"Scontro di civiltà" poteva dirsi la
contrapposizione Est-Ovest, in cui le
due superpotenze si contendevano la
supremazia mondiale per imporre il loro
modello sociale. USA e URSS si sono
scontrate apertamente per quasi mezzo
secolo, sfruttando soprattutto il campo
di altri conflitti, da Cuba all'Estremo
Oriente, fino all'Afghanistan. Il loro
confronto non è stato certo un incontro
di fioretto, e colpi bassi non sono
mancati da entrambe le parti. Si sono
alternati momenti di tensione
altissima a fasi di timido
avvicinamento, ma non si è mai
superato quel "limite di decenza"
tacitamente condiviso, che ci ha evitato
scenari da guerra atomica. Alla fine, la
Storia ha premiato quel modello sociale
che offre maggior spazio alla libertà
individuale e alla possibilità per
ciascuno di essere se stesso e di fare
le proprie scelte.
Oggi, troppo spesso viene erroneamente
definito "scontro di civiltà" qualcosa
che con tale concetto non ha nulla a che
fare: la violenza islamista contro di
noi. Qui non si tratta di un braccio di
ferro fra civiltà contrapposte, ma di
una pura e semplice aggressione
fisica ai nostri danni. Gli episodi cui
assistiamo ormai quotidianamente sono
scatenati da caste privilegiate che
temono di vedere il proprio mondo,
basato su profonde e ataviche
ingiustizie, sgretolarsi rapidamente a
contatto con la nostra civiltà.
Non è necessario alcun pretesto per
sferrare un attacco terroristico o per
far scoppiare una rivolta: lo si fa e
basta. Ci pensano poi i nostri
intellettuali buonisti a trarne
spiegazioni logiche,
a inventarsi giustificazioni, o
addirittura a invocare mea culpa. In una
prima fase, target privilegiato
era lo Stato di Israele, per il solo
fatto di esistere e di essere a diretto
contatto fisico con quel mondo. Ma ora
che più nessun luogo è lontano e la
gobalizzazione fa spostare grandi masse
umane, il conflitto si estende
all'intero pianeta.
Qualcuno qui da noi, tra i
quali Zapatero, propone candidamente di
sostituire il concetto di "scontro fra
civiltà" con quello di "incontro".
Ciò sarebbe plausibile laddove il
problema consistesse semplicemente
nell'incomprensione fra due mondi
differenti e amichevoli, fra due civiltà
con valori diversi ma alla ricerca di
punti d'intesa. Ciò avviene ogni giorno
fra noi e i Cinesi, fra noi e i Nord
Africani, fra noi e gli
Indiani ecc.. Purtroppo le cose non
stanno così se ci poniamo di fronte ai
fondamentalisti islamici. Questi
non sono un popolo, sono semplicemente
dei fanatici violenti che, profanando la
religione islamica per trasformarla in
una dottrina di odio, si scagliano
contro la civiltà umana nel suo insieme.
Per i fondamentalisti islamici, noi non
siamo degli interlocutori, fra noi e
loro non c'è semplicemente
incomprensione, la loro aggressività non
nasce da un malinteso. Per i
fondamentalisti islamici, noi siamo
"infedeli" e come tali ci disprezzano.
L'unica cosa che potremmo fare per farci
accettare, sarebbe inginocchiarci
umilmente al loro cospetto, convertirci
e combattere al loro fianco nella Guerra
Santa. Non vedo che genere di "incontro"
possa avvenire con queste premesse.
L'odio fondamentalista verso gli
"infedeli" (ossia verso il mondo
normale) ricorda molto l'odio dei
nazisti verso le "razze inferiori". Del
resto, scopriamo che hanno un'infinità
di punti in comune. Eccone alcuni:
-
esaltazione della morte violenta ed
eroica, in nome dell'ideale
-
militarismo
-
donne intese come esseri domestici
da riproduzione
-
odio antisemita
-
odio antiamericano
-
lotta alla "corruzione dei costumi"
-
ricerca maniacale della "purezza"
Insomma, si tratta di una follia di
massa molto simile a quella che colpì la
Germania di Hitler; per farla guarire,
non valsero a nulla né i trattati di non
aggressione, né le sanzioni
economiche. E' triste constatare
che l'unica cura efficace fu radere al
suolo gran parte delle città del Terzo
Reich. Solo allora i Tedeschi si
risvegliarono da quel brutto sogno.
La maggior parte dei governi arabi e
islamici dichiara di essere contro la
follia islamista, ma solo pochi lo
sono realmente e la combattono. Alcuni
come la Siria, dietro una traballante
facciata di buone intenzioni, nascondono
il pieno appoggio non solo ideologico al
terrorismo, ma offrono anche
finanziamenti e basi logistiche. Altri
governi combattono ufficialmente il
terrorismo, ma trascurano di farlo fino
in fondo, per non sbilanciare gli
equilibri di potere interni e non
inimicarsi le caste
privilegiate. L'Iran invece si schiera
apertamente contro noi "infedeli",
invoca la distruzione di Israele e,
sfidando l'intera comunità
internazionale, si appresta a munirsi di
armamenti nucleari.
Non sappiamo che cosa ci riserverà in
merito il prossimo futuro, forse altri
paesi verranno bombardati, altre città
rase al suolo. Forse la storia proverà a
ripetersi, dimostrando ancora una volta
che l'uomo non ha imparato che non serve
a nulla assecondare troppo a lungo il
delirio paranoide di masse umane in
balìa di altrettanti pazzi, poiché ciò
lascia solo il tempo all'aggravarsi
della malattia, rendendo poi
indispensabili soluzioni molto dolorose.
Le organizzazioni umanitarie dovrebbero
rendersi conto che per salvare vite
umane in certe parti del mondo non
servono cibo e antibiotici, ma
c'è
bisogno urgente di psichiatri.
Laddove ci sono masse umane disposte a
rinunciare a una vita normale in nome
della "vittoria sull'infedele", ad
avere come unico scopo uccidere chi è
diverso da sé, sia esso imperialista
ebreo, vignettista danese o qualsiasi
altro tipo di nemico, a costo di ridursi
a un'esistenza di stenti, con ettolitri
di sangue che scorrono, riducendo le
famiglie a una lunga teoria di morti
ammazzati, producendo per i propri
bambini cartoni animati di morte
e raccolte di figurine di "martiri", là
è necessario intervenire subito. Ma non
con la favola dell'incontro delle
civiltà o con altre idee mielose; finché
è possibile evitare raid aerei e bombe,
là è necessario l'intervento di esperti
psichiatri che, per
cominciare, impongano con la forza
un'immediata terapia farmacologica
d'urto, per poi continuare con
psicoterapie individuali e di gruppo.