22 gennaio 2005
Trimalchione e la "coltura" delle palme
Alessandro Liverini

 

 

La storia della letteratura universale ci parla spesso di uomini che con il buon gusto proprio non ci sanno fare. C'è l'esempio di Petronio che nel suo Satyricon, con lucido realismo, ci descrive la figura di Trimalchione, uomo di origini popolari, arrampicatore senza cultura che, a causa della decadenza del tempo e di spicciole contingenze, riesce ad accumulare ricchezza e a gestire anche una buona fetta di potere.

 

La cosa buffa è che Trimalchione non si limita a proseguire lungo la sua torva rotta, ma fa di tutto per accrescere la sua dignità sociale, ostentando platealmente i suoi averi. Coppe d'oro, bracciali di diamanti, vestiti sontuosi, anelli luccicanti, lamine sfavillanti ricoprono totalmente il suo corpo; i suoi gesti vorrebbero essere delicati ed eleganti, le sue parole ricercate e belle.

 

In sostanza vorrebbe apparire come il contrario di quello che è realmente. Vorrebbe rifuggire quell'alito malsano che lo ricopre, spogliarsi del suo sudiciume infinito e quotidiano. Ahi noi.... non ci riesce. Lo potremmo definire rozzo, kitsch o meglio ancora cafone! Senza alcun pudore Trimalchione ostenta la sua putrida voglia di potenza, il suo nefasto senso del grande, del mirabile, dello sfarzoso.

 

E' in sostanza la negazione categorica di cultura, bellezza, semplicità. Penso che tutti gli uomini, tutte le donne, sin dalla loro tenera età abbiano il diritto di essere educati ai valori di cultura, bellezza, semplicità e penso che chi regge la cosa pubblica debba essere attento alla cultura, alla bellezza, alla semplicità. Non sto parlando di rivoluzione del sistema di produzione e riproduzione capitalistico, né di sperimentare lo stato etico di Hegel e neanche di diffondere alla popolazione il pensiero taoista. Sto parlando di semplicità. Non abbiamo bisogno di slanci metafisici, nè di monumentalità vittoriana. Abbiamo bisogno di riscoprire il valore minimo eppure tanto grande del buon gusto, della delicatezza, dell'armonia.

 

Telese in questi ultimi anni ha subito un processo lento e profondo di svuotamento e ipertrofia. Potrebbe sembrare paradossale, ossimorico, ma è così. Abbiamo perso l'abitudine a sentirci comunità, grande famiglia, luogo e tempo di partecipazione, di confronto, di emersione. Abbiamo perso l'abitudine a dare il giusto nome alle cose. Abbiamo perso il senso stesso dell'essere paese. Abbiamo guadagnato palazzoni e cemento, esagoni d'aiuola, traffico e trambusto, parchimetri. Abbiamo guadagnato due belle palme che sono più un pugno nell'occhio, che una carezza in viso. Abbiamo guadagnato....

 

Allora mi chiedo e vi chiedo: meglio avere un portafogli pieno di modernizzazione selvaggia o una tasca piena di caramelle, uno zaino pieno di libri ed una testa e un cuore che chiedono incessantemente il futuro? Kest'è la domanda. Ognuno dia la risposta e nelle sedi opportune agisca di conseguenza.

 

    

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