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18 febbraio 2006
Noi non crediamo alle favole
Fulvio Del Deo

 

 

"Scontro di civiltà" poteva dirsi la contrapposizione Est-Ovest, in cui le due superpotenze si contendevano la supremazia mondiale per imporre il loro modello sociale. USA e URSS si sono scontrate apertamente per quasi mezzo secolo, sfruttando soprattutto il campo di altri conflitti, da Cuba all'Estremo Oriente, fino all'Afghanistan. Il loro confronto non è stato certo un incontro di fioretto, e colpi bassi non sono mancati da entrambe le parti. Si sono alternati momenti di tensione altissima a fasi di timido avvicinamento, ma non si è mai superato quel "limite di decenza" tacitamente condiviso, che ci ha evitato scenari da guerra atomica. Alla fine, la Storia ha premiato quel modello sociale che offre maggior spazio alla libertà individuale e alla possibilità per ciascuno di essere se stesso e di fare le proprie scelte.
 
Oggi, troppo spesso viene erroneamente definito "scontro di civiltà" qualcosa che con tale concetto non ha nulla a che fare: la violenza islamista contro di noi. Qui non si tratta di un braccio di ferro fra civiltà contrapposte, ma di una pura e semplice aggressione fisica ai nostri danni. Gli episodi cui assistiamo ormai quotidianamente sono scatenati da caste privilegiate che temono di vedere il proprio mondo, basato su profonde e ataviche ingiustizie, sgretolarsi rapidamente a contatto con la nostra civiltà.
 
Non è necessario alcun pretesto per sferrare un attacco terroristico o per far scoppiare una rivolta: lo si fa e basta. Ci pensano poi i nostri intellettuali buonisti a trarne spiegazioni logiche, a inventarsi giustificazioni, o addirittura a invocare mea culpa. In una prima fase, target privilegiato era lo Stato di Israele, per il solo fatto di esistere e di essere a diretto contatto fisico con quel mondo. Ma ora che più nessun luogo è lontano e la gobalizzazione fa spostare grandi masse umane, il conflitto si estende all'intero pianeta.
 
Qualcuno qui da noi, tra i quali Zapatero, propone candidamente di sostituire il concetto di "scontro fra civiltà" con quello di "incontro". Ciò sarebbe plausibile laddove il problema consistesse semplicemente nell'incomprensione fra due mondi differenti e amichevoli, fra due civiltà con valori diversi ma alla ricerca di punti d'intesa. Ciò avviene ogni giorno fra noi e i Cinesi, fra noi e i Nord Africani, fra noi e gli Indiani ecc.. Purtroppo le cose non stanno così se ci poniamo di fronte ai fondamentalisti islamici. Questi non sono un popolo, sono semplicemente dei fanatici violenti che, profanando la religione islamica per trasformarla in una dottrina di odio, si scagliano contro la civiltà umana nel suo insieme.
 
Per i fondamentalisti islamici, noi non siamo degli interlocutori, fra noi e loro non c'è semplicemente incomprensione, la loro aggressività non nasce da un malinteso. Per i fondamentalisti islamici, noi siamo "infedeli" e come tali ci disprezzano. L'unica cosa che potremmo fare per farci accettare, sarebbe inginocchiarci umilmente al loro cospetto, convertirci e combattere al loro fianco nella Guerra Santa. Non vedo che genere di "incontro" possa avvenire con queste premesse.
 
L'odio fondamentalista verso gli "infedeli" (ossia verso il mondo normale) ricorda molto l'odio dei nazisti verso le "razze inferiori". Del resto, scopriamo che hanno un'infinità di punti in comune. Eccone alcuni:
  • esaltazione della morte violenta ed eroica, in nome dell'ideale
  • militarismo
  • donne intese come esseri domestici da riproduzione
  • odio antisemita
  • odio antiamericano
  • lotta alla "corruzione dei costumi"
  • ricerca maniacale della "purezza"
Insomma, si tratta di una follia di massa molto simile a quella che colpì la Germania di Hitler; per farla guarire, non valsero a nulla né i trattati di non aggressione, né le sanzioni economiche. E' triste constatare che l'unica cura efficace fu radere al suolo gran parte delle città del Terzo Reich. Solo allora i Tedeschi si risvegliarono da quel brutto sogno.
 
La maggior parte dei governi arabi e islamici dichiara di essere contro la follia islamista, ma solo pochi lo sono realmente e la combattono. Alcuni come la Siria, dietro una traballante facciata di buone intenzioni, nascondono il pieno appoggio non solo ideologico al terrorismo, ma offrono anche finanziamenti e basi logistiche. Altri governi combattono ufficialmente il terrorismo, ma trascurano di farlo fino in fondo, per non sbilanciare gli equilibri di potere interni e non inimicarsi le caste privilegiate. L'Iran invece si schiera apertamente contro noi "infedeli", invoca la distruzione di Israele e, sfidando l'intera comunità internazionale, si appresta a munirsi di armamenti nucleari.
 
Non sappiamo che cosa ci riserverà in merito il prossimo futuro, forse altri paesi verranno bombardati, altre città rase al suolo. Forse la storia proverà a ripetersi, dimostrando ancora una volta che l'uomo non ha imparato che non serve a nulla assecondare troppo a lungo il delirio paranoide di masse umane in balìa di altrettanti pazzi, poiché ciò lascia solo il tempo all'aggravarsi della malattia, rendendo poi indispensabili soluzioni molto dolorose.
 
Le organizzazioni umanitarie dovrebbero rendersi conto che per salvare vite umane in certe parti del mondo non servono cibo e antibiotici, ma c'è bisogno urgente di psichiatri.
 
Laddove ci sono masse umane disposte a rinunciare a una vita normale in nome della "vittoria sull'infedele", ad avere come unico scopo uccidere chi è diverso da sé, sia esso imperialista ebreo, vignettista danese o qualsiasi altro tipo di nemico, a costo di ridursi a un'esistenza di stenti, con ettolitri di sangue che scorrono, riducendo le famiglie a una lunga teoria di morti ammazzati, producendo per i propri bambini cartoni animati di morte e raccolte di figurine di "martiri", là è necessario intervenire subito. Ma non con la favola dell'incontro delle civiltà o con altre idee mielose; finché è possibile evitare raid aerei e bombe, là è necessario l'intervento di esperti psichiatri che, per cominciare, impongano con la forza un'immediata terapia farmacologica d'urto, per poi continuare con psicoterapie individuali e di gruppo.
 
Fulvio Del Deo, 15 febbraio 2005 fd.d@libero.it

 

 


     

Le riflessioni di Fulvio Del Deo

 

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