Un
genere che incontrò larga affermazione nella
pittura napoletana e lusinghiero successo tra i
collezionisti fu la battaglia.
La
nobiltà amava molto adornare le pareti dei
propri saloni con scene raffiguranti singoli
atti di eroismo o complessi combattimenti che
esaltavano il patriottismo e l’abilità bellica,
virtù nelle quali gli stessi nobili amavano
identificarsi.
A
Napoli fu molto diffuso il sottile piacere della
contemplazione della battaglia presso
masochistici voyeurs, che prediligevano
circondarsi, non di procaci nudi femminili dalle
forme aggraziate ed accattivanti o di tranquilli
paesaggi, né di severi ritratti o di languide
nature morte, bensì di gente che si azzuffava a
piedi o a cavallo, usando spade sguainate ed
appuntiti pugnali, dando a destra e manca
terribili fendenti in ariosi o fumosi, sereni o
temporaleschi, pianeggianti o collinari scenari,
ideali comunque per tali bisogne.
Anche la Chiesa fu in prima fila nelle
committenze, incaricando gli artisti di
raffigurare gli spettacolari trionfi della
Cristianità sugli infedeli, come la memorabile
battaglia navale di Lepanto del 1571, che segnò
una svolta storica con la grande vittoria sui
mussulmani, divenendo ripetuto motivo
iconografico pregno di valenza devozionale,
replicato più volte per interessamento
dell’ordine domenicano, legatissimo alla Madonna
del Rosario, la quale seguiva benevolmente le
vicende terrene dall’alto dei cieli.
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Altri temi cari alla Chiesa nell’ambito del
genere furono ricavati dall’Antico e dal Nuovo
Testamento, quali la Vittoria di Costantino a
ponte Milvio (fig. 1) o il San Giacomo alla
battaglia di Clavijo (fig. 2), argomenti
trattati magistralmente e più volte dal Falcone
che fu il più preclaro interprete
dell’argomento. Sulle sue battaglie ha scritto
pagine insuperate il Saxl nella sua celebre
opera Battle scene without a hero, un’acuta
ricerca che non ha trovato l’eguale nell’analisi
di altri grandi battaglisti del Seicento quali
Salvator Rosa e Jacques Courtois, detto il
Borgognone.
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Nel Seicento le guerre erano purtroppo molto
frequenti ed i pittori le potevano osservare da
vicino, vedendo sfilare soldati di molti paesi
con le loro uniformi e spesso lo stesso
svolgersi degli scontri.
Le
battaglie dei pittori napoletani sono esaltate
spesso da un cromatismo virile con una
pennellata vivida e marcata, con dei rossi e
degli azzurri molto forti, che danno la
sensazione che si sia voluta ricalcare
l’asprezza dei combattimenti e l’animosità dei
contendenti.
I
combattimenti vengono rappresentati con grande
accanimento, con le urla di dolore e di rabbia
dei contendenti che sembrano travalicare dalla
superficie della tela, per farci sentire il
gemito dei feriti e dei moribondi.
Mischie furiose con l’odio che sgorga dai volti
corrucciati, cavalieri che si inseguono, bardati
guerrieri in groppa a focosi destrieri, morti e
feriti, bestemmie e gemiti e spesso anche le
nuvole grigio scure e cariche di pioggia, che
annunciano tempesta e sembrano partecipare
dell’aria funesta che ovunque si respira.
Scenari più pacati ci vengono proposti da
pittori non specialisti che si cimentano
sporadicamente nella battaglia, come il sommo
Luca Giordano, il De Matteis e Giacomo del Po.
Nella nostra città il genere muove i primi passi
grazie a Belisario Corenzio, artista di origine
greca, attivo fino al 1646, a lungo
incontrastato ras negli appalti per le grandi
imprese decorative. Numerosi suoi disegni, con
finalità commemorative illustranti episodi
guerreschi della vita di don Giovanni d’Austria,
a partire dal 1580, si trovano in importanti
musei e grandi collezioni private, quali il
Metropolitan di New York e la Biblioteca
Nazionale di Madrid, come anche nella collezione
di Anthony Blunt ed in quella di John Witt, nel
campo degli affreschi, invece, un ciclo molto
significativo, eseguito sotto la sua direzione,
si trova nella chiesa dei Ss.Severino e Sossio,
con l’episodio centrale di Giosuè contro gli
Amaleciti.
I
grandi protagonisti del genere furono Salvator
Rosa ed Aniello Falcone, che ebbero la funzione
di caposcuola con numerosi allievi tra i quali
ricordiamo, citati dal De Dominici, Carlo
Coppola, il più noto, Marzio Masturzo, Matteo di
Guido e Giuseppe Trombadori. Alcuni di questi
allievi a loro volta avevano la loro bottega con
altri allievi, il che ha creato nell’ambito
della conoscenza della pittura di battaglia a
Napoli una grande confusione e la necessità di
nuovi studi e approfondimenti per definire con
certezza, nell’inestricabile groviglio di opere,
le attribuzioni precise.
Salvator Rosa nei suoi quadri di battaglia dà
libero sfogo al suo irrefrenabile istinto per il
pittoresco, imprimendo alle sue composizioni un
respiro ampio con un anelito ad idealizzare i
combattimenti che, ambientati in un
lussureggiante paesaggio con sullo sfondo ruderi
di templi e severi edifici, trasmettono allo
spettatore una viva emozione, oltre alla
meditazione sugli oscuri motivi che scatenano i
più bassi istinti dell’uomo. Esemplari di tale
stile sono la celeberrima Battaglia del Louvre,
posta di fronte alla Gioconda e la meno nota, ma
non meno potente, Battaglia della Art Gallery di
Auckland (fig. 3). Le sue battaglie furono
giustamente definite dai suoi contemporanei
ideali o eroiche ed impressero al genere uno
sviluppo antitetico all’indirizzo realistico
perseguito dal Borgognone.
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Il
Rosa nelle sue affollate composizioni seppe
amalgamare magistralmente i vari elementi con
contrapposizioni cromatiche, facendo emergere e
risaltare i dettagli di maggiore presa emotiva
sullo spettatore.
Il
Falcone, viceversa, rappresentava un
combattimento senza eroi, un dogma perseguito
dalla maggior parte dei suoi allievi, con
l’attacco che si svolge in primo piano con
cavalieri dagli elmi piumati in sella a rampanti
destrieri e sullo sfondo un susseguirsi di una
miriade di episodi minori, il tutto con una
partecipazione corale all’evento, senza che in
nessuna parte del dipinto ci sia una scena
prevalente.
Aniello, il cui pomposo epiteto di Oracolo
delle battaglie fu coniato dal Giordano, è
poco noto per i suoi quadri non combattivi...,
non solo agli appassionati, ma anche agli stessi
critici, che per anni hanno ristretto la loro
attenzione a questo genere da lui portato a
grande successo, con una bottega dove
esercitavano i più affermati specialisti del
settore.
Il
suo principale committente fu Gaspare Roomer,
che gli ordinò numerosissimi dipinti, ispirati
all’Antico Testamento ed alla Gerusalemme
Liberata, molti dei quali esportati in Fiandra.
Anche altre famose famiglie nobili napoletane
furono affezionate collezioniste delle sue
opere, come i Caracciolo, i Firrao e gli
Spinelli di Tarsia, che giunsero a possedere
nelle loro quadrerie decine dei suoi dipinti.
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La
sua fertile produzione è stata solo in parte
recuperata e della stessa la critica non riesce
con precisione a definire la cronologia, essendo
poche le tele firmate, partendo dalla Battaglia
del Louvre (fig. 4) del 1631, che ci mette però
in mostra un artista già maturo, fino
all’affresco dello scontro tra Israeliti ed
Amaleciti, realizzato nella villa già Roomer di
Barra. E’ la produzione giovanile quella che
ancora ci sfugge, ad eccezione di pochi esempi,
tra cui sono da segnalare Scontro fra armati con
due cavalli caduti, conservata a Salisbury nella
collezione Wilton House e la Battaglia degli
Albigesi, di collezione privata fiorentina (fig.
5)in cui in uno scontro tra turchi e cristiani,
con sullo sfondo la Certosa di San Martino e
Castel Sant’Elmo, compare un santo, che non è
San Gennaro e che alcuni critici hanno
identificato con San Giovanni di Dio.
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La
sua concezione della battaglia senza eroi, in
cui la mischia è la vera signora della scena, fu
accolta unanimemente dagli specialisti
napoletani, che proseguirono questa impostazione
fino al pieno Settecento.
Una figura di battaglista, la cui opera in
passato è stata confusa con quella di Aniello
Falcone e che si sta ora delineando con
precisione, è quella di Andrea Di Lione, una
personalità alla cui rivalutazione lavora
alacremente da anni con pazienti ricerche
archivistiche una giovane studiosa napoletana,
la dottoressa Notari, alla quale spetta il
merito di aver ristabilito con certezza, grazie
al reperimento di un documento notarile, la data
di morte del Falcone.
Achille Della Ragione
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