DS: un progetto per le giovani generazioni,
per un governo di centrosinistra
1. Un progetto per le nuove generazioni
Le nuove generazioni fanno
fatica ad affermarsi nel nostro Paese. In
tutti i campi. Abbiamo la classe dirigente
più vecchia e la quota più elevata di
inoccupazione giovanile di tutto
l’Occidente. Parliamo della generazione tra
i venti e i quarant’anni, gli anni in cui
maggiori sono le energie intellettuali e
fisiche e più feconda è la capacità di
innovazione e di creatività. In questi anni
è cresciuta una generazione preparata,
attenta alle nuove tecnologie, con una
cultura e una mentalità europea e con una
esperienza di studio e di lavoro non
soltanto nazionale, ma essa non trova
sbocchi adeguati in Italia.
La maggior parte dei giovani entra nel
mercato del lavoro tardi e generalmente con
un lavoro precario, vive in famiglia con il
padre e la madre, si sposa dopo i trent’anni
e ancora più tardi ha un figlio. Anche
quando si sposa, spesso, continua a
dipendere in una certa misura dai genitori.
Senza di loro i giovani, oggi, non riescono
ad avere la necessaria tranquillità per
mantenere la casa, la nuova famiglia, per
accudire e per prestare l’educazione ai
figli. In questo modo si impedisce loro di
crescere, di maturare, di diventare adulti e
dunque di assumersi pienamente la
responsabilità e la libertà di inventarsi un
proprio futuro, come l’età imporrebbe.
Esiste oggi un fenomeno di “trascinamento
giovanile” che arriva alle soglie dei
quarant’anni e che genera un diffuso
malessere sociale, uno spreco di risorse e
di energie per il Paese e una sorda e
improduttiva frustrazione tra le nuove
generazioni.
Le ragazze sono più penalizzate rispetto ai
ragazzi: hanno più voglia di emancipazione e
di affermazione, hanno più energia, ma sono
bloccate da quella che dovrebbe essere una
risorsa non soltanto per loro, ma per
l’intera società. Parliamo della maternità.
L’avere un figlio le sfavorisce in molti
modi: nell’assunzione, nell’esercizio del
lavoro (orari, permessi, ecc.), nella
carriera professionale, nel superlavoro
casalingo. Anche quando c’è, la legislazione
favorevole viene scarsamente applicata dalle
imprese e i servizi pubblici (asili, scuola
dell’infanzia, assistenza sanitaria, ecc…) o
sono carenti, oppure hanno orari non sempre
conciliabili con la normale giornata di
lavoro.
Molti giovani scelgono o sono costretti a
scegliere la strada dei padri: i figli dei
liberi professionisti lavorano nello studio
del padre in attesa di rilevarlo, i figli
dei commercianti fanno i commercianti, degli
imprenditori gli imprenditori, dei
giornalisti i giornalisti, e così via. Anche
i figli dei tranvieri, dei netturbini, degli
operai faranno i tranvieri, i netturbini,
gli operai.
In molti casi si muore nella stessa
condizione in cui si è nati. Oggi la società
italiana ha una scarsissima mobilità
sociale. Anche orizzontale, ma soprattutto
verticale, dal basso verso l’alto. Una volta
non era così. Nei decenni passati l’Italia è
cresciuta e si è arricchita, tanto da
diventare uno dei paesi più sviluppati del
mondo, anche per merito – e forse
principalmente per questo - della
possibilità per chi aveva la capacità e la
voglia di fare di cambiare mestiere e di
scalare i gradini della scala sociale. O
almeno di promuovere i propri figli.
Da parecchi anni il paese è fermo, quasi
paralizzato e cristallizzato. Ovviamente, in
questa situazione, aumentano le differenze,
le distanze, le disuguaglianze tra ceto e
ceto nel reddito, nei consumi, nello stile
di vita.
Alla radice dello stallo in cui si trovano i
giovani c’è una società chiusa, poco
dinamica, che non cresce. Con una crescita
al di sotto dell’1% le nuove generazioni non
hanno spazio per affermarsi. La nostra è un
società corporativa, che tende più all’autoconservazione
che all’innovazione. Le molteplici e diverse
corporazioni contano molto di più delle
regole generali che tutti dovrebbero
osservare e che, come recita la
Costituzione, dovrebbero rimuovere gli
ostacoli che impediscono l’eguaglianza delle
opportunità per tutti i cittadini italiani,
proprio a cominciare dai giovani. Viviamo in
una società in cui la protezione da parte
dello Stato, anche e soprattutto in
economia, è la regola: a questo fine sono
indirizzate le politiche pubbliche, non a
sradicare storture, squilibri antichi, anche
territoriali, impedimenti che ostacolano la
concorrenza, la competizione e la libera
espressione dei soggetti economici e sociali
e delle persone.
L’aumento della speranza di vita – senza un
patto tra le generazioni che valorizzi e
esalti l’apporto di tutte le età - ingessa
ancora di più questa società corporativa,
limitando gli spazi di ingresso, di carriera
e di direzione alle generazioni nuove. Non a
caso, per trovare un posto di lavoro e per
fare carriera, dilaga la raccomandazione. La
raccomandazione non fa più scandalo, è
diventata quasi una necessità, una
abitudine, una norma - purtroppo anche tra i
giovani - generando un diffuso decadimento
morale.
In questa situazione non possono prevalere
la capacità, il talento, il merito, la
spinta all’innovazione e tanto meno i
bisogni di chi parte svantaggiato e avrebbe
il diritto di avere pari opportunità con i
suoi coetanei.
Spezzare questa società corporativa e
rendere la società italiana più aperta e
dinamica, e insieme più giusta, è il primo
obiettivo del progetto. Questa è la strada
maestra per formare una nuova classe
dirigente, a tutti i livelli e in tutti i
campi, classe di cui l’Italia ha estrema
necessità. Una nuova classe dirigente più
giovane, più innovativa, più intraprendente.
A cominciare dalla politica. Serve però un
progetto complessivo, una radicale svolta di
indirizzo e di volontà politica.
L’orizzonte è l’Europa. Sebbene nella stessa
Europa , a partire dagli Stati fondatori di
essa, si pongano problemi acuti e non
rinviabili di riforma e di rinnovamento del
modello economico e sociale e di
svecchiamento demografico. Il processo di
globalizzazione in atto richiede non
soltanto di accelerare il processo di unità
economica e politica, ma anche di rivedere
profondamente le categorie e gli schemi del
passato. Se si vuole rispondere
efficacemente alla modernità liquida e
ambigua in cui ci tocca vivere, occorre dare
vita ad un progetto riformatore che sia una
vera speranza generazionale. Oggi, nella
opinione pubblica europea e soprattutto tra
i giovani, come dimostrano da una parte le
grandi agitazioni sulla pace, sui diritti
ecc… e dall’altra parte i diversi esiti
elettorali (alle europee, nei referendum
sulla Costituzione, nelle singole nazioni),
non c’è soltanto la difesa della propria
sicurezza, ma paura del domani, incertezza
per una società e un mondo sempre più a
rischio.
Paura, insicurezza, eccessi difensivi
possono essere superati soltanto sulla base
di progetti complessivi di riforma che
cementino una nuova coesione sociale e
civile a livello europeo e mondiale e una
rinnovata relazione tra le generazioni, tra
quelle più anziane e quelle più giovani, tra
quelle autoctone e quelle immigrate.
Anche la democrazia europea, senza una tale
prospettiva, può degenerare. Questo, in
parte, già sta avvenendo: le nostre
democrazie nazionali, nelle quali i due
terzi della popolazione godono di benessere,
se non si fanno carico dei problemi del
pianeta, dove il rapporto precedente è
rovesciato e solo un terzo gode di
benessere, non si qualificano, ma si
ripiegano su stesse e quindi, fatalmente,
tendono a restringersi e non riescono
neppure a difendere in modo equo il livello
di vita raggiunto. Ciò è tanto più valido se
si considera che il rapporto demografico tra
giovani e anziani è del tutto rovesciato,
rispetto a quello del benessere, a favore
dei paesi arretrati. La globalizzazione – è
bene tenerlo presente - contiene anche un
monito demografico.
Come ci insegna la storia, nei momenti di
trapasso da una epoca ad un’altra – e noi
siamo in una fase di questo genere - i
giovani sono determinanti: sentono di più il
nuovo e hanno meno remore rispetto al
passato, perché sono e vogliono essere più
liberi.
Ma, perché questo accada, occorre che ci
siano le condizioni, quasi un humus in cui
esercitare la loro energia creativa. Oggi
non è così. Compito della nuova politica è
costruire questo humus e queste condizioni
affinché la nuova generazione possa
affermare la propria speranza generazionale
e abbia l’impulso di lasciare un segno, la
propria orma – come individui, ma anche nel
sentire comune come età - nel cammino nella
storia.
Sulla questione dei giovani l’Italia è più
indietro rispetto agli altri grandi paesi
europei. Da anni negli altri paesi se ne
discute e si sono presi provvedimenti. Da
noi si era cominciato a fare qualcosa con il
centrosinistra nella passata legislatura, ma
poi tutto si è fermato con il governo di
centrodestra, che ha sostituito le politiche
pubbliche con la politica della mance e dei
bonus, aprendo le porte al lavoro nero e
precario che ha colpito soprattutto le nuove
generazioni.
Il nostro paese, se vuole mantenere il posto
che ha nel mondo, ha bisogno di qualità.
Qualità in tutti i campi: nell’industria,
nei servizi, nell’agricoltura e nella
modernizzazione ecologica, nelle
infrastrutture materiali e immateriali,
nell’organizzazione dello Stato.
La deficitaria utilizzazione dei giovani non
è soltanto una sofferente ingiustizia, ma
uno spreco. Essa priva l’Italia di una leva
e di una risorsa essenziale per tornare a
crescere e fare il passo qualitativo che
sarebbe necessario.
La competizione internazionale, infatti, si
gioca sempre più sulla capacità della
società, nel suo insieme, di valorizzare i
talenti, la creatività, le idee innovative.
Chiudere le porte ai giovani significa
escludere centinaia di migliaia di uomini e
donne dalla possibilità di dare un
contributo con le loro energie alla ripresa
e allo sviluppo del Paese. Significa anche
fargli arrivare un messaggio che inquina la
loro volontà di affermazione e di impegno:
“non vale mettersi in giuoco, innovare,
rischiare; se se si vuole essere premiati
conta molto di più posizionarsi”.
Occorre dunque un mutamento radicale, che
sappia parlare anche alle generazioni più
anziane e abbia, quindi, alla base un patto
tra le generazioni. Per questo motivo è
necessario un progetto complessivo. Senza un
patto generazionale non è possibile spezzare
le spinte corporative, protezionistiche e
autoconservatrici. Il cambiamento concerne
prioritariamente la destinazione delle
risorse. Pur tenendo conto della situazione
disastrosa del debito pubblico, nella
prossima legislatura è necessario spostare
progressivamente le risorse pubbliche a
favore dei giovani, che sono più aperti e
pronti all’innovazione, per dare ad essi
sicurezza, indipendenza, fiducia nella
possibilità di costruirsi un futuro e farli
diventare protagonisti del necessario
progresso qualitativo.
Gli obiettivi sono evidenti:
- aumentare l’indice complessivo di
scolarità e in particolare il numero dei
diplomati, dei laureati, dei ricercatori
ecc… al livello dei paesi occidentali più
avanzati;
- anticipare, molto più di adesso,
l’ingresso da parte dei giovani nel mercato
del lavoro e l’espletazione di esperienze
lavorative (anche attraverso stages
temporanei formativi, attività di
studio-lavoro, ecc… e soprattutto con una
rete capillare di servizi e centri pubblici
per l’occupazione);
- consentire ai giovani di avere una vita
responsabilmente autonoma e indipendente,
sia come singoli sia e soprattutto come
coppia favorendone, se lo vogliono, l’uscita
dalla famiglia. Non dipendenza,
innanzitutto, sul piano del reddito;
- dare ai giovani la possibilità di
viaggiare, specialmente in Italia e in
Europa, di vedere, di fare cultura, al fine
di costruire una indipendenza non soltanto
economica.
Parecchi degli strumenti per ottenere questi
scopi sono presenti nella proposta di legge
dei DS “Disposizioni in materia di accesso
al futuro per le giovani generazioni”:
assegni di studio, detrazioni fiscali per la
casa e per i figli, accesso agli asili,
flessibilità dell’orario di lavoro, carta
per i giovani e così via.
A queste proposte si aggiungono quelle
presenti nella carta dei diritti del lavoro
e sulla scuola e le misure di riforma del
welfare e di espansione dei servizi sociali.
Pensiamo, inoltre, alla possibilità di
studiare misure che riguardino la pensione,
fin dall’inizio della maggiore età e a
prescindere dalla collocazione (studente o
lavoratore), basandosi su una contribuzione
volontaria e figurativa.
Accanto a diritti e benefici, però, vogliamo
parlare anche di doveri dei giovani.
Ci proponiamo, per esempio, di promuovere
l’impegno dei giovani nel servizio civile
volontario a favore di attività socialmente
utili, al fine di costruire o di rafforzare
lo spirito civile e comunitario.
Per quanto riguarda la destinazione dei
benefici, riteniamo giusto che essi non
vengano assegnati soltanto sulla base
dell’età, ma tenendo conto di rigorosi
requisiti (merito, bisogni, doveri),
evitando in questo modo forme di elargizione
di redditi, di prebende, di benefici in modo
indiscriminato e senza finalizzazione. Anche
il reddito minimo di inserimento deve essere
finalizzato ad attività lavorative, oltre
che formative.
In conclusione, prima di analizzare nel
dettaglio le proposte, chiariamo brevemente
di che fascia di età stiamo parlando quando
ci riferiamo ai “giovani”. Riteniamo che
sarebbe opportuno unificare la legislazione
vigente e tutte le proposte all’avvio della
maggiore età: responsabilità giuridica, voto
politico, benefici ecc...
Al di sotto dei diciotto anni occorre
trovare altre forme di partecipazione civile
e politica.
Come soglia massima, sarebbe forse opportuno
porre un limite alla gioventù non troppo in
là negli anni, affinché non si trascini
eccessivamente quella che è stata definita
l’attuale “responsabilità limitata e la
libertà vigilata” dei giovani.
In un primo momento – diciamo fino ai 25
anni – è necessario dare ai giovani la
possibilità di formarsi in piena libertà e
autonomia, di fare esperienze, di essere
anche spensierati e persino un po’
irresponsabili. In una parola: di esercitare
il diritto di essere giovani. Dopo quella
età, invece, inizia il fare e quindi il
farsi carico dei problemi non solo del
proprio futuro, ma dell’intera comunità e
del Paese....(continua)
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