Sciopero dell'informazione: ma l'informazione
può scioperare?
Parlare del mondo dell'informazione potrebbe
sembrare blasfemo, specie se a farlo è una
componente di questo pianeta che una volta
veniva identificato come quarto potere.
Ma ci sembra doveroso operare qualche distinguo
in questo mondo che, tra luci ed ombre, tiene
informato il cittadino.
Non è la prima volta che ci imbattiamo in
riflessioni di questo tipo che riguardano il
delicato settore professionale, ma almeno
abbiamo il privilegio di farlo da autodiegetici
del problema non essendo legati ad editori o
imprenditori di cordata, né avendo mai siglato
contratti nazionali di un lavoro che di regola
non dovrebbe essere dipendente da nessuno se non
dalla propria coscienza. Sin dall'idea primaria
che, nel lontano 1709, portò alla nascita del
giornalismo come attività professionale e dei
primi quotidiani ad opera dei pionieri della
categoria Thomas Addison e Richard Steel, la
stampa era stata intesa libera dalle intemperie
della politica che muoveva i suoi primi passi
distinguendosi in partiti. Lo spirito
indipendente che ha sempre mosso la categoria ha
permesso che nei secoli molta storia fosse letta
dalla giusta angolazione, grazie alla lucida
testimonianza dei fatti effettivamente accaduti.
Da quando, poi, gli editori sono stati promossi
ad imprenditori, con tutto il pieno significato
del termine, anche l'informazione è stata
costretta ad attraversare la strettoia della
clessidra rappresentata dalle regole di mercato
e dagli orientamenti ideologici, trasformando il
giornalista da testimone degli eventi, ad
osservatore e censore allo stesso tempo. Questa
ha causato uno spostamento dell'asse di
interesse dalla cronaca dei fatti
all'approfondimento orientativo di essi a
seconda del credo, arrivando persino a palesere
i collocamenti nelle diverse aree politico
partitiche.
E' ovvio che una simili idea cozza molto con la
deontologia di base, ma si sa che l'etica
profesionale non ha mai dato da mangiare a
nessuno. Nel nostro mestiere non vi sono orari,
nè festività, insomma è un lavoro che si svolge
24 ore al giorno per 365 giorni all'anno senza
risparmio di energie, almeno che non sia stato
indetto uno sciopero della Federazione Nazionale
della Stampa Italiana, il massimo organo
sindacale di categoria che dovrebbe
salvaguardare gli interessi dell'intera
categoria, e non certo solo di chi ha siglato un
contratto di lavoro dipendente.
Ma siccome anche nel nostro mondo esiste la
discriminante dei figli e deifigliastri, dei
belli e dei brutti e dei noti e sconosciuti, dei
giornalisti di serie A e quelli di serie ignota,
allora è normale che si indicano scioperi per
salvaguardare gli interessi di pochi, a scapito
della massa deforme di chi uno straccio di
contratto non ce lo avrà mai, come neanche una
miserissima ricompensa al proprio duro lavoro.
E' noto a tutti, compreso l'acuto presidente
Serventi Longhi che quotidianamente le edicole
italiane restrebbero vuote se non fosse per il
varo certosino di un esrcito di missionari
dell'informazione, con l'altruistica vocazione
allo sfruttamento redazionale, umiliati e mal
pagati, se non completamente ignorati, che
contribuiscono con il loro sudore gratuito a che
rotative e tipografie sfornino informazione.
Per loro non vi è sciopero, nè girotondo, loro
non esistono, sono numeri d'ordine che
annualmente versano il loro obolo all'ordine
nazionale di categoria, a quello regionale e
molti anche al sindacato territoriale.
Come anche non esistono scioperi della FNSI
finalizzati a chiedere al governo che fine abbia
fatto la legge 150/2000, la più grande bufala
che un legislatore potesse concepire, specie se
si considera il fatto che se da una parte ha
avuto la finalità di permettere la sistemazione
di tanti giornalisti rimasti fuori dai contratti
decentrati, dall'altra parte
fornisce agli Enti pubblici e privati la
scappatoia legale per non assumerli ai sensi di
una legge che noi definiremo esortativa.
A tale proposito non ci risulta sia mai stata
assunta alcuna forma di protesta per
salvaguardare questo ennesimo esempio di
sfruttamento autorizzato di migliaia di addetti
stampa della pubblica come della privata
amministrazione.
Ma in Italia i giornalisti sono solo coloro che,
per mano celeste, vengono fatti sedere nelle
redazioni del Corriere della Sera, di
Repubblica, nelle redazioni Rai o Mediaset,
gli altri, i freelance, i cronisti locali, i
corrispondenti, la plebaglia, insomma, non
hanno diritto al titolo, sono manovalanza, gli
extracomunitari del mestiere che, non avendo
santi in paradiso, sono costretti a guadagnarsi
da vivere con il solo beneficio della proporia
intelligenza e spirito di sopravvienza. Quelli
sono dei morti di fame, la cui esistenza ha
l'unico scopo di versare la quota annuale, e di
contribuire ad ingrossare il portafogi di
editori ed imprenditori editoriali.
Ma l'informazione può scioperare?
Si, deve scioperare, ma non quel 10% del
giornalismo che conta, ma qual 90% del
giornalismo che non esiste. Sono loro che
dovrebbero scioperare per 6 mesi, portando alla
paralisi un
mondo che ci ha tolto pure la gioia e l'orgoglio
di esserne parte.
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