14 settembre 2005
Dal Congo Ilario Franco
Ilario Franco

 

 

Cari amici di ViviTelese,
il 14 settembre sarà il centenario della morte di Pietro Savorgnan di Brazzà. Poste Italiane comunica l'emissione di un francobollo commemorativo, mentre le sue spoglie, attualmente ad Algeri, saranno portate a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, dove c'e un mausoleo ad attenderle. Brazzaville è l'unica città africana ad avere un nome di un bianco.

Per saperne di più su Pietro Savorgnan, suggerisco la lettura dell'articolo allegato. Un piccolo particolare non riportato: quando negli anni settanta, su pressione di alcuni paesi tra cui l'Unione Sovietica, si propose di cambiare il nome di Brazzaville in N'Tamo, per cancellare il legame con il periodo coloniale, il Parlamento respinse la proposta a grande maggioranza.

Ciao,
Ilario


                    

Ilario Franco
Reservoir Geologist
ENI Congo S. A.

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Cento anni fa moriva l’esploratore che liberò parte del Congo dalla schiavitù, comprando il Paese

Brazzà, il FRIULANO che regalò un impero

 

di ADRIANO FAVARO

Sulla morte di Pietro Savorgnan di Brazzà , avvenuta 100 anni fa a Dakar si è anche posata l'ombra del giallo: «Mio marito è stato avvelenato» ha ripetuto mille volte a parenti e conoscenti la moglie Teresa di Chambrun che lo aveva accompagnato nel suo ultimo viaggio in Africa. Ammazzato da coloro che non volevano che quell'uomo che anni prima comprava schiavi per liberarli tornasse in Francia e testimoniasse quello che aveva visto in Congo.

Che cosa aveva visto Brazzà , l'uomo che regalò un impero? La violenza gratuita dei francesi delle grandi compagnie, le forme più disumane di tortura, il ritorno di quella schiavitù che lui aveva combattuto per tutta la vita. Quel mondo lo aveva descritto, tre anni prima, anche Joseph Conrad in "Cuore di tenebra". Il cammino che il bianco fa verso il nero, la trasformazione, l'oblio dello spirito, la grandezza dell'impero occidentale impantanata nella violenza primitiva. Muore a Dakkar il 14 settembre 1905 Pietro Savorgnan. «L'Africa vorrà la mia vita» aveva detto, lasciando la Francia per obbedire al presidente della Repubblica francese Emile Loubet, che lo inviava per un'ispezione nel Congo.

Al rientro della salma Parigi celebrava con solenni funerali la morte del friulano Pietro Savorgnan di Brazzà , cittadino italiano, naturalizzato francese. Il governo della Francia, nella scheda che in questo periodo gli dedica per le celebrazioni - in internet - , lo descrive come "una delle più alte figure coloniali francesi". La moglie, riportandolo ad Algeri dopo il funerale, fece scrivere nella sua lapide: "La sua memoria è pura di sangue umano".

Bisogna scrivere così. Perché Pietro Savorgnan è stato uomo differente, diverso da tutti quelli che in quell'epoca viaggiavano alla conquista dell'Africa. É stato un puro. Amico delle tribù che incontrava. Così amato al punto che la sua figura adesso - come testimoniano i tanti articoli scritti dall'importante settimanale "Les dépeches de Brazzaville" - è entrata nel pantheon degli antenati del paese. E il suo spirito viene evocato dagli stregoni nei canti rituali. Quando Pietro Brazzà torna, per l'ultima volta, in Congo viene annunciato dai tamburi nella foresta. In tanti aspettavano il grande padre bianco. Non li aveva abbandonati.

Tornava però per guardare scene diverse da quelle che aveva lasciato. I bianchi, che aveva insegnato a rispettare, erano diventati oppressori. Uccidevano con la dinamite, per solo divertimento. Imprigionavano. Obbligavano a lavori forzati per la raccolta del caucciù e dell'avorio.

L'esploratore friulano non riconosce quasi più il paese che aveva amato: villaggi semi abbandonati e degradati. Prigioni collettive. Storie di violenze. Sarà un indigeno a segnalare a Savorgnan l'esistenza di campi di concentramento. Durante una danza di accoglienza mima le catene ai polsi e ai piedi. E lui capisce. E trova quei luoghi. É la fine di quel sogno di libertà che aveva accompagnato Pietro di Brazzà fin da piccolo. Lo hanno chiamato, per esprimere la sua potente diversità l'"esploratore delle leggende". E ormai è diventato lui stesso una leggenda in Africa, come testimonia suo nipote Detalamo Pirzio Biroli: "Ho ascoltato fin da bambino le storie africane di mio zio, me le raccontava suo fratello Detalamo, mio nonno. Le ho riascoltate, decenni dopo, in Congo». La storia di un friulano - "conquistatore dal volto umano", fiero avversario ideologico di Henry Morton Stanley - è già diventata storia dell'Africa. E lui, Pietro Savorgnan di Brazzà , e l'uomo che ha regalato un impero africano alla Francia.

Tutta questa storia inizia a Castel Gandolfo a Roma quando, il 25 gennaio 1852, nasce Pietro. Il padre Ascanio Savorgnan di Brazzà e la giovane romana Giacinta Simonetti, marchesa di Gavignano hanno già altri sei figli e altri sei arriveranno dopo di lui. I Savorgnan appartengono a un'antichissima famiglia friulana, prima al servizio del Patriarcato di Aquileia e poi della Repubblica Serenissima. Il castello dei Brazzà e la dimora di famiglia si trovano a Brazzacco, a pochi chilometri da Udine.

La vita di Pietro adolescente è avventura e sogno fino a quando, a 13 anni, incontro l'Ammiraglio de Montaignac, comandante della flotta di Napoleone III a Civitavecchia, amico del padre.

Diventerà ufficiale alla scuola navale francese di Brest. Con la fregata "Venus" sorveglia la costa occidentale africana percorsa da navi di schiavisti (il traffico era stato considerato illegale dai grandi stati europei). Comincia così ad esplorare il fiume Ogooué: da quel momento, per vent'anni per Pietro esisterà solo l'Africa. Riparte per l'Africa nel 1875 con modesti finanziamenti ufficiali; e dopo alcuni mesi resta senza denaro. Chiede aiuto alla famiglia. «Da quella data e fino al 1895 - ricorda Detalamo Pirzio Biroli - per le spedizioni di Pietro furono usati i soldi di famiglia, circa centomila lire-oro di allora. Mia bisnonna, Giacinta Simonetti, vendette anche il palazzo di via del Corso, a Roma (oggi sede di una banca) e alcuni campi in Friuli. 'Per l'Africa di Pietro', si legge ancora nei documenti».

Lo accompagna Renokè, capo delle tribù del medio Ogooué che vorrebbe (ma Pietro non lo sa) acquistare a buon mercato dei neri per venderli come schiavi. Savorgnan capisce: e compra lui gli schiavi, per poi liberarli e farli lavorare come portatori. Pagati. Farà così per tutta la sua vita. Il primo viaggio, difficilissimo, è anche deludente: l'Ogooué non porta al centro dell'Africa. Riprova con un altro fiume, Alima. Le tribù lo scambiano per Stanley, il giornalista-esploratore britannico che viaggiava con centinaia di tiratori armati di carabine Schneider. Si faceva strada sparando. Pietro scrive: "Non si passa col sangue". E intanto Stanley trova le sorgenti del fiume Congo. Un successo mondiale, che forse anche il nostro friulano sperava.

Ma quando i due si incontreranno ad una cena a Parigi, nel 1882, sarà Pietro a vincere in dialettica e disponibilità l'irritato Stanley. Pietro, nel frattempo, aveva compiuto un gesto formidabile per l'epoca incontrando il re Makoko; uomo potente, che era venuto a conoscenza di quel bianco che comprava schiavi per liberarli. Con Makoko e altri capi tribù, Brazzà compie un gesto storico: "seppellisce la guerra".«Si fece un buco nella terra - scrive nelle poche memorie che ha lasciato - e i due capi principali gettarono un carico di polvere da sparo, una pietra focaia, pallottole; io ho gettato un pacco di cartucce e, dopo che fu piantato un albero, dissi: 'possa la pace durare a lungo, finché quest'albero non produrrà pallottole, cartucce, polvere'». Il Congo si riempie di bandiere francesi e delle promesse che Brazzà fa agli indigeni: "Con questa bandiera sarete al sicuro". Gli credono. Non sarà così. In Africa è già in atto la spartizione internazionale delle proprietà europee: ai belgi va lo Stato Libero del Congo, poi Congo Belga. Ai francesi la colonia del Congo, delimitata ormai dai percorsi di Brazzà .

 

 

 


    

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