Quattro anni fa Giacomina Cassina, colta
e sensibile signora con ottima
conoscenza della situazione
mediorientale a causa dei delicati
incarichi che vi svolge, ha scritto
questo bellissimo testo, intriso di
“speranza contro ogni speranza”.
Lettera immaginaria a Mariam che
sta per partorire
Cara Mariam,
sei bellissima in queste ultime
settimane di gravidanza. Lo sei sempre
stata. Ma oggi i tuoi occhi splendono di
odio e di dubbio. Nabil sta per nascere.
Sarà bellissimo anche lui e ti consolerà
per aver perso il tuo primo bambino in
quella notte di fuga, tra le pietre
della prima intifada e le pallottole –
di gomma, allora – dell’esercito
israeliano. Le hai prese tutte e due, le
pietre e le pallottole e ti sei ammalata
di odio. Ti avevano già educato ad
odiare il “nemico”, fin da piccola. Odio
e disperazione. Disperazione che produce
odio oppure odio che produce
disperazione? Non so. So che tu hai
concentrato tutti i tuoi sforzi contro i
“cugini”. Lo sapevi che “loro” vi
chiamavano così, quando il Raìs e Perez
ricevevano il premio Nobel per la pace?
Chissà se qualcuno vi chiama ancora
così, oggi? Hai nutrito quell’odio
sistematicamente con immagini di sangue,
con il sangue di tutti. Nonostante
l’evidenza – che la morte ci fa tutti
uguali solo perché uguali lo siamo già
in vita. Nonostante gli accordi di pace
di cui tutti dicevano un gran bene.
Nonostante il desiderio spasmodico di
vivere e di dare una nuova vita a te
stessa, al tuo uomo e al tuo popolo.
Quell’odio l’hai confermato, giorno dopo
giorno, tenacemente. L’odio può
diventare ragione di vita?
Avevi appena il sospetto di essere
incinta, quando ti hanno detto che nel
villaggio vicino festeggiavano
l’attentato alle torri gemelle, hai
accettato il sorriso di chi ti offriva
quella notizia di morte e l’hai
riprodotto, parlando del fatto con le
tue cognate. Qualche tempo dopo hai
saputo che a Hebron la folla aveva
scannato degli israeliani e ne aveva
calpestato i cadaveri. Non hai più
sorriso: la tua gravidanza era ancora
all’inizio e le immagini di quello
scempio si sono fuse con la tua nausea.
Poi le nausee sono passate e tuo figlio
ha cominciato a scalciare e il dialogo
con lui è diventato un flusso continuo
di scenari futuri. Nabil bambino che
cammina appena, Nabil adolescente che
lancia pietre contro il “nemico”, Nabil
studente che ti abbraccia prima di
partire per diventare “martire”. Il
dialogo si è fatto molto difficile. Così
difficile che, per sostenerlo, hai
spinto a fondo il pedale del sogno e
dell’incubo e sei arrivata a pensare che
tu e lui, insieme, oggi, avreste potuto
avviarvi, carichi di tritolo, verso un
ristorante, un bus o un supermercato o
perfino una scuola israeliana. Anche per
chi ti immagina da lontano, dopo la
ragazzina-bomba sedicenne, una scelta
del genere (ma è davvero uno scenario
impossibile?...) sarebbe uno strazio
infinito, da cui non guarire più: per
gli israeliani innocenti che avreste
ucciso, per te e Nabil kamikaze-non-nato,
per tutto il tuo popolo che non può
essere tanto accecato dall’odio da
produrre una mostruosità simile, per
tutti gli uomini - di buona volontà o no
- per i quali salterebbe ogni valore
umano. Sei d’accordo anche tu, almeno su
questo, vero?
No? Ah, capisco, hai avuto solo un
momento di smarrimento perché non hai
capito che cosa ti stava dicendo Nabil.
Ha detto proprio così? “La causa
palestinese vuole che nasca e viva”? Non
dirmi che l’hai già condizionato a
questo punto... sei tu che stai provando
a trasmettergli, insieme alla vita,
anche il tuo odio e non ci riesci. Ah,
scusa...no, raccontami. Dice che deve
nascere per far crescere il suo popolo,
per aiutarlo a conquistare la pace e a
liberarsi dall’odio? E tu sei d’accordo?
Non lo sei. Però hai dei dubbi. Hai dei
dubbi perché sei stanca, un po’
indebolita, sola in casa e attorno si
spara. O perché Nabil sta distruggendo a
calci la tua palestra di odio? O perché
sei tentata dalla dolcezza del dubbio e
della vita? Ti prego, commettilo questo
peccato, immagina una lunga vita di
affetto indistruttibile tra te e Nabil,
un amore profondo, molto possessivo da
parte tua, un rapporto esclusivo e
testardo come quello delle tue cugine
israeliane verso i loro figli. Ho detto
qualcosa che non va? Oh, Dio, davvero
anche tu pensi che, in fondo, vi
assomigliate? No? Ah, lo dubiti
soltanto. Beh, amica mia, continua a
dubitare, sempre più fortemente, sempre
più in profondità. Vedrai che più ti
cresce il dubbio, meno scalcerà Nabil.
Adesso riposa un po’. Poi preparati a
farlo nascere. Tra qualche settimana il
vento potrebbe di nuovo odorare di pace
e per voi due potrebbe cominciare una
vita molto diversa. Ma anche se così non
fosse, continua a coltivare il dubbio,
ne ha bisogno Nabil, ancor più dell’aria
e del latte. Non c’è nulla di assoluto
in questo mondo, questo, almeno, lo
pensiamo tutti: voi, i “cugini” e noi.
Dal dubbio può nascere la ricerca del
nuovo, delle piccole-grandi soluzioni.
Il dubbio è la migliore medicina contro
l’odio e la disperazione. Il dubbio ti
spinge a guardare l’altro con occhi
diversi e a interrogarti sulle
somiglianze. Dubita, dubita Mariam,
dormi e dubita, che stai già guarendo.
Come sei bella, Mariam! E tu, Nabil,
scalcia più piano, che ormai ce l’hai
quasi fatta.
(Giacomina Cassina, 9
aprile 2002)
Quattro anni sono passati. E oggi
dobbiamo confrontarci con le notizie che
ci vengono riferite su un’altra Mariam.
Una mamma con lo stesso nome di quella
uscita dalla felice penna di Giacomina
ma che altro, con lei, in comune non ha.
La Mariam reale ci informa, felice e
orgogliosa, che ha “sacrificato” tre
figli, inducendoli a morire per uccidere
gli odiati ebrei. Ci informa, anche, che
spera che anche gli altri figli andranno
a morire per uccidere ebrei. Li ha
educati lei al martirio, ha spiegato in
un’intervista
rilasciata quasi
nello stesso momento in cui Giacomina
scriveva queste sue righe piene di
speranza, è stata lei a convincerli che
è bello morire uccidendo ebrei, è stata
lei a scegliere per loro il paradiso. Ed
è molto felice di essere riuscita a
convincerli. E ancora una volta, la
speranza muore sotto il peso della
realtà.
barbara
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