Il “grande
manager” della mia scuola mi ha convocato
nel suo ufficio e mi ha invitato a
“difendermi”… Ma rispetto a quale capo di
imputazione? Forse
dall’accusa di “non aver ottemperato ad un
ordine di servizio” che io ritengo un atto
verticistico ed
illegittimo in quanto è il risultato finale
di un percorso burocratico che ha decretato
l’introduzione di un orologio marcatempo
come strumento elettronico di rilevazione
delle presenze nell’Istituto.
Voglio far presente che, se anche solo per
assurdo (ripeto: per
assurdo!) il dirigente avesse seguito
alla lettera e in maniera corretta le
procedure necessarie dal punto di vista
normativo, tale precisione formale sarebbe
annichilita ed offuscata dai risultati
concreti che sono disastrosi, viste le
reazioni negative suscitate tra i docenti.
Insomma, io avrei “disobbedito”
all’imposizione di un rito che è totalmente
inutile dato che,
in base a
norme già esistenti, per la
rilevazione delle presenze dei docenti
“fa fede la
firma sul
registro
delle presenze”, ma soprattutto è
un sistema ipocrita in quanto l’insegnante
deve certificare la sua presenza
esclusivamente in classe, non nell’istituto.
E’ dunque questo il capo d’accusa rispetto
al quale io sarei chiamato a “discolparmi”?
Ebbene, io mi discolpo rovesciando mille
accuse su chi mi
invita a difendermi.
J’ACCUSE!
Io accuso! Ecco la mia replica più immediata
e sentita, un grido d’accusa che rievoca il
celebre titolo di un articolo
di
Emile Zola sullo
storico “affare Dreyfus”,
articolo pubblicato dal quotidiano francese
“L’Aurora” in data 13 Gennaio 1898.
Naturalmente occorre riconoscere la notevole
distanza (non solo temporale) tra le due
vicende, oltre che tra il sottoscritto e
l’impareggiabile talento dello scrittore
francese.
Tuttavia, vista
l’ubriacatura di potere
dimostrata dall’altra parte, io mi diverto a
millantare, da megalomane burlone quale
sono, una certa
qualità letteraria.
Inoltre penso che l’arma più efficace
da usare contro le angherie del potere,
qualunque esso sia, è proprio l’ironia.
Pertanto, io accuso il dirigente
dell’Istituto Comprensivo di
Sant’Angelo
dei Lombardi:
1)
di
aver diffuso discordie tra i lavoratori
della scuola, alimentando un clima di
sospetto e diffidenza e avvelenando
l’ambiente lavorativo. Ciò inficia il
normale svolgimento delle attività
didattico-educative;
2)
di
aver abusato della sua autorità (che non è
di origine divina, né è illimitata o
assoluta) per imporre un “arredo” inutile e
costoso, sperperando quindi denaro pubblico
che poteva essere impiegato in modo più
proficuo per migliorare l’offerta culturale
e formativa della scuola;
3)
di
aver viziato anche dal punto di vista
formale l’iter normativo e procedurale
condotto attraverso due passaggi, l’uno
concernente la delibera del Consiglio di
Istituto, l’altro in sede di concertazione
con le RSU, laddove si evince un semplice
atto di informazione unilaterale, priva di
qualsiasi momento di scambio dialettico e di
trattativa che avrebbe dovuto comportare la
definizione di un regolamento applicativo
circa l’uso dell’orologio;
4)
di
aver mortificato i diritti e le istanze di
confronto democratico provenienti dalla base
dei lavoratori, a cominciare dall’organo
collegiale per antonomasia, il Collegio dei
docenti, la cui
sovranità
è riconosciuta dallo spirito più autentico
della legge sull’autonomia scolastica, che
invece è concepita e praticata secondo una
logica dirigista e
pseudo-efficientistica. Affermo ciò
considerando che un passaggio di
consultazione ufficiale all’interno del
Collegio dei docenti su una materia che pure
attiene all’organizzazione dell’orario di
lavoro, pur non essendo obbligatorio sotto
il profilo normativo (cosa che è pure
discutibile), era ed è moralmente corretto
in quanto avrebbe probabilmente consentito
di metabolizzare la novità, evitando
equivoci e polemiche
astiose, ma soprattutto rimuovendo
quella parvenza di unilateralità e di
illegittimità che ha indotto non pochi
docenti a “disobbedire”;
5)
di
aver respinto ogni iniziativa di dialogo e
di mediazione riconciliatrice, persino con
i
rappresentanti provinciali delle maggiori
organizzazioni sindacali della scuola,
ostacolando in tal modo la ricerca di una
soluzione utile e dignitosa per tutti;
6)
di
essere venuto meno ad uno dei compiti più
delicati che sono una prerogativa primaria
di un capo d’istituto, ossia il dovere di
gestire le controversie con intelligenza e
buon senso, e non mi riferisco solamente
alla questione dell’orologio marcatempo.
Lucio Garofalo