Il
documento originale appare nel numero de The
Economist 26/11/2005, in edicola dal 25.
Il
presente documento non è una traduzione, bensì
una sintesi del testo originale.
Eventuali virgolettati, per essere fedeli,
devono basarsi sul testo in inglese e non su
questo scritto.
“Addio, dolce vita” -- sintesi
“Malgrado le sue tante attrattive, l’Italia è in
un lungo e lento declino. Rovesciare la tendenza
richiederà più coraggio di quanto i suoi attuali
leader politici sembrano possedere”
di
John Peet
In
superficie, la vita italiana appare ancora molto
dolce. E’ tuttora possibile stare meglio in
Italia che in qualsiasi altro posto. Sotto al
dolce però, le cose sembrano come inacidite. Il
miracolo economico del dopoguerra, culminato nel
famoso “sorpasso” dell’economia inglese, è
finito davvero. La crescita media dell’economia
italiana negli ultimi 15 anni è stata la più
lenta d’Europa e ora la sua economia è solo
circa l’80% di quella del Regno Unito. Le
piccole aziende a conduzione familiare, una
volta la spina dorsale del Paese, sono sotto una
crescente pressione, i costi salgono ma la
produttività ristagna. Con l’euro, si è bloccata
la valvola di sfogo delle svalutazioni. La
competitività deteriora velocemente e le quote
dell’export mondiale e dell’investimento diretto
estero sono molto basse. Per produttività
l’Italia è recentemente finita ad un umiliante
47° posto nel mondo, appena al di sopra della
Botswana. L’economia si è rivelata altamente
vulnerabile alla concorrenza cinese.
L’effetto
del declino si comincia a notare. Cala lo
standard di vita per molte persone. Molti
ritengono che siano saliti i prezzi con
l’introduzione dell’euro. I prezzi immobiliari
sono fuori della portata di chi vuole acquistare
una prima casa in parecchie città. Tanti
italiani riducono le vacanze estive o ne fanno a
meno. Altri rimandano l’acquisto di automobili e
perfino di vestiti. I supermercati riferiscono
che cala il fatturato nell’ultima settimana del
mese, un segno sicuro che molte famiglie non ce
la fanno ad arrivare al giorno di paga col
reddito che hanno. La debolezza economica è
causa anche di altri problemi. L’infrastruttura
deteriora, gli standard scolastici sono in
declino. Nessuna università italiana arriva
ormai nella classifica delle prime novanta al
mondo. La spesa per la ricerca e sviluppo è
bassa per gli standard internazionali. L’Italia
ha sofferto più della sua quota di scandali
aziendali con Cirio e Parmalat. Le finanze
pubbliche sono a pezzi. Si stima un deficit per
l’anno prossimo del 5% del PIL, molto al di
sopra del 3% fissato dal patto di stabilità. Il
debito pubblico è al 120% del PIL e non è più in
calo. Perfino il tessuto sociale è sotto
pressione. La famiglia resiste, ma il fatto che
il 40% degli italiani tra i 30-34 anni sia
ancora in famiglia non è un buon segno. Il
rispetto per la legge e per le regole – mai alto
– sembra essere sceso ulteriormente. Sia
l’evasione fiscale sia gli abusi edilizi paiono
in crescita, incoraggiati da ripetute amnistie.
Il crimine organizzato e la corruzione restano
forti, particolarmente al sud. In fine, la
situazione demografica è terribile. Il Paese ha
un tasso di natalità tra i più bassi in Europa e
la popolazione decresce. Siccome gli italiani
vivono più a lungo, l’età media della
popolazione cresce rapidamente. Le conseguenze
economiche, particolarmente per le pensioni,
sono preoccupanti. La disoccupazione, allineata
con le medie europee, non è grave, ma è
concentrata al sud e tra i giovani in maniera
preoccupante.
Il
governo Berlusconi, eletto nel maggio 2001,
sembra destinato a essere il primo governo del
dopoguerra a restare al potere per un cinquennio
intero, cosa di cui va molto fiero Mr.
Berlusconi. Dovrà essere molto meno fiero per
quanto riguarda l’andamento economico. Durante
la campagna 2001 ha promesso di applicare la sua
abilità come uomo d’affari per aumentare le
ricchezze del Paese. In questo ha fallito. Il
parere dell’Economist riguardo a Mr. Berlusconi
è noto. Abbiamo dichiarato nel 2001 che era
“unfit” (inadatto/indegno) a governare l’Italia.
Quel verdetto resta valido. Comunque, come
abbiamo detto allora, c’erano anche validi
motivi per votare la coalizione di centrodestra.
Il Paese aveva un gran bisogno di riforme, di
liberalizzazione, di privatizzazione, di
deregolamentazione e di rinnovo della pubblica
amministrazione, tutte cose promesse da Mr.
Berlusconi - che ha anche giurato di ridurre le
tasse. Ora, con le prossime elezioni in vista,
molto poco di quanto ha promesso è stato messo
in atto. Perfino l’apparente stabilità politica
che ha ingenerato è meno di quanto sembri, con
una litigiosa coalizione a sei che ha rasentato
il collasso più volte. Al momento, l’opposizione
di centrosinistra guidata da Romano Prodi sembra
favorita nelle prossime elezioni. Ma anche se
riuscirà a vincere, Mr. Prodi troverà difficile
introdurre riforme – quanto meno perché la sua
coalizione abbraccia nove partiti, alcuni dei
quali ostacolerannoogni cambiamento. E’ stato un
alleato di Mr. Prodi, Fausto Bertinotti con i
suoi comunisti impenitenti, a spingerlo fuori
dal governo nel 1998.
La
verità è che nessuno dei due grandi
raggruppamenti della politica italiana offre
molte speranze a quelli che credono che il Paese
abbia bisogno di grandi e dolorose riforme. Ma
l’Italia sta arrivando al dunque. La sua
situazione è quella della Venezia del 18°
secolo, rimasta seduta troppo a lungo sui
successi del passato. La Serenissima è oggi poco
più che un’attrazione turistica. E’ questo il
destino dell’Italia? Una parte degli acciacchi
che hanno reso l’Italia “il malato d’Europa”
vanno forse oltre il suo controllo. L’attuale
Governo ha certamente piacere di vederla così.
Alcuni ministri fanno notare come tutte le
economie europee zoppicano dopo l’attacco
all’America dell’11 settembre 2001. Il ministro
dell’Economia dell’epoca, Giulio Tremonti ha
fatto in fretta a dare la colpa della debolezza
economica italiana ai terroristi. Quando è
tornato al dicastero due mesi fa ha trovato due
nuovi capri espiatori: l’euro e la Cina – due
temi che, con poca sottigliezza, puntano il dito
a Romano Prodi. Certo, il contesto
macroeconomico non ha aiutato. Però, la
debolezza principale negli ultimi anni è stata
l’andamento delle esportazioni. Il consumo
interno regge abbastanza, ma la quota italiana
dell’export internazionale è in calo. Molti
italiani ritengono che il cambiamento dalla lira
abbia fatto scoppiare l’inflazione. In realtà,
l’euro non è stato così negativo per l’Italia
come crede chi lo critica. Ha tenuto bassa
l’inflazione. Secondo l’ufficio statistico del
governo, perlopiù affidabile, l’effetto sui
prezzi è stato trascurabile, anche se è indubbio
che i prezzi di alcuni servizi d’uso quotidiano
sono saliti a razzo e alcuni commercianti hanno
sfruttato l’occasione. Ciò che è innegabile è
che l’avvento dell’euro ha interrotto
l’abitudine italiana alla svalutazione. Ora il
Paese deve imparare a vivere con una bassa
inflazione, deficit ristretti e una stabile
moneta europea. Non sorprende che un
aggiustamento così massiccio sia doloroso. Se
l’Italia avesse proseguito con le sue politiche
storiche, è difficile capire come avrebbe potuto
sopravvivere il Mercato Comune Europeo. Anche
l’Italia avrebbe potuto fallire alla maniera
dell’Argentina – un paese che aveva adattato una
versione estrema del vecchio modello italiano.
Nei fatti, l’euro ha reso sopportabile
l’indebitamento pubblico in quanto riduce il
costo degli interessi da pagare. Per restare
competitiva senza poter ricorrere alla
svalutazione, l’Italia deve introdurre riforme
strutturali per aumentare la produttività e
ridurre i costi, nonché riordinare le finanze
pubbliche. L’euro ha rivelato le reali debolezze
dell’Italia, che sono di natura microeconomica.
Comprendono le rigidità dei mercati per i
prodotti e per il lavoro e un livello
insufficiente di concorrenza. Sono problemi
comuni a tutta la zona dell’euro, ma sono
peggiori in Italia. Il paradosso è che mentre
l’euro ha messo a nudo i difetti strutturali
italiani, per certi versi ha reso più facile
evitare di agire, tenendo bassi i tassi e
eliminando le crisi nei cambi. Negli ultimi
decenni, le debolezze strutturali dell’Italia
sono diventate brutalmente evidenti. Ciò che
rende particolarmente difficile la ricerca di
una soluzione è che per anni molti di questi non
erano considerati difetti ma piuttosto pregi.
L’azienda familiare è un esempio. L’Italia nel
suo insieme è stata a lungo una sorta di “case
study” del “piccolo è bello”. La globalizzazione
e la concorrenza asiatica però premiano la
grandezza. Anche la borsa italiana è piccola in
rapporto alle dimensioni dell’economia e
ripristinare la fiducia del pubblico dopo gli
scandali come quello della Parmalat non sarà
facile.
La
legislazione per migliorare la “corporate
governance” è attualmente impantanata in
Parlamento. Ci sono però tanti esempi di aziende
di successo in Italia, aziende cha hanno saputo
affrontare il cambiamento: Benetton, Geox,
Indesit, Cerutti (impianti tipografici), ST
Microelectronics. Solo il 12% dell’export
italiano è nell’alta tecnologia, la metà della
media europea, e l’Italia spende solo l’1,2% del
PIL sulla ricerca, contro una media europea del
2% e il 3,2% del Giappone. Fiat Auto è stata
salvata dal precipizio, ma il salvataggio deve
di più all’ingegneria finanziaria che non a
quella tecnologica. (interludio Fiat. “Mr.
Montezemolo chiarisce che il mondo
imprenditoriale italiano è profondamente deluso
dal governo Berlusconi, che invece prometteva
bene quando ha preso il potere nel 2001”) (BOX,
“Fazio’s Folly”, che riassume in maniera
critica, le recenti vicende della Banca
d’Italia. “Una volta era un articolo di fede tra
quelli che studiavano l’Italia che, per quanto
fossero incompetenti le altre istituzioni del
Paese, almeno la Banca d’Italia era affidabile…
Ma ora la credibilità della banca centrale è
stata fatta a pezzi dall’intransigenza del suo
Governatore…”) Sarebbe ingiusto dire che il
governo Berlusconi non ha fatto riforme. In due
aree, le pensioni e il mercato del lavoro, è
stato coraggioso. Per le pensioni, ha fatto più
di altri paesi europei e le riforme nel mercato
del lavoro sono ancora più spettacolari. Gli
ostacoli ad una maggiore concorrenza in Italia
sono tanti. L’economia è pesantemente
regolamentata e i costi energetici sono alti.
Una corporate governance “opaca” ostacola
l’investimento e i recenti scandali finanziari
hanno ulteriormente accresciuto la sfiducia
degli investitori. La finanza è un’altra area di
particolare debolezza, anche se le banche sono
molto cambiate negli ultimi 15 anni e qualcuna è
emersa con un ruolo chiave: Banca Intesa,
Unicredit, Sanpaolo Imi e Capitalia; ma la Banca
d’Italia fa il possibile per tenere fuori dal
Paese le banche straniere. Non sono solo le
banche a essere protette da chi le dovrebbe
regolare. Manca in generale la concorrenza nel
settore dei servizi. I piccoli commercianti, le
cooperative dei tassisti,
farmacie, notai, artigiani; sono tutti protetti
dalla concorrenza da una regolamentazione
speciale, spesso amministrata dalle autorità
locali. Il turismo è un settore che
guadagnerebbe sia da maggiori investimenti, sia
da una maggiore concorrenzialità. Per un paese
che ha tanto da offrire, il settore è
sorprendentemente poco sviluppato. Un problema
generale è che i servizi come settore sono
sottovalutati. L’Italia sembra soffrire un clima
anti-business. Gli italiani possono essere
imprenditoriali e creativi, ma non è detto che
siano favorevoli al mercato. Nessuno dei due
principali partiti del dopoguerra, i Comunisti e
i Democristiani, potrebbe essere descritto come
liberale dal punto di vista economico. E nemmeno
la Chiesa cattolica, ancora enormemente
influente nel Paese, che ha sempre fatto sfoggio
di disdegnare il profitto. In molti casi,
conviene all’uomo d’affari italiano sfruttare i
contatti che ha all’interno dello Stato per
cercare favori anziché far crescere la sua
azienda e tentare di servire meglio i suoi
clienti. La preferenza culturale di cercare
prebende e creare mercati protetti impiegherà
molto tempo a passare. Fino agli anni ’90, la
politica è stata dominata da due partiti: i
Democristiani e i Comunisti. Il sistema è
saltato a causa di tre eventi: il crollo del
comunismo sovietico, tangentopoli e la decisione
di Silvio Berlusconi di entrare in politica
attraverso la fondazione di un nuovo partito,
Forza Italia. (segue un interludio di
spiegazioni ad uso dei lettori stranieri della
recente storia politica italiana) Negli ultimi
18 mesi, ogni volta che gli italiani vanno alle
urne il centrodestra prende uno schiaffo. Ci
sono quattro spiegazioni. La prima è che il
Governo è stato distratto dalla necessità di
risolvere le questioni relative agli interessi
personali e i problemi giudiziari del Primo
Ministro. Il secondo problema è stato
l’andamento economico, un problema generalizzato
in Europa. Il terzo fattore è peculiarmente
italiano, un sistema elettorale che lascia
un’influenza sproporzionata ai partiti minori.
L’ultimo
punto è forse il più importante: Mr. Berlusconi
stesso non crede nei mercati liberi. Il suo
successo è stato costruito sulla creazione di
quasi-monopoli che hanno beneficiato dalle sue
amicizie politiche. Malgrado ciò, il Governo ha
fatto delle cose importanti, e non solo nel
mercato del lavoro e con la riforma delle
pensioni. Letizia Moratti ha lavorato duramente
per promuovere la ricerca e per migliorare le
università. Le recenti manifestazioni di
protesta guidate dai professori in molte città
italiane sono un’indicazione che la Moratti deve
essere riuscita a compiere qualcosa di buono.
Anche in politica estera l’opera del Governo
deve essere considerata come un successo. Il
governo Berlusconi ha dato al Paese un ruolo
maggiore nel mondo e di minore deferenza verso
la Germania e la Francia in Europa. Nel caso di
una vittoria di Mr. Prodi, è probabile che torni
invece ad appoggiare l’asse franco-tedesco. Il
governo Berlusconi è stato più filo-americano e
filo-israeliano di quelli precedenti. L’unica
macchia nella politica estera è il debole di Mr.
Berlusconi per Vladimir Putin, nel quale sembra
vedere un altro uomo d’affari trasformato in
uomo politico e alle prese con una stampa
ostile. Per la difesa, come molti altri paesi
europei, l’Italia spende troppo poco, anche se
negli ultimi anni ha dato contributi utili nel
Kosovo e nell’Afghanistan come in Iraq. E’ stata
abolita la coscrizione di massa. Se Mr. Prodi
tornerà al potere esiste un rischio serio che
ritirerà troppo in fretta le truppe dall’Iraq,
alla maniera di Zapatero. La gestione invece
della finanza pubblica può essere descritta solo
come “terribile” (“dreadful”). Il Governo ha
ereditato un surplus primario nel budget di
quasi il 5% del PIL e l’ha azzerato. Inoltre, se
anche le ripetute amnistie fiscali di Giulio
Tremonti sono servite per ripianare i budget
annuali, il prezzo di tutto ciò potrebbe essere
stato di aumentare il livello già alto di
evasione fiscale. Inoltre, il Governo ha fatto
poco per ridurre la spesa pubblica, come ha
fatto poco in materia di privatizzazioni. (BOX
“The strange cases of Silvio Berlusconi”, un
riassunto della situazione giudiziaria di Silvio
Berlusconi, qui caratterizzato come “il primo
ministro dalle nove vite legali”) Un altro
infelice lascito del governo Berlusconi è la
svalutazione dell’etica pubblica e civile.
Quando un primo ministro attacca la magistratura
e la descrive come parte di una cospirazione
della sinistra, quando legifera al proprio
favore e fa uscire ripetutamente amnistie per
gente che evade le tasse e compie abusi edilizi,
manda un messaggio al cittadino medio che non
deve più obbedire alle regole. L’opposizione
senza dubbio incoraggerebbe un maggior rispetto
per le leggi, anche se pure Mr. Prodi è stato
toccato da qualche scandalo. C’è però qualcosa
di triste nel fatto che gli elettori il prossimo
aprile affronteranno precisamente la stessa
scelta di dieci anni prima. Mr. Prodi dice molte
cose corrette riguardo all’introduzione della
concorrenza o la liberalizzazione, ma non lo si
potrebbe definire un liberale o un riformatore.
Inoltre, come Mr. Berlusconi prima di lui,
resterebbe ostaggio dei partiti della sua
coalizione. Se Mr. Berlusconi dovesse perdere le
elezioni è presumibile che lasci la politica e
pochi si aspettano che Forza Italia possa
sopravvivere nella sua forma attuale. Non ci
sono successori ovvi alla guida del
centrodestra. Mr. Casini è una possibilità, ma
forse un candidato più plausibile sarebbe
Gianfranco Fini. Fini è comunque persona di cui
tenere conto. Una volta ha dichiarato che
Mussolini era stato il più grande statista del
20° secolo, ma da dieci anni si sta distanziando
da quelle affermazioni. L’unico leader più
popolare di Fini è Walter Veltroni,
ex-comunista, già ministro della Cultura sotto
Mr. Prodi e ora Sindaco di successo a Roma.
Quando Mr. Berlusconi e Mr. Prodi eventualmente
si ritireranno, forse saranno Mr. Fini e Mr.
Veltroni a prendere i loro posti in una nuova
generazione di leader politici. La riforma
federale “manca di risolvere ciò che è sempre la
questione chiave della devolution, quella dei
soldi”, mentre “se fosse fatta bene, un po’ di
federalismo sarebbe una buona cosa in un Paese
dal carattere disparato, unito meno di 150 anni
fa”. Nel Meridione invece, “la Mafia aumenta
certamente il costo degli affari in Sicilia, ma,
come altrove nel sud, sono l’economia e la
disoccupazione le sfide più gravi”. Nel lungo
termine l’estro, l’inventiva e la creatività
degli italiani dovrebbero bastare per salvare un
Paese che è ancora ricco in tutti i sensi. A
breve però ci sono buoni motivi per essere
pessimisti. Il Paese ha un bisogno disperato di
riforme strutturali. Il governo Berlusconi non
ha certo fatto abbastanza per raddrizzare la
situazione. Purtroppo, anche se dovesse vincere
il centrosinistra – cosa probabile ma non certa
– troverà che, tra gli ostacoli dei piccoli
partiti e l’interferenza delle lobby, sarà molto
difficile far passare le riforme. Forse è
necessario che le cose peggiorino prima di poter
migliorare. Mr. Monti, dell’Università Bocconi,
osserva che i governi italiani possono anche
affrontare decisioni difficili, ma a due
condizioni: che l’emergenza sia visibile e che
ci sia una forte pressione esterna. Ma al
momento mancano queste due condizioni. -FINE
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