Mostra su Antonello da Messina
Le
Scuderie del Quirinale a Roma si possono ben
fregiare del fiore all’occhiello, in quanto
ospitano una rassegna quasi esaustiva della
summa pittorica di Antonello da Messina, una
figura artistica di ampio respiro internazionale
per la centralità indiscussa nel panorama del
Rinascimento europeo.
L’eccezionale retrospettiva, fruibile fino al 25
giugno si articola sui due piani della sede
museale in un percorso espositivo, che vede,
accanto ai 45 quadri del maestro siciliano, una
serie di dipinti di pittori autorevoli da Jan
van Eyck, a Petrus Christus, a Giovanni Bellini,
indispensabili per gli opportuni raffronti, come
pure sono presenti opere di suo figlio Iacobello,
di suo nipote Antonello de Saliba e di altri
suoi seguaci.
Sembra quasi un evento magico quello che vede
qui riunite, a distanza di più di cinquecento
anni, le opere di Antonello, capolavori dispersi
nei secoli ai quattro angoli del globo. Si pensi
al Ritratto d’uomo di Cefalù (fig 1), a lungo
conservato a Lipari in una farmacia come anta di
un armadietto; ma l’evento forse più importante
per la perdita della sua memoria è stato il
terribile terremoto del 1908, a seguito del
quale furono distrutti anche gli archivi. Non si
conosce infatti il volto dell’artista, né il
nome delle persone effigiate nei suoi ritratti e
tuttavia consegnati dall’abilità del suo
pennello all’immortalità.
“Antonellus messaneus me pinxit” recitano alcuni
cartigli, curiosamente dipinti secondo la
prospettiva del tempo, da sembrare appena
spiegati, vedi il Ritratto di giovane di Torino
(fig. 2). Essi risultano affissi sul bordo
inferiore di legno, che funge da parapetto, dove
si affaccia il personaggio verso lo spettatore
con tutta la sua monumentalità, nonostante il
piccolissimo formato di tutti questi quadri.
Come un gomitolo si dipana il rapporto con la
sua terra natale, affiorando qua e là, nei
paesaggi intrisi di un nuovo naturalismo,
tangibile nell’impianto della Crocifissione di
Bucarest (fig. 3) sullo sfondo della sua città,
una Messina irriconoscibile oggi, dove a destra
dell’osservatore c’è il porto, a sinistra i
monti Peloritani e più lontano le isole Eolie. E
ancora sono profondamente siciliani molti volti
rappresentati, dai tratti fisici scuri alle
espressioni di sapore mediterraneo, vedi la
Madonna di Salting (fig.4) o la stessa
Annunziata di Palermo, fino a quel pizzico di
ironia scherzosa tipicamente isolana, palpabile
nel sorriso beffardo del Ritratto di Cefalù.
Un
lungo tempo ci separa dalla vita di Antonello e
i racconti su di lui sono stati leggendari in
passato, anche se ci hanno fornito delle
indicazioni importanti. A meno di cento anni
dalla sua morte, il Summonte prima e il Vasari
dopo riferiscono di un suo viaggio nelle Fiandre
per apprendere direttamente dal pittore Jan van
Eyck la pittura ad olio, mentre tale circostanza
non risulta da nessun documento. La loro
testimonianza tuttavia non è trascurabile per
l’evidente influsso dell’arte fiamminga sul
Nostro, mutuata dall’insegnamento del pittore
Colantonio, presso la cui bottega, a Napoli,
avvenne la sua prima formazione.
La
nuova tecnica di esecuzione pittorica, esplicata
attraverso vari strati di velature, veniva a
sostituire la tradizionale tempera ad acqua. Il
giovane siciliano fu affascinato dalla
lucentezza metallica che grazie alla nuova
maniera poteva imprimere ai panneggi femminili.
Li aveva visti in quei sontuosi mantelli delle
clarisse nel quadro del suo maestro “San
Francesco consegna la regola al primo e secondo
ordine francescano ” e li ripeterà nel gruppo di
donne ai piedi della croce nel dipinto in mostra
proveniente da Bucarest e ancora nel manto della
già citata Madonna di Salting.
Se
guardiamo invece il capolavoro della maturità
dell’artista messinese, i nostri occhi
stupiscono di fronte all’azzurro del manto più
famoso della storia dell’arte, quello della
Vergine Annunziata di Palermo: la perla della
esposizione romana (fig. 5). Una luce intensa
mette a nudo il volto nitido e perfetto, mentre
avvolge di un lirismo misterioso la morbida
solennità della Madonna. La mano nel classico
gesto di sorpresa verso l’annuncio da parte di
un messaggero assente, ne immobilizza l’incanto
e la dolcezza. Sconvolge il distacco dalle cose
terrene, percepibile nel gioco squisitamente
geometrico delle linee e delle forme. Dopo uno
sguardo di qualche secondo anche noi siamo
rapiti da quell’aura di quiete assoluta.
Dopo la leggenda, la storia e bisogna arrivare
agli studi sistematici successivi, quelli
eseguiti da Venturi, Berenson e Roberto Longhi,
che fin dal 1914 vide il forte legame tra
Antonello e Piero della Francesca per quella
costruzione spaziale prospettica che una volta
acquisita segnerà la sua cifra stilistica.
L’incontro con l’aretino avviene nel 1460 a
Roma, ma è Venezia la città che cambierà
definitivamente i suoi modi pittorici. La
conoscenza di Giovanni Bellini arricchirà la
sua arte di una luce cromatica nuova e allo
stesso tempo modificherà la pittura veneta con
nuovi apporti fiammingo provenzali provenienti
dalla corte aragonese napoletana, frammisti a
tocchi suoi personali naturalistici e
mediterranei.
Eccezionale è il San Sebastiano di Dresda (fig.
6), in cui l’azzurro del cielo e la portentosa
luminosità di derivazione belliniana, che
pervade tutta l’opera, si sposa armonicamente
con l’architettura ideale di un città gioiosa,
il cui referente è Piero della Francesca. La
figura del giovane alto e bello così centrale e
protagonista, rappresentata con uno
straordinario sotto in su, rimanda
all’iconografia del Mantegna, anche se, elementi
come la corteccia dell’albero o i capelli e
l’impronta totale sono decisamente antonelliani.
“Il San Sebastiano è una meravigliosa statua
ellenistica. La carne del santo è di pietra; le
gambe si appoggiano con grazia squisita sul
terreno…” secondo il parere di Pietro Citati.
Dulcis in fundo
(fig. 7) il San Girolamo nello studio (National
Gallery, Londra) è proprio l’opera che
nell’allestimento della mostra romana
introduce il percorso espositivo. In quella che
sembra una chiesa gotica, scura, illuminata
controluce da finestre che danno su paesaggi
lontani è insolitamente posto lo studiolo di San
Girolamo nella sua veste cardinalizia intento
alla lettura. Ma il quadro ha un’altra fonte
luminosa, quella che illumina l’ingresso e la
figura del saggio, in modo tale che colui che
guarda possa penetrare attraverso i varchi
prospettici e percepire la monumentalità del
luogo, un luogo spirituale quello al di là della
porta, mentre è terreno l’al di qua. Il limite è
segnato dalla presenza di tre simboli (un
pavone, una pernice e una ciotola da barbiere)
poste come sentinelle di guardia. Un omaggio al
suo maestro, il Colantonio che aveva trattato lo
stesso tema, anche qui c’è il leone, sempre
ugualmente mansueto, ma non porge la zampa come
nel quadro di Capodimonte, bensì dalle tenebre
della chiesa si porta verso la luce del santo.
Il
capolavoro sembra esprimere il connubio perfetto
tra un virtuosismo luministico e un gioco di
geometrie spaziali di altissima precisione. Se
l’origine è fiamminga, la resa di Antonello
sulla piccola superficie ha raggiunto un valore
incommensurabile. L’opera per molto tempo fu
creduta di altra mano, del Memling e di van Eyck.
Settanta anni fa dal Lauts l’attribuzione fu
restituita al Nostro per la presenza dei due
oggetti in ceramica posti tra il gatto e gli
scalini sulla pedana del santo riscontrati
uguali nell’Annunciazione di Siracusa.
Con questa opera si riassume il nuovo pensiero
umanistico, che ritiene la conoscenza la vera
ricchezza, ad esso Antonello da Messina, il
massimo artista meridionale di quel tempo ha
dato un notevole contributo.
La
visita alla mostra su Antonello costituisce la
36° tappa del percorso degli Amici delle
chiese napoletane e per chi vorrà
partecipare con la guida dell’autrice può
consultare le date sul sito dell’associazione
www.guidecampania.com/dellaragione
Elvira Brunetti
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