20 settembre 2005
Considerazioni su Israele, dal Congo
Ilaro Franco

 

 

Cari amici di ViviTelese,

ho seguito con molta attenzione la discussione sviluppatasi sulla questione Israeliana e, data la delicatezza del problema, non mi meraviglia come ci siano analisi fortemente contrastanti e, spesso, toni accesi. Non voglio entrare nel merito dei messaggi precedenti. Cercherò di dire la mia ma prima mi sembra giusto ricordare alcuni momenti fondamentali della storia PALESTINESE, intendendo con questo termine un'area geografica e non un singolo Popolo. Solo in questo modo, avendo dei dati sui cui nessuno, credo, potrà dissentire, si capiranno meglio le mie considerazioni.  

Dopo la prima guerra mondiale con il crollo dell'impero Ottomano, tutta l'area mediorientale diventa un protettorato della Francia, dell'Inghilterra e Stati Uniti. In particolare la Palestina sarà controllata dagli inglesi che nel 1921 con la conferenza del Cairo, voluta da Churchill, definiscono la nascita di alcuni Stati, come l'attuale Iraq. L'unico territorio che resta un protettorato inglese è la Palestina. Il problema di quest'area è la presenza di molti ebrei che spingono per la creazione di un loro stato. La migrazione in quei territori era cominciata alla fine del XIX secolo con i seguaci di Sion.

Questo punto è fondamentale perchè ci dice essenzialmente che la presenza degli ebrei in Palestina è dovuta ad una migrazione per motivi religiosi. Migrazione che avviene in un territorio a maggioranza araba e, quindi, islamica. Eppure la situazione Ebrei-Mussulmani si esaspera solo durante il periodo seconda guerra mondiale quando la migrazione diventa massiccia per quello che avveniva in Europa. Non a caso l’Inghilterra tenta di rallentare questo flusso proprio perché consapevole di quelle che potevano essere le conseguenze.

Nel 1948, con la creazione dello Stato d’Israele si scatena la prima guerra Arabo-Israeliana: da questo momento ci saranno altri 4 conflitti, senza contare le due Intifada e gli innumerevoli attentati terroristici e le risposte “militari”  israeliane. In pratica lo Stato d’Israele, nei suoi circa 60 anni di storia, ha sempre vissuto in uno condizione di conflitto. Credo che sia l’unico Stato in assetto da guerra da oltre mezzo secolo. Il termine guerra non credo sia esagerato, altrimenti avrei difficoltà a capire le migliaia di morti da entrambe le parti: due fronti che si combattono con una violenza che solo l’odio reciproco può giustificare. Non mi si dica che i missili o i carri armati  sono altra cosa rispetto ai kamikaze: sono solo le due facce di una grande tragedia umana a cui bisogna porre rimedio, senza pensare che qualcuno possa essere più “selvaggio” dell’altro.

Oggi, finalmente, c’è un primo passo. Finalmente si è capito (dopo quanti morti!!) che la pace può essere raggiunta solo cedendo qualcosa all’altro. Mi auguro che dopo la Striscia di Gaza, oltre ad altri insediamenti, il Governo d’Israele convenga che anche Gerusalemme Est debba essere ceduta ai palestinesi (arabi). Ad ogni modo si tratta di territori occupati durante i tanti anni di guerra: Gaza era egiziana mentre Gerusalemme  giordana. 

Solo in questo modo si potranno creare le condizioni per un processo di pace che, indubbiamente, sarà lento vista la situazione generatasi-degeneratasi in questi ultimi 60 anni.

Uno scrittore israeliano, David Grossman, che ha aderito all’accordo di Ginevra, non capiva “come fosse possibile che un intero popolo fosse capace di ammaestrare se stesso a vivere da conquistatore senza che ciò gli amareggiasse tutta la vita”.

Io aggiungo: non capisco come un popolo possa accettare di vivere senza avere rapporti con il proprio vicino. E’ ovvio che considero Israele responsabile fondamentale della situazione in Palestina. E poiché lo considero il protagonista forte, sia politicamente che economicamente, mi aspetto che i primi passi arrivino da quella direzione, come del resto sta accadendo. Anche perché cosa potremmo chiedere ai Palestinesi Arabi? Non hanno lo stesso diritto di avere un loro Stato con capitale Gerusalemme? Credo sia difficile giustificare una risposta negativa.

Pertanto cercherei di non giudicare tutto soltanto dalle prime reazioni alla liberazione di Gaza (distruzione delle serra o, peggio ancora, delle Sinagoghe): sarebbe come indicare la luna e guardare il dito.

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