Devolution si, devolution no: Una Questione
d'onestà intellettuale.
Il tema della devolution ha praticamente
paralizzato il dibattito politico in Italia su
ambedue i fronti, intenti come sono a sviscerare
i benefici o i malefici della devoluzione, atto
finale di quella riforma federalista dello Stato
richiesta a più voci già da anni, ma con
modalità, ovviamente, diverse.
Ci si affanna, anche sui media, a beatificare o
condannare una legge che resta fondamentalmente
iniqua, perché non tiene conto del fatto che non
tutte le regioni che compongono il nostro
stivale possono essere paragonate alle ricche
zone padane, o comunque all'area geografica del
centro nord.
In questo senso è palesemente mancata l'onestà
intellettuale di spiegare agli Italiani, quelli
terremotati del sud, la cui economia è ben lungi
dal potersi permettere una devoluzione in tal
senso, che la legge in se per se è solo il
frutto di un debito d'onore, adesso saldato, con
la Lega Nord, a prescindere dal giovamento che
questa possa apportare all'intero Paese.
Che dalle nuove disposizioni venga fuori
un'Italia frazionata non era certo il centro
sinistra a doverlo dire, con quell'aria da
madrigale dai toni foschi, che per quasi cinque
anni ha accompagnato il governo Berlusconi come
fosse l'impero di Belzebù. Il dato è palese,
basta sbirciare nelle statistiche regionali per
capire che il gap tra nord e sud diventa sempre
meno rimediabile se le regioni dell'ex questione
meridionale rimarranno le assistite e quelle
dell'ex regno sabaudo piemontese le asssistenti.
Questo vuol dire che l'Italia a due marce non
scomparirà con la devoluzione, anzi lo stato
federale si troverà peggio di prima a dover far
da balia fisica ed economica a tanti
governatorati la cui condizione economica
impedisce una messa a regime delle nuove regole.
Ma, dopotutto, l'assistenzialismo in Italia è
oramai una folkloristica consuetudine
istituzionalizzata, specie in quelle aree del
sud dove i bacini elettorali continuano a fare
la differenza.
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