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9 gennaio 2006
Un progetto per le nuove generazioni
Pasquale Biondi

 

 

DS: un progetto per le giovani generazioni, per un governo di centrosinistra

 
1. Un progetto per le nuove generazioni


Le nuove generazioni fanno fatica ad affermarsi nel nostro Paese. In tutti i campi. Abbiamo la classe dirigente più vecchia e la quota più elevata di inoccupazione giovanile di tutto l’Occidente. Parliamo della generazione tra i venti e i quarant’anni, gli anni in cui maggiori sono le energie intellettuali e fisiche e più feconda è la capacità di innovazione e di creatività. In questi anni è cresciuta una generazione preparata, attenta alle nuove tecnologie, con una cultura e una mentalità europea e con una esperienza di studio e di lavoro non soltanto nazionale, ma essa non trova sbocchi adeguati in Italia.

La maggior parte dei giovani entra nel mercato del lavoro tardi e generalmente con un lavoro precario, vive in famiglia con il padre e la madre, si sposa dopo i trent’anni e ancora più tardi ha un figlio. Anche quando si sposa, spesso, continua a dipendere in una certa misura dai genitori. Senza di loro i giovani, oggi, non riescono ad avere la necessaria tranquillità per mantenere la casa, la nuova famiglia, per accudire e per prestare l’educazione ai figli. In questo modo si impedisce loro di crescere, di maturare, di diventare adulti e dunque di assumersi pienamente la responsabilità e la libertà di inventarsi un proprio futuro, come l’età imporrebbe.

Esiste oggi un fenomeno di “trascinamento giovanile” che arriva alle soglie dei quarant’anni e che genera un diffuso malessere sociale, uno spreco di risorse e di energie per il Paese e una sorda e improduttiva frustrazione tra le nuove generazioni.

Le ragazze sono più penalizzate rispetto ai ragazzi: hanno più voglia di emancipazione e di affermazione, hanno più energia, ma sono bloccate da quella che dovrebbe essere una risorsa non soltanto per loro, ma per l’intera società. Parliamo della maternità. L’avere un figlio le sfavorisce in molti modi: nell’assunzione, nell’esercizio del lavoro (orari, permessi, ecc.), nella carriera professionale, nel superlavoro casalingo. Anche quando c’è, la legislazione favorevole viene scarsamente applicata dalle imprese e i servizi pubblici (asili, scuola dell’infanzia, assistenza sanitaria, ecc…) o sono carenti, oppure hanno orari non sempre conciliabili con la normale giornata di lavoro.

Molti giovani scelgono o sono costretti a scegliere la strada dei padri: i figli dei liberi professionisti lavorano nello studio del padre in attesa di rilevarlo, i figli dei commercianti fanno i commercianti, degli imprenditori gli imprenditori, dei giornalisti i giornalisti, e così via. Anche i figli dei tranvieri, dei netturbini, degli operai faranno i tranvieri, i netturbini, gli operai.

In molti casi si muore nella stessa condizione in cui si è nati. Oggi la società italiana ha una scarsissima mobilità sociale. Anche orizzontale, ma soprattutto verticale, dal basso verso l’alto. Una volta non era così. Nei decenni passati l’Italia è cresciuta e si è arricchita, tanto da diventare uno dei paesi più sviluppati del mondo, anche per merito – e forse principalmente per questo - della possibilità per chi aveva la capacità e la voglia di fare di cambiare mestiere e di scalare i gradini della scala sociale. O almeno di promuovere i propri figli.

Da parecchi anni il paese è fermo, quasi paralizzato e cristallizzato. Ovviamente, in questa situazione, aumentano le differenze, le distanze, le disuguaglianze tra ceto e ceto nel reddito, nei consumi, nello stile di vita.

Alla radice dello stallo in cui si trovano i giovani c’è una società chiusa, poco dinamica, che non cresce. Con una crescita al di sotto dell’1% le nuove generazioni non hanno spazio per affermarsi. La nostra è un società corporativa, che tende più all’autoconservazione che all’innovazione. Le molteplici e diverse corporazioni contano molto di più delle regole generali che tutti dovrebbero osservare e che, come recita la Costituzione, dovrebbero rimuovere gli ostacoli che impediscono l’eguaglianza delle opportunità per tutti i cittadini italiani, proprio a cominciare dai giovani. Viviamo in una società in cui la protezione da parte dello Stato, anche e soprattutto in economia, è la regola: a questo fine sono indirizzate le politiche pubbliche, non a sradicare storture, squilibri antichi, anche territoriali, impedimenti che ostacolano la concorrenza, la competizione e la libera espressione dei soggetti economici e sociali e delle persone.

L’aumento della speranza di vita – senza un patto tra le generazioni che valorizzi e esalti l’apporto di tutte le età - ingessa ancora di più questa società corporativa, limitando gli spazi di ingresso, di carriera e di direzione alle generazioni nuove. Non a caso, per trovare un posto di lavoro e per fare carriera, dilaga la raccomandazione. La raccomandazione non fa più scandalo, è diventata quasi una necessità, una abitudine, una norma - purtroppo anche tra i giovani - generando un diffuso decadimento morale.

In questa situazione non possono prevalere la capacità, il talento, il merito, la spinta all’innovazione e tanto meno i bisogni di chi parte svantaggiato e avrebbe il diritto di avere pari opportunità con i suoi coetanei.

Spezzare questa società corporativa e rendere la società italiana più aperta e dinamica, e insieme più giusta, è il primo obiettivo del progetto. Questa è la strada maestra per formare una nuova classe dirigente, a tutti i livelli e in tutti i campi, classe di cui l’Italia ha estrema necessità. Una nuova classe dirigente più giovane, più innovativa, più intraprendente. A cominciare dalla politica. Serve però un progetto complessivo, una radicale svolta di indirizzo e di volontà politica.

L’orizzonte è l’Europa. Sebbene nella stessa Europa , a partire dagli Stati fondatori di essa, si pongano problemi acuti e non rinviabili di riforma e di rinnovamento del modello economico e sociale e di svecchiamento demografico. Il processo di globalizzazione in atto richiede non soltanto di accelerare il processo di unità economica e politica, ma anche di rivedere profondamente le categorie e gli schemi del passato. Se si vuole rispondere efficacemente alla modernità liquida e ambigua in cui ci tocca vivere, occorre dare vita ad un progetto riformatore che sia una vera speranza generazionale. Oggi, nella opinione pubblica europea e soprattutto tra i giovani, come dimostrano da una parte le grandi agitazioni sulla pace, sui diritti ecc… e dall’altra parte i diversi esiti elettorali (alle europee, nei referendum sulla Costituzione, nelle singole nazioni), non c’è soltanto la difesa della propria sicurezza, ma paura del domani, incertezza per una società e un mondo sempre più a rischio.

Paura, insicurezza, eccessi difensivi possono essere superati soltanto sulla base di progetti complessivi di riforma che cementino una nuova coesione sociale e civile a livello europeo e mondiale e una rinnovata relazione tra le generazioni, tra quelle più anziane e quelle più giovani, tra quelle autoctone e quelle immigrate.

Anche la democrazia europea, senza una tale prospettiva, può degenerare. Questo, in parte, già sta avvenendo: le nostre democrazie nazionali, nelle quali i due terzi della popolazione godono di benessere, se non si fanno carico dei problemi del pianeta, dove il rapporto precedente è rovesciato e solo un terzo gode di benessere, non si qualificano, ma si ripiegano su stesse e quindi, fatalmente, tendono a restringersi e non riescono neppure a difendere in modo equo il livello di vita raggiunto. Ciò è tanto più valido se si considera che il rapporto demografico tra giovani e anziani è del tutto rovesciato, rispetto a quello del benessere, a favore dei paesi arretrati. La globalizzazione – è bene tenerlo presente - contiene anche un monito demografico.

Come ci insegna la storia, nei momenti di trapasso da una epoca ad un’altra – e noi siamo in una fase di questo genere - i giovani sono determinanti: sentono di più il nuovo e hanno meno remore rispetto al passato, perché sono e vogliono essere più liberi.

Ma, perché questo accada, occorre che ci siano le condizioni, quasi un humus in cui esercitare la loro energia creativa. Oggi non è così. Compito della nuova politica è costruire questo humus e queste condizioni affinché la nuova generazione possa affermare la propria speranza generazionale e abbia l’impulso di lasciare un segno, la propria orma – come individui, ma anche nel sentire comune come età - nel cammino nella storia.

Sulla questione dei giovani l’Italia è più indietro rispetto agli altri grandi paesi europei. Da anni negli altri paesi se ne discute e si sono presi provvedimenti. Da noi si era cominciato a fare qualcosa con il centrosinistra nella passata legislatura, ma poi tutto si è fermato con il governo di centrodestra, che ha sostituito le politiche pubbliche con la politica della mance e dei bonus, aprendo le porte al lavoro nero e precario che ha colpito soprattutto le nuove generazioni.

Il nostro paese, se vuole mantenere il posto che ha nel mondo, ha bisogno di qualità. Qualità in tutti i campi: nell’industria, nei servizi, nell’agricoltura e nella modernizzazione ecologica, nelle infrastrutture materiali e immateriali, nell’organizzazione dello Stato.

La deficitaria utilizzazione dei giovani non è soltanto una sofferente ingiustizia, ma uno spreco. Essa priva l’Italia di una leva e di una risorsa essenziale per tornare a crescere e fare il passo qualitativo che sarebbe necessario.

La competizione internazionale, infatti, si gioca sempre più sulla capacità della società, nel suo insieme, di valorizzare i talenti, la creatività, le idee innovative. Chiudere le porte ai giovani significa escludere centinaia di migliaia di uomini e donne dalla possibilità di dare un contributo con le loro energie alla ripresa e allo sviluppo del Paese. Significa anche fargli arrivare un messaggio che inquina la loro volontà di affermazione e di impegno: “non vale mettersi in giuoco, innovare, rischiare; se se si vuole essere premiati conta molto di più posizionarsi”.

Occorre dunque un mutamento radicale, che sappia parlare anche alle generazioni più anziane e abbia, quindi, alla base un patto tra le generazioni. Per questo motivo è necessario un progetto complessivo. Senza un patto generazionale non è possibile spezzare le spinte corporative, protezionistiche e autoconservatrici. Il cambiamento concerne prioritariamente la destinazione delle risorse. Pur tenendo conto della situazione disastrosa del debito pubblico, nella prossima legislatura è necessario spostare progressivamente le risorse pubbliche a favore dei giovani, che sono più aperti e pronti all’innovazione, per dare ad essi sicurezza, indipendenza, fiducia nella possibilità di costruirsi un futuro e farli diventare protagonisti del necessario progresso qualitativo.

Gli obiettivi sono evidenti:

- aumentare l’indice complessivo di scolarità e in particolare il numero dei diplomati, dei laureati, dei ricercatori ecc… al livello dei paesi occidentali più avanzati;
- anticipare, molto più di adesso, l’ingresso da parte dei giovani nel mercato del lavoro e l’espletazione di esperienze lavorative (anche attraverso stages temporanei formativi, attività di studio-lavoro, ecc… e soprattutto con una rete capillare di servizi e centri pubblici per l’occupazione);
- consentire ai giovani di avere una vita responsabilmente autonoma e indipendente, sia come singoli sia e soprattutto come coppia favorendone, se lo vogliono, l’uscita dalla famiglia. Non dipendenza, innanzitutto, sul piano del reddito;
- dare ai giovani la possibilità di viaggiare, specialmente in Italia e in Europa, di vedere, di fare cultura, al fine di costruire una indipendenza non soltanto economica.

Parecchi degli strumenti per ottenere questi scopi sono presenti nella proposta di legge dei DS “Disposizioni in materia di accesso al futuro per le giovani generazioni”: assegni di studio, detrazioni fiscali per la casa e per i figli, accesso agli asili, flessibilità dell’orario di lavoro, carta per i giovani e così via.

A queste proposte si aggiungono quelle presenti nella carta dei diritti del lavoro e sulla scuola e le misure di riforma del welfare e di espansione dei servizi sociali.

Pensiamo, inoltre, alla possibilità di studiare misure che riguardino la pensione, fin dall’inizio della maggiore età e a prescindere dalla collocazione (studente o lavoratore), basandosi su una contribuzione volontaria e figurativa.

Accanto a diritti e benefici, però, vogliamo parlare anche di doveri dei giovani.

Ci proponiamo, per esempio, di promuovere l’impegno dei giovani nel servizio civile volontario a favore di attività socialmente utili, al fine di costruire o di rafforzare lo spirito civile e comunitario.

Per quanto riguarda la destinazione dei benefici, riteniamo giusto che essi non vengano assegnati soltanto sulla base dell’età, ma tenendo conto di rigorosi requisiti (merito, bisogni, doveri), evitando in questo modo forme di elargizione di redditi, di prebende, di benefici in modo indiscriminato e senza finalizzazione. Anche il reddito minimo di inserimento deve essere finalizzato ad attività lavorative, oltre che formative.

In conclusione, prima di analizzare nel dettaglio le proposte, chiariamo brevemente di che fascia di età stiamo parlando quando ci riferiamo ai “giovani”. Riteniamo che sarebbe opportuno unificare la legislazione vigente e tutte le proposte all’avvio della maggiore età: responsabilità giuridica, voto politico, benefici ecc...

Al di sotto dei diciotto anni occorre trovare altre forme di partecipazione civile e politica.

Come soglia massima, sarebbe forse opportuno porre un limite alla gioventù non troppo in là negli anni, affinché non si trascini eccessivamente quella che è stata definita l’attuale “responsabilità limitata e la libertà vigilata” dei giovani.

In un primo momento – diciamo fino ai 25 anni – è necessario dare ai giovani la possibilità di formarsi in piena libertà e autonomia, di fare esperienze, di essere anche spensierati e persino un po’ irresponsabili. In una parola: di esercitare il diritto di essere giovani. Dopo quella età, invece, inizia il fare e quindi il farsi carico dei problemi non solo del proprio futuro, ma dell’intera comunità e del Paese.
...(continua)
 
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