La stitichezza si accompagna spesso
all’avarizia, all’introversione, alla
malinconia, alla reticenza. Invece, la
scioltezza di corpo si associa più
facilmente alla generosità,
all’estroversione, all’allegria, alla
loquacità. Non a caso, molti anni fa il
geniale Roberto Benigni scrisse e dedicò un
surreale inno al corpo sciolto intitolato,
appunto, “L’inno del corpo sciolto”.
Chi è sciolto di corpo è
sciolto anche di mente e di spirito,
ma è sciolto anche con il linguaggio. Chi
evacua facilmente e frequentemente l’intestino
è una persona ironica e spiritosa, che usa
con facilità anche le parole ed è in grado
di cogliere i concetti più sottili e più
raffinati.
A proposito di corpo sciolto vorrei parlarvi
del
corpo-rativismo.
Qualcuno, facendo riferimento alla mia
posizione nella vertenza insorta a scuola,
mi ha rimproverato di condurre una
“battaglia corporativa”. Ebbene, se per
costui i diritti sindacali e le regole della
democrazia collegiale e partecipativa sono
diventate una
questione di natura corporativa, è assai
probabile che costui abbia un urgente
bisogno d’un potente lassativo, non tanto
per sciogliere e svuotare l’intestino,
quanto per liberare la mente dai troppi
pregiudizi e luoghi comuni che provocano la
stitichezza e l’impaccio del suo pensiero.
E’ alquanto probabile che costui confonda il
“corporativismo” con lo “spirito di corpo”,
e con ciò intendo dire
che il proprio spirito è stitico ed
impacciato, ossia è incapace di “andare di
corpo”, allo stesso modo in cui il suo corpo
è stitico ed impacciato, nel senso che è
incapace di spirito, cioè di essere
spiritoso, sciolto, ironico ed arguto.
Invece, mi pare che il vero corporativismo
corrisponda ad un atteggiamento sistematico
volto a conservare e perpetuare i privilegi
esclusivi della propria categoria
economico-professionale.
Mi chiedo: è “corporativismo” anche
l’ostinata lotta di chi vuole salvaguardare
la propria salute fisica o tutelare
l’integrità del proprio ambiente e del
proprio
territorio?
Secondo tale logica la dura vertenza
condotta dagli abitanti della Val di
Susa contro
l’alta velocità sarebbe una “battaglia
corporativa”? E
altrettanto corporativi sarebbero gli
scioperi e le lotte sostenute dagli operai
per difendere e mantenere i propri posti di
lavoro?
Certamente!
Mi sembrano tutte battaglie giuste e
dignitose, direi
sacrosante, necessarie e vitali.
Probabilmente si crede che il
“corporativismo” degli insegnanti
costituisca una tendenza piccolo-borghese,
ossia classista ed opportunista, in quanto
finalizzata alla preservazione dei privilegi
economico-sociali di una sola categoria
professionale, cioè
il corpo
docente.
Al contrario, il “corporativismo” degli
operai avrebbe maggior dignità e
maggior valore in
quanto potrebbe trasformarsi (ma in virtù di
quale meccanismo o processo?) nella lotta di
classe. Pertanto, il corporativismo operaio
equivarrebbe all’operaismo rivoluzionario,
ossia alla lotta di classe contro il
capitalismo borghese, realizzabile soltanto
dalle masse operaie.
Di conseguenza, la lotta di classe sarebbe
il risultato di un processo storico-sociale
prodotto soltanto dalle tendenze
economico-sindacali e politiche
di origine
operaia?
Non mi pare!
Riassumendo in breve il pensiero stitico del
“buon compagnuccio”,
questo sarebbe il suo schema di ragionamento
di natura operaista
e non corporativista:
-
corporativismo
operaio
= lotta di classe rivoluzionaria;
-
corporativismo
degli insegnanti
= tendenza egoistica e classista in difesa
dei propri privilegi economico-professionali
= opportunismo piccolo-borghese.
Complimenti, quindi, al “bravo
compagnuccio”,
il quale dimostra di non possedere idee
molto chiare e molto sciolte,
ovvero ha poche
idee ma confuse. Gli suggerirei di prendere
un purgante per sciogliere il suo pensiero
dai tanti impacci mentali che ne bloccano le
capacità di
analisi e di ragionamento. Ovviamente non
alludo ai metodi
purgativi fascisti e staliniani, in
particolare alle soluzioni adottate da quel
regime politico che, per 20 anni, ha
distribuito “purghe” in tutta Italia, non
certo per sciogliere o liberare le menti
degli italiani. Anzi!
Concludo
affermando che una
coscienza di
classe si forma anche attraverso
battaglie che sorgono come “corporative”,
laddove una mente inizialmente
corporativistica
riesce ad acquisire e ad esprimere una
crescente capacità di critica della società
nel suo insieme.
Il salto di qualità
politico-intellettuale avviene nel momento
in cui da uno stato di mera “autocoscienza
individuale” ci si evolve verso un superiore
livello di “autocoscienza universale”.
Mi accorgo d’essere diventato troppo
complicato, per cui
il “povero compagnuccio”
potrebbe sentirsi ancora più ingolfato nel
suo cervello oltremodo stitico ed
impacciato.
Lucio Garofalo