La dottrina
strategico-politica di
Bush potrebbe
riassumersi, almeno per quel che riguarda la
sua versione ufficiale, nel seguente schema
di ragionamento: esportare ed imporre, con
la violenza delle armi, la cosiddetta
“democrazia” - ossia il modello U.S.A. di
democrazia - in tutto il pianeta,
soprattutto laddove è più conveniente, come
nell’area del Golfo Persico, tra i Paesi più
ricchi di petrolio e di
altre preziose materie prime che
scarseggiano sempre più e dunque costano
sempre più.
Non dobbiamo dimenticare che il Golfo
Persico, esattamente la
Mesopotamia - l’attuale Iraq - fu, in
tempi remoti, la culla delle prime, più
evolute civiltà umane come i
Sumeri, i
Babilonesi, poi assoggettati dagli
Assiri, ecc.
La rozza dottrina della
White House di Washington, espressa
da alcune avanguardie ideologiche
neoconservatrici, pretende di imporre la
“civiltà moderna” (retta su un assetto
imperiale dell’economia capitalistica in
fase di
espansione su scala planetaria, un assetto
guidato dai vertici dell’establishment
militare-industriale
nordamericano) a popoli che conoscono la
civiltà più autentica dall’epoca più antica
della storia del genere umano.
Secondo la teoria dell’amministrazione
yankee, in Medio Oriente non può esserci
“pace” o “stabilità”, senza un cambio di
regime in Iraq, in Iran, in Siria, che
sono tre
micro-potenze
regionali, i cui governanti, sgraditi
all’Occidente perché avversi alla
“democrazia occidentale”, impedirebbero
un’equa soluzione del conflitto
arabo-israeliano, precisamente della
questione palestinese, che rappresenta il
nodo centrale di tutte le vertenze e le
controversie mediorientali - ciò è l’unico
elemento di verità contenuto nella tesi
nordamericana! Da tali
premesse teorico-politiche, formulate
dall’amministrazione
Bush, si deduce che nel prossimo
futuro, la presunta “democrazia”
made in U.S.A.
dovrebbe essere imposta, ovviamente con la
forza bellica, ossia con un violento
rovesciamento dei regimi in carica, in Iran
e in Siria…e poi? L’esportazione della
“democrazia” sarà dunque imposta
dappertutto, esattamente laddove converrà
agli interessi imperiali ed espansionistici
dell’economia del dollaro, inaugurando un
lungo ciclo di guerre di rapina, o meglio un
ciclo di “globocolonizzazione”
del pianeta da parte dello strapotere che fa
capo al regime yankee,
protettore dell’economia di
Wall Street,
delle multinazionali, del Fondo Monetario
Internazionale, della Banca Mondiale e via
discorrendo.
Ma
vediamo in breve come funziona il sistema,
tanto decantato, della “democrazia” degli
Stati Uniti d’America.
Mi pare che nella “società democratica” più
antica e potente del mondo, il potere
politico sia concentrato esclusivamente
nelle mani di un’oligarchia elitaria di
professionisti e carrieristi dello Stato,
mentre i “cittadini-sudditi” possono
esercitare solo un “diritto-dovere” di voto.
In effetti, nella realtà statunitense appena
il 40 % della
popolazione mette davvero in pratica quel
“diritto-dovere”; invece il restante 60 %
diserta regolarmente, puntualmente, le urne
elettorali. Sfido chiunque a confutare tali
dati.
Invito chiunque a
smentire il fatto che alle ultime
elezioni presidenziali nordamericane,
Bush junior è
stato eletto solo con il 20 % dei consensi.
Pertanto la “democrazia”
made in U.S.A.
esclude dalla partecipazione politica
concreta - ma anche dalla partecipazione di
tipo semplicemente politico-formale ed
elettorale - oltre il 60
% della popolazione statunitense.
Infatti milioni
di negri, di ispanici, di cinesi e di altre
“minoranze etniche” - che insieme formano la
stragrande maggioranza del popolo
nordamericano -, si astengono in maniera
cronica e sistematica, dall’esercizio e
dalla pratica del voto, perché non si
sentono politicamente rappresentati, per cui
sono estromessi dal sistema politico, sono
di fatto emarginati dalla “vita democratica”
del Paese, nella misura in cui i diritti e
le libertà democratiche sono in pratica
negati alla cospicua maggioranza dei
“cittadini” statunitensi.
Invece di imporla, o proporla, agli altri
popoli della Terra, mi pare che i governanti
di Washington dovrebbero preoccuparsi di
estendere, in modo concreto, la civiltà
democratica più autentica, lo stato di
diritto, le libertà costituzionali,
sancite solo
formalmente, a tutti i “cittadini” ai quali
quei diritti e quelle libertà di carattere
democratico, sono attualmente negati - e
sfido chiunque a contestare tali
affermazioni.
Purtroppo i “maestri” e i “campioni” - come
Bush & soci - di
questa ipocrita e
perversa “democrazia”, pretendono di imporla
all’intero pianeta con il ricorso
sistematico alla guerra, al fine di
espandere e rafforzare l’organizzazione di
un “involucro protettivo”dell’Impero
economico-monetario globale che fa capo al
dollaro
statunitense.
Dall’11 settembre 2001, giorno dell’orribile
attentato compiuto contro
le Twin
Towers di New
York, nel cuore dell’Impero globale, si è
sempre più evidenziato un dato certo ed
inoppugnabile, una verità che, per quanto
possa apparire cinica ed amara, è
assolutamente inconfutabile.
Come gli avvenimenti immediatamente
successivi hanno dimostrato ed in seguito
anche gli eventi a noi più prossimi hanno
confermato, quell’efferato
crimine perpetrato contro l’umanità,
quell’abominevole
eccidio di massa – tanto per chiarire la mia
opinione -, ha fornito l’occasione più
propizia per produrre nuove, immense
“fortune” economiche e politiche sulla scena
planetaria. Molto probabilmente, come si
venne a sapere da attente indagini sui
movimenti finanziari condotti nei giorni
immediatamente precedenti al massacro contro
il popolo statunitense (non contro il
capitalismo nordamericano e mondiale, come
si è voluto supporre ), il
risvolto
economico relativo alla formazione di
ingenti profitti finanziari accumulatisi
nelle settimane e nei mesi successivi
all’attentato, suffraga un’ipotesi solo in
apparenza folle o parossistica, secondo cui
l’azione stragista non sia stata motivata da
alcun intento di natura politico-ideologica,
né da sentimenti
etico-religiosi di ispirazione
islamico-integralista, ma esclusivamente da
ignobili finalità di segno affaristico.
Immagino che tali affermazioni possano
suscitare reazioni di sdegno e scandalo tra
i lettori, nella misura in cui rivelano una
raccapricciante realtà, quella di un sistema
economico rapace e criminale, articolato ed
esteso su scala globale,
un mostruoso apparato
capitalistico-finanziario costruito
su metodi scientifici di sfruttamento, di
rapina e di estorsione, attuati a livello
planetario.
Questo “nuovo ordine mondiale” permette a
speculatori totalmente privi di scrupoli, di
approfittare anche e soprattutto dei più
atroci delitti e delle peggiori nefandezze –
come l’attentato commesso a New York nel
settembre 2001 -, per accumulare colossali
“fortune” economiche, per rimpinguare i
proventi capitalistici di pochi,
potentissimi detentori delle ricchezze
mondiali, depositari del dominio
sull’economia imperiale planetaria, e perciò
padroni del destino di tutti i popoli della
Terra, un pianeta abitato da oltre sei
miliardi di
esseri umani, i due terzi dei quali vivono
molto al di sotto della soglia della
povertà, in particolare quasi due miliardi
di individui si trovano al limite estremo
della povertà, sopravvivendo a stento con
meno di un euro al giorno.
Tale assetto del potere economico-politico
strutturato su
scala globale, favorisce quindi una
crescente concentrazione delle ricchezze,
nonché del controllo e delle decisioni
politiche internazionali, nelle mani di
minoranze sempre più ristrette, sempre più
avide e corrotte, sempre più criminali e
prepotenti, capaci di estorcere con la
violenza, più o meno legale – vedi il caso
Iraq -, le risorse materiali ed umane
appartenenti ai popoli della Terra, ossia a
miliardi di persone, e capaci di sottrarre,
con l’inganno e l’astuzia, i risparmi di
milioni e milioni di piccoli investitori e
di semplici lavoratori in tutto il mondo,
condannandoli alla fame ed alla miseria. In
altri termini, questo “ nuovo ordine
globale” è
costruito in modo tale da accrescere nel
tempo le già gravissime sperequazioni e
disuguaglianze sociali e materiali oggi
esistenti, approfondendo il divario a
forbice tra ricche minoranze sempre più
ricche e potenti, da un lato, e dall’altro
masse sempre più estese di poveri, destinate
ad impoverirsi e
disumanizzarsi sempre di più.
Con l’avvento della cosiddetta “globalizzazione
economica”, ossia con l’ascesa e
l’espansione a livello mondiale del mercato
capitalistico, si è storicamente determinato
un metodo di distribuzione delle ricchezze
planetarie sempre più iniquo, irrazionale ed
intollerabile per la stragrande maggioranza
delle donne e degli uomini della Terra, con
conseguenze e costi inimmaginabili per
l’equilibrio e la distensione mondiali,
vista anche la tendenza demografica di
natura esplosiva e destabilizzante che si
registra nella realtà abnorme di continenti
come l’Africa e l’Asia.
Sulla base del ragionamento fin qui
sostenuto, si può senza dubbio asserire che
con l’atto terroristico e criminale dell’11
settembre 2001, non abbiano nulla a che
spartire, né la causa arabo-palestinese, né
le rivendicazioni dei diseredati della
Terra, né il
fondamentalismo religioso di matrice
islamica, né l’antiamericanismo ideologico,
né altre ragioni che sono senz’altro più
nobili, bensì soltanto il folle e spietato
cinismo degli affari, l’arroganza e la
perversione di un sistema economico privo di
moralità e di
ideali, l’avidità e la voracità di un
capitalismo mondiale scevro di umanità e
sprovvisto di un minimo di razionalità
etica, mosso esclusivamente da una logica
ferrea e feroce costituita dalle ragioni del
profitto e del business finanziario.
Si pensi, ad esempio,
alla guerra in Iraq e alle sue cause, siano
esse ipotetiche, reali o dichiarate. In
quella tragica vicenda, la principale
“colpa” di Saddam
Hussein non è
stata tanto quella di essere un dittatore
feroce e sanguinario, come
veniva
sbandierato dalla propaganda bellicista
anglo-americana e come in effetti egli è
stato, bensì quella di aver convertito in
euro, all’incirca un anno e mezzo fa,
ingenti riserve statali di petrodollari, un
“reato” assolutamente grave ed imperdonabile
per i padroni ( pochi ) e per i servi
(tantissimi ) dell’Impero monetario del
dollaro statunitense, il cui primato, quando
viene meno la spinta motrice dell’economia e
della politica, viene sorretto e rilanciato
da una devastante forza militare!
Inoltre, non sono da sottovalutare le
ragioni connesse al controllo e al possesso
delle risorse petrolifere e
di altre preziose
materie prime di cui l’Iraq è uno dei
principali paesi produttori, nonché l’enorme
importanza che l’Iraq riveste per la sua
centralità territoriale in un’area
strategicamente essenziale come quella del
Golfo Persico, tra il Medio Oriente e l’Asia
centro-orientale. Per molti anni il regime
tirannico di Saddam
ha costituito un fedele bastione
dell’occidente a presidio di un’area che nel
lontano 1979 fu
destabilizzata dalla rivoluzione
khomeinista,
esercitando un ruolo funzionale agli
obiettivi economico-politici nordamericani.
Infatti,
non si può fingere di non sapere che
Saddam è stato
il principale alleato degli interessi
imperiali statunitensi ed un ottimo socio in
affari della Casa Bianca, visto che è più
facile stringere patti scellerati e
stipulare intese economico-politiche di un
certo tipo, ossia poco pulite e poco lecite,
con i regimi dittatoriali anziché con
governi più democratici.
Purtroppo per Saddam
Hussein,
quell’amicizia e
quel sodalizio
sono definitivamente crollati allorquando il
famigerato dittatore ha firmato un accordo
per la fornitura di greggio iracheno – che,
non dimentichiamolo, è il meno caro del
mondo, se si pensa che un litro di benzina
in Iraq costa appena 10 lire! – a favore
della Francia,
della Russia e della Cina, e dall’intesa
sono rimasti esclusi proprio gli
U.S.A., i quali
si sono prontamente vendicati, da “padroni
del mondo” come essi si proclamano e come
pretendono di essere considerati.
In effetti, proprio dal momento in cui il
primato economico-militare nordamericano si
è imposto rapidamente su scala planetaria,
grazie soprattutto al crollo del muro di
Berlino e del Patto di Varsavia, incentrato
sul predominio sovietico,
ovvero dal 1989
in poi, la crescente preponderanza
dell’economia sulla politica e sulle altre
dimensioni della vita sociale degli uomini,
ha convinto gli stessi fautori e teorici
della “globalizzazione”
ad impossessarsi degli strumenti di analisi
e di indagine scientifica che erano propri
del pensiero marxista, allo scopo di
comprendere e controllare meglio i processi
e le dinamiche, sempre più vaste e
complesse, di un’economia di mercato che si
espande e si afferma con velocità
vertiginosa a livello globale.
Oggi, nessuna persona dotata di buon senso e
di onestà
intellettuale, può dunque negare
l’ignominiosa evidenza di un mondo sempre
più dominato da pochi operatori finanziari
in grado di determinare, o quantomeno di
condizionare, in maniera abietta e
scellerata, le scelte politiche fondamentali
per il destino dell’intera umanità.
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