http://www.liberazione.it/giornale/050825/LB12D6EC.asp
di
Ali Rashid
Liberazione - domenica 4 settembre 2005
Un
grande senso di liberazione e di preoccupazione
ha attraversato il milione e 200.000 palestinesi
che vivono a Gaza nel vedere la partenza dei
coloni israeliani dal loro territorio.
Liberazione perché questa partenza avviene dopo
37 anni di presenza asfissiante ed aggressiva,
che ha destabilizzato il territorio e la
società. Una minoranza fanatica di 8.000 persone
occupavano il 30% della piccola striscia di
terra (di appena 360 Km) quadrati, mentre un
altro 15% di quella terra veniva utilizzato per
i loro spostamenti e la loro sicurezza, e in
questo modo si paralizzava tutto il resto.
Utilizzavano l'82% delle risorse di acuqa,
causando enormi danni alla salute, all'ambiente,
a tradizioni e costumi millenari: il tutto in
nome di Dio e della volontà divina e con i
finanziamenti dei governi israeliani di destra e
di sinistra.
Con loro, la vita quotidiana dei palestinesi era
una impresa impossibile, una sorta di zig zag
permanente in attesa che calasse la sera: e la
sera spesso non permetteva sonni tranquilli.
Senza lasciare rimpianti, né voglia di vendetta,
e senza lasciare un buon ricordo, se ne sono
finalmente andati.
Però c'è preoccupazione. E non riguarda la sfera
dei sentimenti e le sensazioni: riguarda le cose
sostanziali che hanno a che vedere con la vita
materiale e con i simboli.
Innanzitutto, il ritiro da Gaza è frutto di una
iniziativa di Sharon, non concordata con
l'Autorità nazionale palestinese, e non è
collocabile, per metodo e per contenuto, dentro
un piano di soluzione politica e di pace tra i
due popoli. Lo sgombero dei coloni è terminato,
ma il ritiro dei soldati è previsto per metà
ottobre, e Israele ha già dichiarato la sua
volontà di mantenere il controllo sulle coste,
sul cielo e sui punti di passaggio dei confini
con L'Egitto e con la stessa Israele. Impedisce
la riparazione dell'aeroporto e del porto che
aveva distrutto e non concede il passaggio
sicuro tra la striscia di Gaza e la Cis-
Giordania.
In
questo modo Gaza si trasforma in una grande
prigione ed Israele potrà dire che non ha
nessuna responsabilità verso di essa visto che
non l'occupa più, ma mantiene una specie di
controllo esterno che rientra nelle operazioni
ormai di rutine per combattere il terrorismo, e
lascia al ANP la responsabilità di gestire
l'inferno che essa ha creato.
Il
disimpegno da Gaza è stato accompagnato da una
serie di dichiarazioni di Sharon rispetto ad una
accelerazione della colonizzazione della
Cis-Giordania. Sono già in atto i primi atti
concreti in tale senso: il ministero del
bilancio ha stanziato 21 milioni di dollari per
l'anno in corso e 23 milioni per l'anno prossimo
come incentivi a favore di famiglie ebraiche per
la colonizzazione dei territori palestinesi
occupati nella valle del Giordano. Il piano
prevede la colonizzazione di 1.200 Km quadrati
in questa zona da parte di Israele, el'insediamento
di circa 6.000 coloni al posto di 54.000
palestinesi. Gli ultimatum per le primi 300
famiglie palestinesi sono stati già consegnati:
dovranno abbandonare le loro case e le loro case
saranno distrutte.
Altri progetti sono già in corso a Gerusalemme e
nel resto dei territori palestinesi, mentre gli
edifici delle colonie evacuate nei giorni scorsi
nel nord della Cis-Giordania, non saranno
trasferiti ai palestinesi, ma saranno
trasformati in caserme per l'esercito
israeliano.
Onestamente non è possibile non capire quali
sono i limiti della iniziativa di Sharon: è una
grande operazione mediatica, alternativa alla
road maap che il quartetto aveva elaborato a
misura di Sharon ed in violazione del ultimo
accordo di Sharm El Shiekh, firmato con con la
partecipazione del presedente americano.
Che si tratta di inganni e d'operazione
mediatica gigantesca, lo denunciano anche
importanti esponenti politici, accademici e del
mondo della cultura israeliani, preoccupati
dalla involuzione democratica e morale di
Israele a causa della occupazione dei terriotri
di un altro popolo ed a causa dei suoi leadr di
destra e di sinistra.
Malgrado tutto, a noi palestinesi non sfugge il
significato dello sgombero dei coloni ebrei, nel
progetto messianico, arcaico e fuori luogo dove
le stesse colonie nelle terre palestinesi non
rappresentavano un incedente di percorso, ma un
elemento fondativo dello stato nazionale
ebraico.
Quel progetto espansionista ha urtato contro i
propri limiti. Molti israeliani manifestano
insofferenza per quello che è diventato per loro
lo stato di Israele, e non si sono commossi di
fronte allo spettacolo messo in scena, anzi
hanno sentito disagio e vergona. Il percorso
democratico e contrario alla violenza che, con
difficoltà, procede in Palestina, darà una mano
forte a loro. A nessuno di loro e di noi sono
stati d'aiuto le dichiarazione di stima
smisurata, rilasciate da ambienti di sinistra
per l'iniziativa parziale, unilaterale di Sharon.
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