Si
riparla di amnistia e questa volta pare che
possa essere la volta buona.
Marco Pannella con il suo invito suadente, con
il suo sciopero della fame, più simbolico che
reale, sembra aver compattato le forze
parlamentari sia di destra che di sinistra,
riuscendo lì dove fallì il grande Giovanni Paolo
II, che aveva chiesto al Parlamento un gesto,
anche minimo, di clemenza.
L’emergenza criminale spaventa i cittadini, ma
la vita dei carcerati è una realtà scottante ed
il livello di civiltà e di democrazia di un
Paese si valuta a seconda del modo in cui
vengono trattati i più deboli e non esiste
categoria più abbandonata e negletta della
popolazione carceraria, privata non solo del
bene più prezioso per un individuo: la libertà,
ma costretta, per il disumano sovraffollamento
delle nostre diaboliche “caienne”, a subire una
infinità di pene accessorie più varie, dalle
violenze sessuali alla sporcizia obbligatoria,
stipati come bestie in gabbia, fino a limiti
allucinanti di 16 persone in una cella di 4
metri per 4, più una squallida ed angusta
latrina per i bisogni corporali, per lavarsi e
per lavare le stoviglie dopo i pasti.
Napoli, come sempre, quando si tratta di record
negativi è in testa alla classifica con il
sovraffollamento da quarto mondo dei suoi
penitenziari, al cui confronto i gironi
infernali danteschi impallidiscono miseramente.
In
queste disperate condizioni, prive di qualsiasi
dignità, naturalmente qualsiasi tentativo di
recupero è mera utopia: diritto allo studio, al
lavoro, ad un minimo spazio vitale rappresentano
chimere irraggiungibili.
E
così ogni giorno si calpesta e si ignora
sfacciatamente il terzo comma dell’articolo 27
della nostra Costituzione, il quale recita
solennemente: ”… le pene non possono consistere
in trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tendere alla rieducazione del
condannato”. Inoltre, alle disperate condizioni
di vita nei penitenziari si associano ulteriori
disfunzioni, quali la esasperante lentezza con
cui i giudici di sorveglianza esaminano le
posizioni dei detenuti, che avrebbero diritto ad
uscire dal carcere ed usufruire del regime di
semilibertà.
Se
Napoli è da record, anche gran parte degli altri
istituti di pena italiani soffrono di condizioni
di sovraffollamento più o meno gravi e di
condizioni di vivibilità ai limiti dell’incubo.
Un inferno che neanche la fertile fantasia di
Dante avrebbe potuto immaginare, causato dal
gran numero di detenuti. Un record europeo del
quale vergognarsi, che potrebbe in parte
attenuarsi attraverso una diffusa adozione del
braccialetto elettronico, che permetterebbe un
maggior utilizzo degli arresti domiciliari,
soprattutto per i detenuti in attesa di
giudizio, i quali per i 2/3 verrà assolto al
termine del giudizio. Ma soprattutto un gesto di
clemenza, anche ridotto, per dimostrare che lo
Stato non dimentica nessun cittadino.
Achille della Ragione
|