e
all’Arcivescovo Carraro ma senza avere
risposta.
Dal
bollettino parrocchiale “RISVEGLIO”
N° 264:
“La
favola di Giovanni di Gamala”
Questo è il vero titolo del libro
pubblicato da Luigi Cascioli come
“Favola di Cristo”
La favola è un
racconto immaginario che affonda le
radici nella fantasia e che di
conseguenza è aperto ad ogni
soluzione la più inverosimile. Il
fatto storico invece è tutto il
contrario della favola perché non si
fonda sulla fantasia, ma “in re”. Il
Cristo uomo emerge come figura
inconfondibile tra tutti gli uomini
del passato con una quantità
impressionante di testimonianze di
provenienza religiosa e pagana. I
personaggi non religiosi che parlano
di Cristo sono moltissimi e lo fanno
in maniera disinteressata, da
osservatori lontani e sconosciuti
tra loro: Giuseppe Flavio, Tacito,
Svetonio, Plinio il giovane,
Adriano, Trifone, Marco Aurelio,
Epitteto, Publio Lentulo.
Bisognerebbe sbuggiardarli uno per
uno per annullare il Cristo Uomo di
cui parlano. (Riporto
“sbuggiardarli” con due g come è
stato scritto sulla lettera).
Uno storico che si rispetti dovrebbe
conoscere il latino, il greco, i
generi letterari, l’esegesi, la
critica storica, l’analisi
scientifica. La storia non s’inventa
la si riscopre cercando
pazientemente e mettendo insieme
infiniti frammenti fino a comporre
il mosaico originale! Il fatto
storico è allergico alla
immaginazione di che vorrebbe per
forza. per malizia o per ignoranza
piegarlo alle proprie tesi. È, se è,
non è, se non è. Il Cascioli ha la
preparazione dello storico? I
giornalisti lo presentano come
“studioso del Lazio” e come
“storico” ma loro ci credono a
queste qualifiche? Leggendo
attentamente i loro articoli, questi
titoli sanno tanto di presa in giro.
75 anni fa, quando venni battezzato,
il parroco che mi fece cristiano già
predicava il Cristo Uomo. Il
Cascioli mi trascina davanti al
tribunale perché “IO” tra 33.000
parroci italiani abuso della
credulità popolare imbrogliando
tutti col mettere Cristo al posto di
Giovanni di Gamala. Il Cascioli
sostiene che Cristo non è mai
esistito. Se non vede il sole a
mezzogiorno, non può denunciami
perché lo vedo io. Dovrebbe
denunciare tutti i vedenti (?!).
Da duemila anni viene rispettata la
libertà di credere o almeno
all’esistenza di Cristo uomo, ma il
Cascioli non ammette questa libertà
e mi denuncia perché non credo a
quello che crede lui. (?!).
Chi era Giovanni di Gamala? Che cosa
ha fatto? Quali tracce ha lasciato?
Ho l’impressione che il Cascioli sia
l’unico testimone della sua
esistenza (?!). Quanti
personaggi in questi anni hanno
cantato, dipinto, scolpito, elogiato
Cristo? Sono tutti matti?! Tristo è
colui che per vedere le stelle ha
bisogno di una capocciata! Quanti
martiri per Cristo! Tutti scemi?
Quando crolla un edificio, s’indaga
l’impresario non l’operaio che vi ha
lavorato. Che parte ho io
nell’operazione di Cristo? Se non
fossi mai nato, oggi non cambierebbe
nulla. Mi sembra di rileggere in
chiave moderna la storia di don
Chisciotte che assaliva i mulini a
vento! Con don Chisciotte si ride,
ma con Cascioli che si fa? Dopo 50
anni di sacerdozio, mi sarei
aspettato un po' di riposo, invece
mi trovo al centro di una disputa
“ridicola” sulla esistenza storica
dell’uomo Gesù. Di solito le feste
finiscono con i fuochi, ma non credo
mai che Cascioli festeggiasse i miei
50 anni di sacerdozio sparando una
bomba così grossa! PAZIENZA.
Don
Enrico Righi
|
Leggendo la lettera ci si
rende subito conto che è stata scritta da un
prete per il continuo ricorso che si fa
all’arroganza e al sofisma per imporre le
proprie verità. Se l’arroganza ci fa
sorridere perché basata sull’utopica
convinzione che hanno tutti preti di essere
i soli detentori del sapere per aver
studiato la teologia (scienza del nulla), il
greco e il latino quando invece, ignorando
le nozioni più elementari del sapere
scientifico e pratico, sono i più grandi
asini della terra, l’uso del sofisma
(argomentazione logica in apparenza ma che
nasconde intenzionalmente un errore) ci
riempie di sdegno perché ci dimostra come
ancora una volta si abusi dell’ignoranza
popolare. Il sofisma è un ragionamento
fallace che porta a una conclusione partendo
da un presupposto che si dà per buono quando
invece è sbagliato. Porto l’esempio di Sant’Anselmo
che, per rispondere ai razionalisti che
contestavano il fatto che Dio, prima della
creazione, non poteva esistere nel nulla in
quanto ché il nulla non è concepibile sotto
nessuna forma, dette al nulla un significato
esistenziale dicendo: «Il nulla è uguale e
zero, zero è un concetto, quindi il nulla
esisteva sotto forma di concetto». Uguale al
ragionamento di Sant’Anselmo è quello di don
Enrico allorché, all’inizio della lettera,
per sostenere l’esistenza di Cristo dice:
«Cristo è uguale a fatto storico, il fatto
storico non è una favola, quindi Cristo non
è una favola ma un fatto storico».
Due evidenti sofismi, il
primo rappresentato nel porre il nulla
uguale a zero, il secondo sta
nell’affermazione che pone Cristo uguale a
fatto storico, affermazione che dimostra
subito la sua fallacità allorché si pretende
suffragarla con prove prive di ogni
attendibilità, quali i martiri che morirono
per lui (citazione tratta da Pascal), i
pittori che lo ritrassero, gli scrittori che
lo elogiarono e i musicisti che lo cantarono
e lo cantano ancora come i pifferai che
suonano il “tu scendi dalle stelle” sotto le
feste di Natale. Ritornando sulla grande
“cultura pretina” che permette ai reverendi
ecclesiastici di arrogarsi la qualifica di
dotti, è interessante rimarcare la
suddivisione che fa don Enrico dei
personaggi che lui porta come testimoni
dell’esistenza di Gesù. Dicendo che sono di
provenienza “sia religiosa che pagana”,
sapendo che il paganesimo è anch’esso una
religione, è come se avesse detto, per
distinguere due razze di maiali, “di
provenienza sia porcina che suina”. A meno
che non avesse voluto dire, (speriamolo per
lui), “di provenienza sia ebraica che
pagana”, riferendo alla prima Giuseppe
Flavio e Trifone e alla seconda tutti gli
altri.
Lasciando, a
questo punto, ogni ulteriore critica agli
errori, voluti e non voluti, commessi nelle
sole prime righe della sua lettera e don
Enrico nell’illusione che gli articoli
scritti su di me, quale storico del Lazio,
“sanno tanto di presa in giro” (argomento
questo sul quale ritornerò alla fine),
passiamo ad esaminare il resto della lettera
con tutte le fesserie che è riuscito a
metterci dentro un dotto teologo, professore
di greco e di latino.
1) Sfidandomi
a sbugiardare le prove da lui portate, prove
di natura prettamente storica, don Enrico
non ha fatto altro che dimostrare quanto sia
infondato l’espediente a cui sono ricorsi i
giudici allorché, per archiviare la mia
denuncia, hanno sostenuto che l’argomento
non poteva essere trattato da un tribunale
laico perché di natura teologica. (Vedi
proposta di archiviazione del Pubblico
Ministero Petroselli e relativa sentenza del
Giudice Mautone in data 08/05/2003 –
15/02/2004).
2) Portando
per propria discolpa il fatto di non essere
stato lui a inventare il personaggio Gesù
perché già altri predicavano la sua figura
di uomo prima che lui nascesse, don Enrico
ha dimostrato di essere lui il primo a non
credere o, almeno, a dubitare della sua
esistenza. Se veramente credesse che le
testimonianze da lui citate sono certe e
inconfutabili, non cercherebbe di addossare
su altri le proprie colpe. Quando le prove
dell’innocenza sono evidenti e nette, non si
ricorre alle vie traverse, come fa don
Enrico, dicendo che l’inghippo lui lo ha
trovato già bello che fatto perché costruito
da altri che sono nati prima di lui.
«Quando un
edificio crolla, s’indaga l’impresario e non
l’operaio che vi ha lavorato», insiste a
dire don Enrico dimostrando una volta di più
di essere lui il primo a dubitare della
solidità delle fondamenta su cui è stata
costruita la Chiesa. E come se non avessimo
ancora capito che lui intende tirarsi fuori
da ogni accusa lavandosi le mani di ogni
responsabilità che potrebbe coinvolgerlo
nella costruzione della “grande impostura”,
ripete ancora: «Che parte ho io
nell’operazione Cristo?», come per dire. «Se
Cristo non è esistito, non accusate me, ma
coloro che lo hanno inventato».
Comportamento
da Ponzio Pilato che esprime tutto l’ateismo
che risiede nell’intimo del mondo clericale,
ateismo ben conosciuto da tutti e sul quale
così si esprime l’astronomo Lalande: «Sono
numerosi i preti cattolici che non credono a
Dio, ma per viltà, per paura di perdere il
guadagno o la loro posizione sociale (per
don Enrico sembra che attualmente sia il
riposo) essi nascondono ciò che pensano. Ho
avuto modo di comprenderlo numerose volte e
qualcuno di questi furbi mi ha confessato
che essi predicano ciò che considerano
menzogna. Non si può avere compassione di
questi individui che, oltre verso gli altri,
sono disonesti verso se stessi».
Ma don Enrico
può dire e fare quello che vuole ma non
cercare di liberarsi delle proprie
responsabilità attribuendo ad altri le
proprie colpe perché, anche se non è stato
lui a costruire la truffa, ne è comunque
correo sostenendola in qualità di complice.
Patrocinare
la causa di don Enrico dicendo, come ha
fatto il suo avvocato Bruno Severo
nell’udienza del 29 aprile, che egli non può
essere accusato dei reati 661 e 495 del C.P.
perché non è stato lui a inventare il “Pater
Noster” e il “cristianesimo”, oltre che ad
essere un chiaro riconoscimento
dell’esistenza del crimine, anche se
commesso da altri, costituisce una vera e
propria apologia di reato, la stessa
apologia di reato che commetterebbe chi
pubblicamente affermasse che non è da
ritenersi colpevole chi vende una
paccottiglia velenosa perché non è stato lui
ad inventarne la formula.
3) Dandomi la
possibilità di dimostrare pubblicamente la
falsità dei documenti su cui si basa
l’esistenza storica di Cristo, don Enrico,
quale ministro e rappresentante della
Chiesa, ha messo il cristianesimo in una
posizione estremamente critica di fronte a
tutto il mondo qualora le mie obiezioni
risultassero certe e inconfutabili.
4) In un
compatimento da don Abbondio rivolto a se
stesso, don Enrico, dicendo che non riesce a
capire come sia possibile che tra i 33.000
parroci italiani sia stato proprio lui ad
essere accusato di abuso di credulità
popolare, dimostra di non aver capito che
lui è soltanto il soggetto simbolico di una
denuncia che in realtà coinvolge, con lui,
non solo i 33.000 parroci italiani ma tutti
gli ecclesiastici del mondo, compresi frati,
monache, vescovi, cardinali e Sua Santità il
Vicario di Cristo. Lui, come ministro del
cristianesimo, rappresenta nella denuncia
tutta la Chiesa. Non c’è un Cristo per ogni
prete e per ogni parrocchia. Una volta
dimostrato che Cristo non è esistito la sua
figura di uomo si estingue per
tutti. Praticamente don Enrico non ne ha
azzeccata una. Si può essere dotti teologi e
professori di latino quanto si vuole ma se
non c’è, non c’è!
Di discussioni e diatribe
riguardanti l’esistenza storica di Gesù ce
ne sono state a migliaia se cominciamo a
contarle da quella metà del secondo secolo
nel quale si dette il via al cristianesimo,
ma mai in forma pubblica e ufficiale come
questa che si sta passando tra me e don
Enrico. Tutte si sono svolte in scambi di
opinioni in forma diretta ed indiretta ma
sempre in una maniera ufficiosa che,
rimanendo nel privato, sono finite con quei
bla,bla,bla che hanno lasciato sempre le
cose come stavano.
Don Enrico,
rispondendo alla mia querela in forma
pubblica e ufficiale ha coinvolto per la
prima volta la Chiesa in una discussione
che, anche se viene sostenuta fuori da
un’aula di tribunale, ha comunque tutte le
caratteristiche di un vero e proprio
processo, un processo che vede la Chiesa,
nella persona di un suo rappresentante,
seduta al banco degli imputati che si
scagiona dalle accuse portando come prove
delle propria discolpa le numerosissime
testimonianze, “di provenienza sia religiosa
che pagana”, che le vengono da Giuseppe
Flavio, Tacito, Svetonio, Plinio il Giovane,
Adriano, Trifone, Marco Aurelio, Epitteto e
Publio Lentulo; quelle prove che io avevo
insistentemente richiesto ma che la Chiesa,
avendo capito le gravi conseguenze che ne
sarebbero derivate se me le avesse
pubblicamente fornite, mi aveva sempre
negato. Perché don Enrico lo ha fatto?
Perché don Enrico ha messo la Chiesa in una
situazione così critica? Escludendo che
abbia agito in disobbedienza, quale altro
motivo ci può essere se non quello generato
da una grande leggerezza?
Possibile che
don Enrico non si sia reso conto che se io
riuscirò a sbugiardare le prove da lui
portate sarà la fine del cristianesimo dal
momento che esso si regge essenzialmente
sull’idea del peccato originale e del suo
riscatto attraverso il sacrificio del figlio
di Dio come uomo? Demolita la figura umana
di Gesù, il cristianesimo, basato come è su
di essa, automaticamente crolla, si estingue
per la mancanza del soggetto che la
sostiene, il corpo di Cristo. Almeno che la
Chiesa non decida, per salvarsi, di
ricominciare tutto da capo ricostruendosi
sulla figura di un Cristo essenzialmente
spirituale che è disceso dal cielo prendendo
dell’uomo soltanto le apparenze come fu
concepito da quegli gnostici che furono
trucidati e distrutti perché dichiarati
eretici. Questo è l’unico sistema che
potrebbe permettere al cristianesimo di
trascinarsi ancora avanti per qualche tempo,
una volta che le prove dell’incarnazione
saranno smentite: riportare il cristianesimo
alle sue origini, quelle origini
esseno-pagane che negavano l’umanizzazione
di Cristo.
Sono sicuro
che nella maestria che ha sempre dimostrato
nel rigirare le frittate, la Chiesa, come è
riuscita a far credere che Cristo è morto in
croce, che Pietro è stato il primo Papa, che
gli angeli hanno trasportato in volo la casa
natale della Vergine Maria da Nazaret a
Loreto, riuscirà anche ad operare questa
nuova trasformazione facendo passare per
canonici i vangeli di Marcione, Valentino e
Carpocrate. Finché ci sarà la fede che
permette di “camminare sulle acque”, tutto è
possibile!
Lasciando a questo punto don Enrico
nell’illusione che gli articoli riferentisi
a Cascioli “sanno tanto di presa in giro”,
chiudo questa mia risposta alla sua lettera
mostrandogli ciò che i giornali dicono di
lui.
Sul
Messaggero di Viterbo, in riferimento
all’udienza del 29 aprile, nella rubrica
“Chi sale e chi scende” che tratta dei
successi e degli insuccessi dei VIP della
provincia leggiamo, a proposito di don
Enrico che viene posto fra coloro che sono
in discesa: «Abbia fede, il parroco di
Bagnoregio, denunciato per aver abusato
della credulità popolare sulla storicità di
Cristo: sarà sicuramente assolto perché, in
un caso come il suo, le vie della giustizia
terrena sono come quelle del suo Principale:
infinite (e benevolenti)».
Pace e bene!
Luigi
Cascioli
All’inizio
della prossima settimana, cominciando con
Giuseppe Flavio, sarà pubblicata sul sito
www.LuigiCascioli.it
la confutazione delle testimonianze che don
Enrico ha potato come prova dell’esistenza
storica di Gesù, detto il Cristo.
Se poi don
Enrico vuole veramente sapere chi è Giovanni
di Gamala, glielo dirò in privato al prezzo
di una messa.
……
Dettagli
Querela:
http://www.luigicascioli.it/1querela_ita.php
Processo:
http://www.luigicascioli.it/tabella_ita.php
Ecco due
prove che Gesù Cristo non è mai esistito:
http://www.luigicascioli.it/2prove_ita.php
Intervista
di Cascioli su Rai TG2 (video-audio):
http://www.luigicascioli.it/tg2_ita.php
Luigi
Cascioli
Tel. 0761910283
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rilascio interviste e commenti,
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culturali, etc.
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illustrare e dibattere il tema che "Cristo
non è mai esistito" e il libro-denuncia
“La favola
di Cristo - Inconfutabile dimostrazione
della non esistenza di Gesù”
libro che dovrebbe essere adottato nelle
scuole a beneficio della razionalità dei
ragazzi e degli adulti
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