La dura
vertenza sorta nell’Istituto Comprensivo di
Sant’Angelo dei
Lombardi sintetizza in modo
emblematico le
diverse e molteplici contraddizioni insite
nel mondo della scuola in generale.
In
particolare emerge un’antitesi tra due
opposte concezioni della cultura,
dell’educazione, del diritto all’istruzione.
Da un lato si colloca una linea burocratica
e verticistica,
che confonde un ambiente educativo e
di apprendimento
quale la scuola, con un’azienda o, peggio
ancora, con una caserma; dall’altro lato si
contrappone una visione più aperta,
elastica, più democratica e più attenta alle
istanze della collegialità e ai bisogni
reali della comunità scolastica e sociale,
formata dalle nuove generazioni e dalle
famiglie, oltre che dai lavoratori della
scuola.
Tale
dicotomia, che rischia di generare
conflitti, antagonismi e vertenze molto
aspre (come nel caso dell’I.C. di
Sant’Angelo dei
Lombardi), si snoda a
partire da un grave motivo di
controversia, che cela una perversa
ipocrisia di fondo: il docente che timbra il
cartellino registra la sua presenza
nell’Istituto (come se fosse un’azienda) ma
non in classe, laddove invece è chiamato a
svolgere il proprio dovere professionale che
è di natura
didattico-educativa, per cui esercita
un ruolo chiave e decisivo nel processo
dialettico di insegnamento/apprendimento.
La
vertenza riflette anche una profonda
divergenza di interpretazione
rispetto alla cosiddetta “autonomia
scolastica”, che tanti, troppi dirigenti
scolastici (autoproclamatisi
“manager”) scambiano per tirannia o arbitrio
personale. Infatti, l’atteggiamento spesso
arrogante,
unilateralista e intransigente dei
presidi, è il frutto di una mentalità
dirigista che mortifica le
spinte vitali e
le potenzialità emancipatrici che possono
derivare dall’applicazione dell’autonomia
scolastica intesa come valorizzazione delle
risorse umane, professionali, intellettuali
e sociali presenti sul territorio, nel quale
le scuole possono e devono assumere una
funzione di traino e di promozione
culturale.
Lucio Garofalo
L’OROLOGIO DELLA DISCORDIA
Evviva! Finalmente anche nella mia scuola è
stato installato ed è in funzione un
bellissimo orologio marcatempo, per “meglio
verificare l’orario di servizio di tutti i
dipendenti” (cito il testo del contratto
integrativo di
Istituto).
E’ ora di smetterla con questi insegnanti
ritardatari, fannulloni e lavativi, capaci
solo di prelevare lo stipendio e che
lavorano 4/5 mesi all’anno…
E si lagnano continuamente!
Invece, con questo “rivelatore di presenze
automatico” tutti i mali della mia scuola
saranno eliminati per sempre, a cominciare
dal lassismo dei docenti che saranno
costretti a svolgere il proprio dovere.
Mi chiedo: ma le cose stanno veramente in
questo modo?
In realtà, la controversa questione
dell’orologio marcatempo nasconde e richiama
ben altre ragioni, problemi e
contraddizioni, insite nel mondo della
scuola e del lavoro in generale.
Anzitutto, voglio chiarire che la mia tenace
opposizione all’impiego di tale strumento
elettronico di controllo, non deriva certo
dalla volontà di perorare la “causa” dei
nullafacenti e dei lavativi.
Oltretutto posso
garantire che nella mia scuola non esistono
casi gravi di lassismo, anzi.
D’altronde sono convinto che il
“malcostume”, laddove esista, non si
contrasta con il ricorso a strumenti che
possono apparire coercitivi.
Infatti, per noi
insegnanti il vero e principale deterrente
contro, ad esempio, la tendenza a fare tardi
a scuola, è costituito dalla responsabilità
penale verso gli alunni che sono minorenni.
E con ciò la faccenda è
a mio avviso risolta.
Dunque,
sono altre le ragioni per cui io ho deciso
di battermi contro l’adozione di tale
sistema di controllo.
Voglio esporle in breve.
Anzitutto contesto i metodi e le procedure
assolutamente autoritarie e
verticistiche
adottate dal dirigente per imporre questo
nuovo “arredo” scolastico.
Al di là se siano stati
seguiti o meno i passaggi normativi
necessari, sia per quanto concerne la
delibera del Consiglio di Istituto, sia in
sede di accordo contrattuale con le RSU
(benché siano ravvisabili vizi formali),
occorre segnalare l’atteggiamento di
ostinato e arrogante rifiuto di aprire
momenti di confronto e consultazione
democratica con la base dei lavoratori, a
partire dal Collegio dei docenti, nel quale
invece si è registrata solo una brutale
censura verso ogni richiesta di dibattito
sull’argomento.
Questo passaggio di consultazione collegiale
e democratica, pur non essendo obbligatorio
sul piano strettamente normativo (cosa che è
pure discutibile), era ed è moralmente
corretto e significativo,
soprattutto sotto il profilo della
democrazia sindacale, che a quanto pare è
diventata un semplice optional!
Tale vicenda conferma che l’introduzione
della cosiddetta “autonomia scolastica” (che
troppi dirigenti scambiano per tirannia
personale) ha accelerato un processo di
crisi e di svalutazione dei diritti, delle
libertà democratiche e delle norme sindacali
a tutela dei lavoratori
della scuola, docenti e non docenti.
Inoltre, l’uso dell’orologio marcatempo, che
è uno strumento tradizionalmente applicato
in luoghi di lavoro quali fabbriche ed
uffici, nel momento in cui si va diffondendo
anche nelle scuole, costituisce il suggello,
anche simbolico, di un processo
di
aziendalizzazione
in atto ormai da anni nella realtà della
scuola italiana.
Credo che sia superfluo ricordare che la
professione dell’insegnamento non è
assimilabile o inquadrabile in una logica
aziendalista,
date le originali peculiarità che la
caratterizzano e la distinguono nettamente
dalle funzioni impiegatizie e dalla
produzione di manufatti.
Infatti,
l’educazione e la cultura non sono merci
misurabili, quantificabili o alienabili
economicamente.
Il ruolo docente è una professione di tipo
intellettuale, che comporta anche impegni
straordinari in termini di studio,
aggiornamento, preparazione delle lezioni,
correzione dei compiti ecc.,
che vanno oltre l’orario di servizio
certificato da una firma o dal timbro del
cartellino, a meno che non si decida di
installare una macchinetta elettronica anche
nell’abitazione di ogni singolo docente.
Veniamo ora ad un altro punto.
Il costo economico di un orologio marcatempo
non è di poco conto. Non conosco le cifre
esatte, ma certamente si tratta
di
apparecchiature che, in quanto elettroniche,
hanno un prezzo decisamente superiore a 1500
euro, e probabilmente possono superare i
2000/2500 euro. Vi
invito a smentirmi.
Ebbene, io mi domando: considerando il
misero budget finanziario della scuola in
cui lavoro, il cui Fondo
di Istituto è di per sé ridotto e
limitato nelle sue dimensioni, tale somma
non poteva essere investita in modo più
proficuo per sovvenzionare progetti e
attività didattiche di qualità, così da
elevare, ampliare e potenziare l’offerta
formativa della scuola? Ciò avrebbe
consentito di promuovere e migliorare anche
l’immagine della scuola all’interno del
contesto
socio-ambientale in cui è inserita. Al
contrario, l’acquisto di un’apparecchiatura
indubbiamente costosa ha comportato seri
tagli alle spese previste per
l’arricchimento dell’offerta culturale.
Queste ed altre motivazioni mi hanno indotto
ad espormi contro l’introduzione
dell’orologio marcatempo, che è (ripeto) un
aggeggio tecnologico inutile e costoso, che
suscita reazioni negative e controverse tra
i lavoratori.
Eppure
c’è chi trae un vantaggio dall’impiego di
tale sistema di controllo elettronico.
Tale vantaggio consiste anzitutto nel
permettere un controllo a distanza, così da
evitare e risparmiare al controllore la
“fatica quotidiana” di recarsi fisicamente
sul luogo di lavoro per verificare l’orario
di servizio dei propri dipendenti. Pertanto,
il controllo elettronico giova solo al
dirigente, che in tal modo non deve nemmeno
scomodarsi da casa per
effettuare i consueti controlli, che
avvengono automaticamente.
Chi è dunque il fannullone o il lavativo
della situazione?
Mi auguro di aver messo in luce la netta
contraddizione tra le ragioni, più nobili,
giuste e democratiche di chi, come il
sottoscritto, si oppone fermamente al
ricorso a questi sistemi di controllo, da un
lato, e dall’altro il carattere
verticista e
autoritario dei metodi e delle procedure
seguite da chi tenta
di imporre uno strumento di controllo a
distanza, che serve soltanto ad inasprire ed
avvelenare i rapporti tra i lavoratori.
Lucio Garofalo